Alla “Leopolda” Matteo Renzi, a corto di argomenti seri, ha puntato, in vista della campagna elettorale, sulla questione, proposta come vitale, delle notizie false, traendo ispirazione, oltre che da Laura Boldrini e da Matteo Grandi, autore del libro “Far Web. Odio, bufale, bullismo, il lato oscuro dei social”, dagli Usa, dove, a seguito delle elezioni presidenziali che hanno visto perdente la favoritissima Hillary Clinton, è riesplosa l’isteria maccartista dei primi anni ’50, quando si dava la caccia ai comunisti annidati in ogni pertugio dello stato e della società. Oggi si attribuisce l’inattesa vittoria di Donald Trump alle fake news diffuse da siti e hacker al servizio di Mosca. In fondo poco è cambiato in settant’anni. Sempre del nemico storico si tratta: la Russia. Quanto all’Italia sulle prime si è creduto a un assist offerto a Renzi dagli americani New York Time e Buzzfeed, preoccupatissimi di un analogo intervento russo nelle prossime elezioni italiane ai danni del PD,
garante dell’alleanza atlantica, e a favore dei 5 Stelle e della Lega. Presto però si è scoperto che il leader PD l’assist se lo era fatto da solo, dal momento che ispiratore (confesso) dei due articoli è risultato un certo Andrea Stoppa, già socio o dipendente di Marco Carrai, a sua volta fido collaboratore informatico di Renzi, che, da presidente del consiglio, voleva affidargli i nostri servizi segreti. Insomma quella esplosa alla Leopolda era una delle solite “balle” del leader “Bomba”.
Chi conosce due parole di storia sa che tanto la diffusione di notizie false quanto l’occultamento di quelle vere sono da sempre strumenti sia della politica estera sia di quella interna degli Stati. Dopo tutto le fake news nelle loro varie gradazioni (notizie inventate di sana pianta o ingigantite, cancellazioni o minimizzazioni), ammanite secondo i mezzi e gli usi dei tempi, sono da sempre l’anima della propaganda degli Stati, che nei casi più gravi vi danno copertura legale con il segreto di Stato e i documenti riservati o top secret. All’esterno si tratta di un forma di guerra in tempo di pace. All’interno invenzioni e silenzi servono a tenere i cittadini all’oscuro di verità scomode. Fingere di scoprirlo adesso è, per l’appunto, un fake new.
Tutto questo era assolutamente pacifico più o meno fino agli anni ’70 del secolo scorso, fino a quando cioè i governi avevano il monopolio pressoché totale delle false notizie politiche o comunque suscettibili di conseguenze e riflessi politici (ufficialmente – come dice il codice penale – “di turbare l’ordine pubblico”). Un’epoca rimpianta dall’amico di Renzi, Carrai, quando dice: “Un tempo l’informazione era verticale, garantita da una autorictas e divulgata solo dai quotidiani”, purtroppo (per lui) sostituita dallo web e dai social con l‘informazione orizzontale, che (è indubbiamente vero) “si autoalimenta e per i follower diventa vero solo ciò che è virale”. Di conseguenza un gruppuscolo o perfino un singolo, con un minimo di preparazione tecnica, possono diffondere a livello planetario le loro “invenzioni”.
Naturalmente l’auctoritas di cui parla Carrai non garantiva affatto la veridicità delle notizie diffuse dai quotidiani (e dagli altri mass media), ma solo la conformità all’interesse e alla volontà dei centri di potere (in genere, all’epoca, i governi), che, almeno sul piano interno, avevano il controllo pressoché totale dell’informazione. Di qui la reazione di chi agita lo spauracchio delle fake news nel tentativo di ristabilire l’informazione verticale e restaurare il perduto monopolio. Allo stato delle cose (Carrai e Stroppa assicurano però che è allo studio un algoritmo capace di farlo, ma forse si tratta di una fake new), l’impossibilità di trovare un criterio oggettivo per discernere le notizie false dalle vere renderebbe ardua l”impresa se l’intento fosse davvero di bloccare quelle false per la gloriosa affermazione della verità dei fatti. Tuttavia, dal momento che le fake news da eliminare sono solo quelle degli altri, la mancanza di criteri oggettivi facilita il compito, perché non si tratta più di trovarli, ma semplicemente di convincere i sudditi, con le buone o le cattive, ad accettare l’auctoritas del governo e dei mass-media dell’ establishment come unica pietra di paragone del vero. Si aspira a tornare alla prima metà del secolo scorso, quando per le anime ingenue che formavano l’opinione pubblica la maggior garanzia di veridicità era “l’ha detto la radio”.
Renzi può contare sulla sponda del neo-maccartismo americano, perché entrambi ne guadagnano. Gli Stati Uniti hanno bisogno di tutti gli alleati europei nella loro guerra comunicazionale alla Russia. A Renzi l’indiscussa (in Italia) autorità americana serve come criterio di verità o falsità delle news, incluse quelle, utili per la campagna elettorale, che danno per certa l’esistenza di un’offensiva russa supportata da Lega e 5 Stelle. In Italia, in attesa dell’algoritmo, la comunicazione verticale si nutre delle notizie passate dai reports di un organo di propaganda del governo statunitense come l’Atlantic Council, un pensatoio con sede a Washington, che ha lo scopo di “promuovere la leadership americana e il ruolo centrale dell’alleanza atlantica nell’affrontare le sfide del XXI secolo”. Sempre all’informazione verticale si deve la notizia, riportata dalla Stampa (tanto esperta fin dall’origine di fake news – all’epoca si chiamavano semplicemente bugie – da essere stata ribattezzata dai torinesi “la busiarda”), che “già nell’autunno 2016 il Dipartimento di Stato Usa aveva informato con tanto di prove il governo italiano di una offensiva russa in Italia”, specificando che “le prove portate a Roma dalla missione del Dipartimento di Stato erano concrete, ma sarebbe impossibile rivelarle senza violare la legge”. Insomma, basta la parola di Washington.
da Domus Europa
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