Promossi per decreto

di Giuseppina Coali.

Lasciano sgomenti le dichiarazioni rilasciate, anche in previsione del prossimo Decreto sulla scuola, in merito al futuro dell’anno scolastico. Per noi tutti: da genitori, di figli-studenti di ogni ordine e grado, e soprattutto da insegnanti. Che cosa è accaduto?

Come ormai è prassi di questo governo sfornare decreti a ritmo incessante lo è altrettanto quella, di prassi, di far circolare bozze di decreti (tanto che comincio a pensare che l’operazione sia scientifica di chi insicuro sonda il terreno), così attendibili da essere oggetto di servizio giornalistico con un margine di certezza quasi assoluto. Diciamo che la comunicazione di chi si trova a guidare questo paese rimane un aspetto sconosciuto nei suoi parametri più ovvi e di buon senso, e se “il medium è il messaggio” – come direbbe Marshall McLuhan – applicato a queste prassi comunicative è ancor più evidente che il modo – il medium appunto – di questo governo sembra poco trascendere dal suo contenuto, dalla sua sostanza. Il loro dire è specchio del loro pensare. E questo preoccupa ancor di più.

Ci svegliamo questa mattina con uno spettro che s’aggira sulla scuola; come genitori, studenti e insegnanti capiamo che si prepara una sorta di amnistia – per alcuni già definita un vero colpo di stato nei confronti della scuola – prossima ad essere concessa ai nostri ragazzi: non si boccia né si rimanda, si potrà porre rimedio ad eventuali carenza all’inizio del prossimo anno scolastico (azione vana e ridicola come spesso lo stati i debiti formativi a settembre); forse la scuola riprenderà dal 18 maggio o forse no e in tal caso si andrà per direttissima agli esami di terza media e di maturità con modalità da definire. Questo il succo del discorso.

Da madre comincio subito a sperare che mio figlio non l’abbia saputo, ma il tamtam è irrefrenabile. Il passaparola è velocissimo. Da docente torno con la mente al lungo consiglio di classe del pomeriggio precedente, uno tra i tanti, in cui si ipotizzano soluzioni e si tentano strade da percorrere soprattutto per la valutazione, un dovere dell’insegnante: il dettato costituzionale della scuola. Valutare competenze e conoscenze, esprimere valutazioni formative, intanto, e in qualche modo formali poi, almeno in una situazione di emergenza: come valutare chi non consegna mai i compiti? Chi non collabora? Chi non si presenta a videolezione? Chi fugge all’impegno? Chi approda in questa fase con una situazione già diffusamente precaria?

E poi, come aiutare la didattica in famiglie toccate dal covid? Come fare per chi ha scarsi mezzi? Come muoversi per i ragazzi con sostegno o con programmazioni educative personalizzate? Come garantire un minimo di didattica a distanza che non sia devastante in famiglie con più figli e pochi computer, con connessioni traballanti? Come cercare di non sovraccaricare con i compiti? Come capire chi non riesce a gestirsi? Come occuparsi di mantenere un contatto di vicinanza con tutti quelli che rischiano noia, apatia, mancanza di voglia? Come proseguire le udienze con i genitori per capire che costa sta accadendo nelle loro case?

La scuola non si tira indietro. Ore fiume di collegi docenti e di consigli di classe. La scuola acquista pc per gli insegnanti sprovvisti, chiede aiuto per gli alunni nella stessa difficoltà: ho visto famiglie rimettere mano a vecchi pc in disuso, reinstallare programmi e mettere a disposizione il materiale per i compagni; o province stanziare velocemente per l’acquisto dei materiali, emanare circolari, precisazioni; presidi lanciare inviti accorati a collaborare, sostenere il lavoro degli insegnanti, ringraziare per quanto fatto, richiamare a non scoraggiarsi; docenti giovani aiutare i più anziani a gestire programmi, videolezioni, registrazioni…

Ho visto una comunità solidale e amorevole mettersi in moto in una situazione mai vissuta nella vita, che i nostri anziani definiscono peggiore dei tempi di guerra.

Chi si tira indietro allora? Il governo.

Il governo annuncia che la scuola è praticamente finita, sottrae ai docenti ogni strumento di forza per ottenere risultati didattici, vanifica il faticoso lavoro messo in moto, deresponsabilizza gli alunni dicendogli “tutti salvi, per mancanza di prove”. Peccato che alcune di queste prove potevano essere ottenute, tra cui quella grande si saper affrontare questo periodo, perché proprio questo ci era stato detto quando declamava, lo stesso governo, che non saremmo arrivati al sei politico. E invece ci siamo.

A chi spetta prendere queste decisioni? Perché non siamo stati consultati?

Ora, credo non serva essere raffinati pedagoghi o esperti psicologi dell’età evolutiva per osservare che dal punto di vista dell’azione educativa questa uscita così palese sul futuro delle valutazioni a due mesi dalla fine dell’anno scolastico produrrà effetti disarmati e deprimenti per la scuola: una scuola che si è messa in moto come un dinosauro a cui è chiesto uno sprint e che ormai in partenza si trova a tirare il freno a mano. Effetti disorientanti per le famiglie, dinamiche educative saltate e attriti genitori-figli che già i social cominciano a raccontare.

È evidente che saremmo arrivati comunque a fine anno con una tacita e condivisa volontà di agire con indulgenza e comprensione, ma avendogli chiesto indietro uno sforzo, un senso del dovere maggiore, una maggiore maturità e questo sarebbe stato loro di insegnamento. Per la vita.

Promossi per decreto, ma non salvi per la vita; un obiettivo ambizioso, un dovere educativo, una sfida importante. La scuola l’ha raccolta, il governo l’ha gettata nel cestino.

Fonte: l’Occidentale

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