Transformer Carròn: le giravolte di un prete spagnolo a capo di CL

JULIAN CARRON

Le vicende di don Julian Carron e della Cl degli ultimi anni sono esemplari di ciò che sta accadendo nella Chiesa.

Oggi Carron, con il valido aiuto di Vittadini (un po’ un Ulisse moderno, perchè “uomo di multiforme ingegno…che molto errò” da un partito all’altro), ha schierato Cl a sinistra, in campo politico, sul fronte progressista, in campo religioso.

L’esatto contrario di ciò che era Cl in passato, e all’epoca di Benedetto XVI.

Forse qualcuno ricorderà che uno dei testi più significativi comparsi nel famoso Sua santità. Le carte segrete di Bendetto XVI, di  Gianluigi Nuzzi (2012) era proprio una lettera di don Carron a mons. Bertello, e quindi, indirettamente, a Benedetto XVI.

Cosa si diceva in tale lettera? Si denunciava la crisi della chiesa ambrosiana, a causa della gestione dei cardinali progressisti Martini e Tettamanzi, e si chiedeva di mandare a Milano il cardinal Angelo Scola. Cosa che poi Benedetto, molto vicino alla Cl di Giussani, effettivamente fece.

Chi rappresentava Scola? Un mondo antitetico a quello dominante  sino ad allora a Milano, essendo Scola un ciellino e un ratzingeriano, tra l’altro presidente per 7 anni, dal 1995, dopo Carlo Caffarra, di quel Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per studi sul matrimonio e famiglia che Bergoglio ha prima tagliato fuori dal sinodo sulla famiglia, ha poi commissariato con il discusso monsignor Vincenzo Paglia, ed ha infine rottamato pochi giorni dopo la morte di Caffarra.

Al conclave del 2013 Scola sarebbe divenuto l’avversario di Bergoglio, mentre due anni dopo, nel 2015, Scola avrebbe condiviso la battaglia dei cardinali Burke, Caffarra, Brandmuller, Mueller, De Paolis e Pell contro le aperture di Kasper, introdotte poi in Amoris laetitia dopo la battaglia del sinodo

(sia consentita qui una breve parentesi: i Dubia sono stati firmati da 5 cardinali, di cui solo 4 hanno permesso che il loro nome fosse reso pubblico a causa della mancata risposta di Bergoglio; ma la loro posizione  era già stata espressa da molti altri pesi massimi, Scola, Mueller, Pell, Antonelli… compresi).

scola

Ma torniamo ai fatti di Milano e alle pressioni di Carron per avere Scola a Milano. Il Carron di quegli anni non solo schierò CL per il Family day del 2007 (il contrario di ciò che avrebbe fatto nel 2015 e nel 2016), ma scrisse la lettera citata, affinchè finisse nelle mani di Benedetto, lamentando che cosa? 

La visione che avevano avuto sino ad allora Martini e Tettamanzi, che è, guarda caso, la stessa che porta avanti dal 2013 Bergoglio.

E nel frattempo, Carron? Ha virato di 360 gradi, e oggi scrive e fa l’esatto contrario di ciò che scriveva e faceva sotto Benedetto, in perfetta linea con i cardinali Martini e Tettamanzi, di cui, allora, si lamentava.

Rileggiamo dunque quella lettera, che andrebbe bene anche oggi, e in cui il sacerdote spagnolo lamentava:

  1. la profonda crisi di fede del popolo milanese guidato da Martini e Tettamanzi
  2. la riduzione del cattolicesimo a moralismo e l’accento posto soltanto sulle questioni sociali (immigrazione, poveri, ambiente…)
  3. l’appiattimento della curia a sinistra
  4. un malinteso senso del dialogo che porta al relativismo…

cattura

Lettera del Presidente  di Comunione e Liberazione Juliàn Carròn al Nunzio apostolico in Italia Giuseppe Bertello del marzo 2011

Eccellenza Reverendissima,

rispondo alla Sua richiesta permettendomi di offrirLe in tutta franchezza e confidenza, ben consapevole della responsabilità che mi assumo di fronte a Dio e al Santo Padre, alcune considerazioni sullo stato della Chiesa ambrosiana.

1)            Il primo dato di rilievo è la crisi profonda della fede del popolo di Dio, in particolare di quella tradizione ambrosiana caratterizzata sempre da una profonda unità tra fede e vita e dall’annuncio di Cristo “tutto per noi” (S. Ambrogio) come presenza e risposta ragionevole al dramma dell’esistenza umana. Negli ultimi trent’anni abbiamo assistito a una rottura di questa tradizione, accettando di diritto e promuovendo di fatto la frattura caratteristica della modernità tra sapere e credere, a scapito della organicità dell’esperienza cristiana, ridotta a intimismo e moralismo.

2)            Perdura la grave crisi delle vocazioni, affrontata in modo quasi esclusivamente organizzativo. La nascita delle unità pastorali ha prodotto tanto sconcerto e sofferenza in vasta parte del clero e grave disorientamento nei fedeli, che mal si raccapezzano di fronte alla pluralità di figure sacerdotali di riferimento.

3)            Il disorientamento nei fedeli è aggravato dalla introduzione del nuovo Lezionario, guidato da criteri alquanto discutibili e astrusi, che di fatto rende molto difficile un cammino educativo coerente della Liturgia, contribuendo a spezzare l’irrinunciabile unità tra liturgia e fede (“lex orandi, lex credendi”). E già si parla della riforma del Messale, uno dei beni più preziosi della Liturgia ambrosiana…

 4)             L’insegnamento teologico per i futuri chierici e per i laici, sia pur con lodevoli eccezioni, si discosta in molti punti dalla Tradizione e dal Magistero, soprattutto nelle scienze bibliche e nella teologia sistematica. Viene spesso teorizzata una sorta di “magistero alternativo” a Roma e al Santo Padre, che rischia di diventare ormai una caratteristica consolidata della “ambrosianità” contemporanea.

 5)            La presenza dei movimenti è tollerata, ma essi vengono sempre considerati più come un problema che come una risorsa. Prevale ancora una lettura sociologica, stile anni ’70, come fossero una “chiesa parallela”, nonostante i loro membri forniscano, per fare solo un esempio, centinaia e centinaia di catechisti, sostituendosi in molte parrocchie alle forze esauste dell’Azione Cattolica. Molte volte le numerose opere educative, sociali, caritative che nascono per responsabilità dei laici vengono guardate con sospetto e bollate come “affarismo”, anche se non mancano iniziali valorizzazioni di quelli che sono nuovi tentativi di realizzazione pratica dei principi di solidarietà e di sussidiarietà e che si inseriscono nella secolare tradizione di operosità del cattolicesimo ambrosiano.

 6)    Dal punto di vista della presenza civile della Chiesa non si può non rilevare una certa unilateralità di interventi sulla giustizia sociale, a scapito di altri temi fondamentali della Dottrina sociale, e un certo sottile ma sistematico “neocollateralismo”, soprattutto della Curia, verso una sola parte politica (il centrosinistra) trascurando, se non avversando, i tentativi di cattolici impegnati in politica, anche con altissime responsabilità nel governo locale, in altri schieramenti. Questa unilateralità di fatto, anche se ben dissimulata dietro a una teorica (e in sé doverosa) “apoliticità”, finisce per rendere poco incisivo il contributo educativo della Chiesa ai bene comune, all’unità del popolo e alla convivenza pacifica, fatto ancora più grave in una città, in una Regione (la Lombardia) e in una parte d’Italia (il Nord) in cui più forti sono le spinte isolazioniste e ormai drammatici e quotidiani i conflitti tra poteri dello Stato.

 7)            Per quanto riguarda la presenza nel mondo della cultura, così importante per una città come Milano, va rilevato che un malinteso senso del dialogo spesso si risolve in una autoriduzione della originalità del cristianesimo, o sconfina in posizioni relativistiche o problematicistiche che, senza rappresentare un reale contributo di novità nel dibattito pubblico, finiscono col deprimere un confronto reale con altre concezioni e confermare una sostanziale Irrilevanza di giudizio della Chiesa rispetto alla mentalità dominante.

Né va trascurata la peculiarità della presenza a Milano dell’Università Cattolica che, nonostante il prodigarsi ammirevole dell’attuale Rettore e dell’Assistente Ecclesiastico, attraversa una crisi di identità cosi grave da fare temere in tempi brevi un sostanziale e irreversibile distacco dalla impostazione originale. Nel rispetto delle prerogative della Santa Sede e della Conferenza Episcopale, non appare irrilevante il contributo che un nuovo Presule, per la sua preparazione e sensibilità, potrebbe offrire a favore di una più precisa linea culturale e educativa dell’Ateneo di tutti i cattolici italiani.

Mi permetto infine di rilevare, per tutte queste ragioni, pur sommariamente delineate, l’esigenza e l’urgenza di una scelta di discontinuità significativa rispetto alla impostazione degli ultimi trent’anni, considerato il peso e l’influenza che l’Arcidiocesi di Milano ha in tutta la Lombardia, in Italia e nel mondo.

Attendiamo un Pastore che sappia rinsaldare i legami con Roma e con Pietro, annunciare con coraggio e fascino esistenziale la gioia di essere cristiani, essere Pastore di tutto il gregge e non di una parte soltanto. Occorre una personalità con profondità spirituale, ferma e cristallina fede, grande prudenza e carità, e con una preparazione culturale in grado di dialogare efficacemente con la varietà delle componenti ecclesiali e civili, fermo sull’essenziale e coraggioso e aperto di fronte alle numerose sfide della postmodernità.

 Per la gravità della situazione non mi sembra che si possa puntare su di una personalità di secondo piano o su di un cosiddetto “outsider”, che inevitabilmente finirebbe, per inesperienza, soffocato nei meccanismi consolidati della Curia locale. Occorre una personalità di grande profilo di fede, di esperienza umana e di governo, in grado di inaugurare realmente e decisamente un nuovo corso.

Per queste ragioni l’unica candidatura che mi sento in coscienza di presentare all’attenzione del Santo Padre è quella dell’attuale Patriarca di Venezia, Card. Angelo SCOLA.

Tengo a precisare che con questa indicazione non intendo privilegiare il legame di amicizia e la vicinanza del Patriarca al movimento di Comunione e Liberazione, ma sottolineare il profilo di una personalità di grande prestigio e esperienza che, in situazioni di governo assai delicate, ha mostrato fermezza e chiarezza di fede, energia nell’azione pastorale, grande apertura alla società civile e soprattutto uno sguardo veramente paterno e valorizzatore di tutte le componenti e di tutte le esperienze ecclesiali. Inoltre l’età relativamente avanzata (70 anni nel 2011) del Patriarca rappresenta nella situazione attuale non un “handicap”, ma un vantaggio: potrà agire per alcuni anni con grande libertà, aprendo così nuove strade che altri proseguiranno.

Colgo l’occasione per salutarLa con profonda stima.

don Juliàn Carrón

 

Si noti che mentre scriveva a Roma, nel marzo 2011, invocando assoluta discontinuità rispetto a Martini e  Tettamanzi per la diocesi di Milano, don Carron, un anno e pochi mesi dopo  elogiava pubblicamente e sonoramente Martini, defunto, sul quotidiano della Milano bene:

 

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Autore: Libertà e Persona

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