La vera fraternità oltre l’ideologia della fratellanza. Sulla conferenza di Stefano Fontana al Convegno “Poveri tutti”

di Silvio Brachetta.

Stefano Fontana, durante il convegno Poveri Tutti del 18 novembre scorso [qui], ha parlato sul tema “La vera fraternità oltre l’ideologia della fratellanza”.

A seguito dell’enciclica Fratelli Tutti di Papa Francesco, Fontana si era già espresso sulla fratellanza [qui], come pure Silvio Brachetta in un articolo per l’Osservatorio [qui].

Fontana parla di due visioni della fraternità, a cominciare dall’avvento della modernità – cioè dall’Umanesimo e dal Rinascimento – che si sono imposte nella cultura e nella civiltà: la visione cattolica e la visione mondana.

La visione cattolica ha sempre posto la fraternità su tre livelli: naturale, morale e soprannaturale. C’è, infatti, un ambito naturale e ontologico della fraternità, per cui gli uomini possono dirsi affratellati dalla «medesima natura umana», che è il co-principio del «loro essere». Il livello morale (dunque pratico) della fraternità, invece, unisce gli uomini nel bene. Si dicono fratelli solo coloro che fanno il bene, ad esclusione dei malvagi, poiché «nel male è impossibile fraternizzare».

L’ultimo livello – il soprannaturale – è il più vero: la fraternità è «resa possibile dalla partecipazione alla grazia», a seguito della Rivelazione. Si tratta del livello religioso propriamente detto, che dà significato e sostegno agli altri due. Non sono livelli sganciati gli uni dagli altri – dice Fontana – ma «costituiscono un unico sistema», perché «senza Cristo Salvatore si finisce per dimenticare anche la fraternità ontologica e si stravolge quella morale». Vi è, dunque, una gerarchia tra natura, etica e sopra-natura, laddove la natura e l’etica non si tengono da sole: esse hanno un senso solo in riferimento alla dimensione ultima e divina che le trascende, che sta oltre e sopra ad ogni cosa.

Al contrario, la visione moderna della fratellanza – osserva Fontana – manca di presupposti. Non si fonda, cioè, se non sulle congetture personali degli autori moderni. Questi, in genere, hanno in comune un sistema che poggia sull’«artificialità», perché esso è sganciato dalla precedente speculazione filosofica o dai semplici dati della realtà. Le due visioni (la cattolica e la moderna), pertanto, sono – o dovrebbero essere – in una condizione di perenne rivalità, almeno logica, in quanto incompatibili.

Storicamente, però, le cose sono andate in maniera diversa. Fino al Concilio Vaticano II tra le due visioni vi era «contrapposizione» e la Chiesa teneva saldo il principio di verità della dottrina cattolica. Con l’ultimo Concilio si è cercata una sorta di «conciliazione», nel nome del dialogo, soprattutto per via di un immotivato «senso di colpa nei confronti della modernità». Papa Francesco sembra avere inaugurato la fase storica dell’«inclusione», ovvero la visione cattolica della fraternità sembra essersi collocata dentro la visione moderna, rinunciando alle proprie posizioni, specialmente dopo la pubblicazione della sua ultima enciclica Fratelli Tutti.

Una svolta dottrinale di questo tipo non è legittimata neppure per motivazioni legate al quieto vivere, se solo si guarda alle caratteristiche della visione moderna (e mondana) della fratellanza. Il relatore ne individua una mezza dozzina: la fraternità in senso mondano ha carattere «utopico, violento, rivoluzionario, dispotico, massificante, ateo». Utopico, in quanto il «‘cosa sarà’ diventa più importante di ‘cosa è’» (si potrebbe considerarla una fraternità astratta). Violento, poiché «innaturale» e «ogni lesione all’ordine naturale è violento» (fraternità imposta). Rivoluzionario, a motivo dei sovvertimenti sociali ad essa legata (fraternità giacobina). Dispotico: l’«artificio» può essere imposto solo per mezzo dei totalitarismi (fraternità comunista). Massificante, poiché questo tipo di fraternità produce «masse d’individui anonimi» (fraternità uniforme). C’è, infine, il carattere ateo, perché dietro questa visione si nasconde una sorta di nuova religione «civile, sincretistica, globale e immanentistica» (fraternità dogmatica).

La Fratelli Tutti [FT] di Papa Francesco – a parere di Fontana – restituisce una fraternità di tipo «esistenziale», inclusa nella visione mondana, di cui non si comprendono né i «fondamenti», né i «fini ultimi», se non per accenni. Si parla di un Dio Padre generico, adattabile ad ogni religione, «non unico e nemmeno personale». A questa divinità corrisponde una fratellanza vista come una «con-vivenza in cammino nella storia di soggetti nomadi, viandanti, fatti della stessa carne umana, figli di questa stessa terra, i quali devono fare solo una cosa: dialogare» (cfr. p. es. FT n. 8), secondo le stesse parole del Papa.

La Chiesa cattolica appare, in tal modo, un soggetto tra i molti e una spiritualità tra le altre, il cui compito fondamentale è «guardare avanti» o «sognare insieme» (parole sempre della FT). La fraternità diventa così il mondo e la totalità delle persone, in cui alla fraternità cattolica non resta che inserirsi, a patto di rinunciare a qualsiasi pretesa di un qualunque presupposto naturale, morale o religioso che la fondi.

In questo quadro – continua il relatore – resta il concetto di male, ma esso sembra essere assorbito dalle conseguenze del rifiuto di dialogo. Secondo la dottrina cattolica è il peccato a rompere la fraternità. Ora, in tale nuovo ideale offerto dalla Fratelli Tutti, sembra che la rottura del dialogo e della fraternità siano le cause del peccato – o meglio, «del peccato sociale, non del peccato come offesa a Dio».

La Chiesa, allora, prende sempre più la forma di una sorta di «agenzia sociale», che ha lo scopo di promuovere la fraternità «dentro un dialogo universalistico, paritetico, multicolore e privo di verticalismi», per non dare l’impressione di «alzare muri che dividono».

Cosa chiede la comunità umana ad una Chiesa di questo tipo? Praticamente nulla o, comunque, non qualcosa di diverso da ciò che chiederebbe ad una qualsiasi agenzia sociale, del medesimo tipo e dei medesimi ideali.

Fontana sostiene che il Dio della Fratelli Tutti rassomiglia più al Dio di Abu Dhabi che a quello della Rivelazione, dal nome della Dichiarazione congiunta tra Papa Francesco e l’Imam Ahmad Al-Tayyeb (04/02/2019).

Ne esce, in fondo, un ridimensionamento delle religioni, divenute «accessorie» alla comunità universale interreligiosa, che cammina nel tempo e che è fraterna per virtù propria. La relazione «essenziale» tra Rivelazione cristiana e fraternità universale è riformata e decade al livello di «accidentale».

Ma mettiamo pure – si chiede Fontana – di voler accettare una fraternità così impostata: è davvero possibile un dialogo tra religioni, senza tenere conto dei livelli ontologico, morale e soprannaturale della fraternità?

Almeno con l’Islam, l’operazione è assai difficile. l’Islam non contempla una dimensione ontologica e naturale della fraternità: gli uomini sono divisi «essenzialmente» e «antropologicamente in musulmani, donne e schiavi». Per non parlare della dimensione etica: l’Islam non prevede «una morale naturale o razionale, ma solo i decreti insondabili di Dio». Se poi si volesse accennare a Gesù Cristo (livello soprannaturale della grazia), il dialogo si tradurrebbe in un naufragio, senza più possibilità d’intesa.

Eppure, la Dottrina sociale della Chiesa non può rinunciare al dato reale e rivelato dei tre livelli della fraternità, perché «sono i tre piani che presuppongono qualsiasi altro piano». Un dialogo di questo tipo non avrebbe alcun senso.

Fonte: Osservatorio Internazionale Card. Van Thuân

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