Ma con Conte l’unità non è possibile

di Marco Gervasoni.

Chiusa perché fallita la breve parentesi della tentata «unità nazionale» voluta dal Quirinale, a cui le opposizioni avevano in buona fede aderito, guardiamo al bilancio: probabile firma del Mes, ripresa alla grande degli sbarchi e richieste di sanatoria per tutti gli immigrati, tentativi di golpe del governo centrale sulla sanità delle regioni amministrate dal centro destra. Un grande risultato. Per il governo Conte.

Purtroppo quanti di noi avevano guardato con scetticismo e diffidenza alla union sacrée in salsa italiana non sono stati smentiti. Per evitare perciò di ricadere in analoghe trappole nel futuro immediato, dobbiamo capire bene quali siano i fattori che rendono difficile in Italia incamminarsi sul sentiero di collaborazione tra governo e opposizione.

Vi sono almeno tre ordini di spiegazioni: una storica, una ideologica e una geopolitica. Quella storica: le forze di opposizione devono capire che la nostra tradizione politica non consente le unioni sacre. Vi è riuscita e solo in parte durante la solidarietà nazionale tra il 1976 e il 1979, ma solo perché il Pci possedeva ancora un forte controllo sulla società e sulle sue truppe; e pur tuttavia è stata propria la solidarietà nazionale a far iniziare il suo declino. Sarebbe ora curioso che mentre in tutti i paesi le opposizioni continuano come giusto a opporsi, e in Ungheria (la dittatoriale Ungheria!) persino a seguire l’ostruzionismo, proprio l’Italia, che non vide unità nazionale neppure durante la Grande guerra, la offra oggi. Le opposizioni dovrebbero sapere che, dalle tradizioni e dalle consuetudini, non si esce con i colpi della volontà e che il morto aggancia sempre il vivo.

La seconda ragione è nel carattere ideologico del governo Conte, incontro tra due culture politiche, quella post catto-comunista del Pd e quella populista di sinistra dei 5 stelle. Queste due culture politiche hanno molto più in comune di quanto le polemiche feroci che li avevano divisi dal 2013 facessero credere. Anzi, gli scontri erano sanguinosi roprio perché si contendevano lo stesso elettorato. Ora i punti in comune si intravedono in un marcato statalismo, in una confusione e sovrapposizione tra morale e politica (ciò che produce il giustizialismo) , in una ritrosia culturale nei confronti dell’impresa, a meno che non sia quella corporativa sovvenzionata, infine in un marcato autoritarismo: i grotteschi inseguimenti dei grigliatori di Pasqua e Pasquetta i tentativi di golpe sulla sanità, il disinteresse reale nei confronti dei problemi della ripresa, persino un certo gusto nell’inseguire le « messe clandestine», rendono difficile, per forze come Lega e Fratelli d’Italia, ma anche Forza Italia, che invece reggono su altri paradigmi, trovare un posto anche come «non opposizione». A meno che non si discuta tutto dalle fondamenta: cioè non si chiedano le dimissioni di Conte e il varo di un governo di salute pubblica (ipotesi che però il Quirinale ha scartato)

Il terzo fattore, forse quello più importante, è di tipo geopolitico. Pd e 5 stelle, per ragioni diverse, sono entrambe forze politiche profondamente anti nazionali – e intendo qui nazionale non nel senso di Alfredo Rocco ma in quello di Antonio Gramsci. Sono cioè forze politiche in cui lo spazio nazionale non è considerato luogo proprietario di azione e di intervento, se non come mero agglomerato di raccolta voti. Questo spiega ad esempio la folla ripresa degli sbarchi in un paese in pandemia che, in teoria, dovrebbe aver chiuso le frontiere o i progetti di sanatoria per gli immigrati.

Essendo forze politiche nella loro gran parte anti-nazionali esse si sono fatte colonizzare ovviamente dagli interessi di altre nazioni: Germania e Francia in maniera evidente nel Pd, assieme al « partito Ue» che è un intreccio di tecno burocrazia, mentre Cina, Russia e persino Venezuela sono entrati nei 5 stelle. Vi è poi la figura di Conte, che non è strettamente sovrapponibile ai 5 stelle, il cui punto di appoggio è il Vaticano. Un Vaticano molto diverso da quello di San Giovanni Paolo II e di Benedetto XV, che avevano ben care le nazioni, a cominciare da quella che aveva ospitato Pietro. che da lì aveva fondato la Chiesa. Il Vaticano di Bergoglio è invece decisamente spinto verso la prospettiva post nazionale e forse persino post europea (se si pensa ai numerosi clin d’oeil tra il regime comunista cinese e la Roma di oltre Tevere). Anche qui, per l’opposizione, costituita da forze politiche per cui lo spazio nazionale è vitale, e che da tempo ha compreso che l’aggancio atlantico, Usa più Uk, è il solo che salva, il tentativo di collaborazione con il governo non poteva che rivelarsi una disfatta.

Quindi: c’è da augurarsi che il governo Conte riceva dall’opposizioni ostilità decisa. Nel caso invece di un altro governo di vera unità nazionale, fondato su un patto e uno scambio esplicito, ovviamente tutto sarebbe diverso.

Fonte: l’Occidentale

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