Non solo numeri: restituiamo l’economia agli uomini

di Marco Saccone.

I tempi sono difficili. E l’economia non è poi così tanto buona. Così scrivono Abhijit Banerjee ed Esther Duflo, premi Nobel per l’economia nel 2019, nel loro “Una buona economia per tempi difficili”. Un’opera brillante e innovativa, scritta da economisti veri, di quelli che usano i numeri per spiegare la realtà invece di piegare la stessa ai modelli economici, di quelli che non confondono il progresso umano con il Pil.

Gli autori partono dall’evidenza che, nonostante gli sforzi di generazioni di economisti, i meccanismi profondi della crescita economica “rimangono perlopiù sfuggenti” e “non esistono leggi economiche scolpite nel marmo” in grado di assicurarla. La crescita media del 2%, che pareva la normalità negli anni ’40-’70, è stata una fortunata parentesi. Se osserviamo l’andamento dell’economia mondiale nel periodo più ampio che va dal 1700 al 2012, la crescita media è stata solo dello 0,8%. Dobbiamo quindi accettare, dicono i due economisti, “che la crescita scarsa non è la nuova normalità, è la normalità”. Ed è altresì sbagliato pensare che la crescita coincida con il progresso sociale o il benessere diffuso. Per Banerjee e Duflo, infatti, non tutto è Pil: “quando un albero viene tagliato a Nairobi, il Pil conteggia la manodopera utilizzata e il legno prodotto ma non deduce l’ombra e la bellezza che sono andate perdute […]. Il Pil attribuisce valore solo a quelle cose che hanno un prezzo e vengono vendute”. Il Pil è un mezzo, non un fine: un mezzo utile, in particolare quando crea occupazione e incremento dei salari, ma “lo scopo ultimo rimane quello di aumentare la qualità di vita dell’individuo ed in particolare per chi se la passa peggio. E questa qualità di vita non significa semplicemente consumi”.

Tuttavia, la cultura moderna misura tutto in punti di Pil e la politica si affida spesso a ricette economiche ideologiche, cieca nel miraggio della crescita infinita, dimentica delle distorsioni sociali dell’economia di mercato. “La globalizzazione, la tecnologia […] e la concentrazione, insieme ad altre dinamiche locali”, sostengono gli autori, “hanno contribuito all’aumento delle disuguaglianze”, e di conseguenza, ad una riduzione del benessere diffuso nella società. Ma quando i benefici della crescita economica “arridono per la gran parte a una ristretta élite”, la crescita può essere una ricetta per un disastro sociale”.

La società di oggi non è in grado di formulare una ricetta di buona economia: incapace di riqualificare i lavoratori che vengono sostituiti dai robot, impotente di fronte alla concentrazione monopolistica di interi settori dell’economia, inefficace nelle politiche di contrasto agli effetti negativi dei commerci internazionali, disarmata contro la voracità della finanza. Se non saremo in grado di “disegnare politiche che aiutino le persone a sopravvivere e a conservare la propria dignità”, ammoniscono i premi Nobel, la fiducia dei cittadini” [..], rischia di essere “definitivamente compromessa”.

Una buona economia deve basarsi su una ricetta creativa e ambiziosa che combini alcuni meccanismi più tradizionali di riduzione delle disuguaglianze a strumenti innovativi di diffusione di benessere sociale. Agli strumenti classici come la tassazione delle rendite finanziarie, la tassazione progressiva sui redditi iper-elevati o la flessicurezza, si devono aggiungere meccanismi di portata maggiore come la riqualificazione delle carriere – attraverso programmi di sostegno economico di lungo periodo, riqualificazione profonda delle competenze e riallocazione attiva dei lavoratori – oppure un “keynesismo intelligente” con lo Stato che promuove i lavori socialmente utili come l’assistenza agli anziani, l’istruzione o i servizi per l’infanzia. La ricetta economica è chiara: “aiutare le persone ad assorbire gli shock senza permettere che condizionino la percezione che hanno di sé stesse”, migliorare istruzione, sanità, funzionamento dei tribunali e delle banche, costruire infrastrutture più efficienti, eliminare le fonti di spreco più eclatanti, garantendo così la diffusione del benessere. In questo modo “qualora si presentasse un trend di crescita sostenuto, il paese sarà pronto per coglierlo”. Dobbiamo disegnare un modello economico che rimetta al centro lo sviluppo umano, dobbiamo ridare l’economia agli uomini.

Fonte: l’Occidentale

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