Aborto: un male assoluto o relativo?

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di Don Silvio Longobardi

Caro Giulio,

mi domandi se “era proprio necessario affiggere quel manifesto così provocatorio”. E ancora: “era proprio necessario scrivere quelle parole che possono turbare la coscienza di quelle donne che per vari motivi sono state costrette ad abortire?”. Ogni domanda è degna di essere accolta e diventa per me un ulteriore stimolo per riflettere sugli eventi e sulle scelte da fare.

Permettimi di partire da un’altra domanda. L’aborto è un male assoluto o relativo? Un male sempre e comunque esecrabile oppure vi sono situazioni che in qualche modo possono giustificarlo o renderlo accettabile? Non è una domanda peregrina. Respiriamo una cultura che sfacciatamente presenta l’aborto come un diritto e, in qualche caso, addirittura come un dovere sociale. Una cultura che si nasconde dietro la Legge 194, elevata a dogma inamovibile della modernità, dimenticando che, stando alla lettera, proprio quella Legge presenta l’aborto come un’estrema necessità da evitare a tutti i costi e non come un diritto da esercitare sempre e comunque.

Per la Chiesa, invece, l’aborto è un “abominevole delitto”: così è scritto nella Gaudium et spes (n.51) senza troppi giri di parole. Questo giudizio riguarda tanto l’aborto che l’infanticidio, due eventi che nella cultura odierna sono diametralmente opposti (l’uno permesso e sostenuto, l’altro condannato e perseguito penalmente) e che per noi pesano allo stesso modo sulla bilancia etica. Non potrebbe esserci differenza più grande di questa. Questo magistero non è mai mutato ed è immutabile, diceva il beato Paolo VI. Papa Francesco, che i media presentano come un Papa più tollerante su parecchi aspetti etici, su questo argomento non vuole sentire ragioni e afferma che si tratta di un omicidio. Anche se nessuno lo ricorda, è arrivato a dire che l’abortista è come un mafioso. Punto e basta.

Se dunque l’aborto è la soppressione di un innocente, come possiamo restare a guardare senza far nulla o facendo il minimo necessario? Per carattere e per scelta convinta, non mi piace fare polemiche ma non mi piace neppure il silenzio che oggi circonda una questione così importante e decisiva per l’umana società. A mio parere si fa troppo poco dando l’impressione di non essere abbastanza convinti e/o di essere piuttosto rassegnati. In entrambi i casi si tratta di un messaggio negativo e fuorviante. Quando lo scorso anno il Parlamento francese si apprestava a varare una legge che avrebbe ristretto notevolmente il diritto di parlare contro l’aborto, mons. Pontier, Presidente della Conferenza episcopale d’Oltralpe, scrisse una pubblica lettera di protesta al Presidente della Repubblica. La Legge è passata lo stesso ma quella lettera ebbe una non piccola eco e rappresentò un preciso segnale a quanti sono impegnati a promuovere una cultura della vita. Noi invece siamo troppo timidi, come se avessimo paura di disturbare…

La realtà è che dell’aborto ormai non si parla più. Non appartiene ai temi della politica ma neppure alle questioni dibattute. Alzi la mano chi può segnalare un libro o un evento nazionale che negli ultimi vent’anni ha sollevato la questione aprendo un dibattito serio. Ovviamente non se ne parla nelle scuole e, in fondo, neppure nelle parrocchie. Ormai è diventato un tema da samiszdat, per ricordare l’editoria clandestina ai tempi del regime sovietico.

In una situazione stagnante come questa, come possiamo non salutare con soddisfazione la campagna lanciata da Pro Vita? È vero, è volutamente provocatoria. Ma se vuoi bucare la schermo, non puoi fare un manifesto che ripete cose scontate in modo scontato. Sprechiamo tempo e soldi.

La seconda parte della tua domanda è altrettanto importante e forse, per certi aspetti, ancora più della prima. Ti riferisci alle parole scritte in basso: “E ora sei qui perché tua mamma non ti ha abortito”. Verità lapalissiana. Ma queste parole, tu scrivi, potrebbero addolorare quelle donne che hanno abortito. Hai ragione, questo può accadere. Ma hai mai pensato che questo dolore potrebbe suscitare un serio ravvedimento e un sincero pentimento? È il male che fa male. Quante persone, a causa dell’aborto volontario, sono cadute nell’abbraccio del male! Nessuno registra le conseguenze di questi atti ma noi sappiamo che quando il male entra nel cuore e nella casa, se non viene immediatamente cacciato fuori con il pentimento e il perdono di Dio, provoca danni ancora maggiori.

Ammonire gli erranti è un dovere, appartiene alle opere di misericordia. Se non diciamo più nulla, non solo diamo l’impressione che siamo rassegnati al male, non solo veniamo meno all’impegno di annunciare la verità, ma permettiamo al male di passeggiare allegramente nei sentieri sempre più angusti del cuore umano.

Un tema come questo è complesso e, rileggendo quanto ho scritto, mi rendo conto di non averlo neppure sfiorato. Ma tu sai come leggere queste parole e come tradurle in una prassi che sappia fare della verità un’espressione di carità. Il Signore ci doni il coraggio di custodire e annunciare il dono della vita. Ti abbraccio.

Fonte: Punto Famiglia

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Autore: Libertà e Persona

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