Vasco

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Si narra che Jim Morrison nelle sue prime esibizioni con i Doors provasse un tale disagio davanti al pubblico da spingerlo a cantare con il volto rivolto verso il palco.  Per tutta la sua breve, eccessiva, bruciante vita, Jim cercò l’assoluto e si chiese come la gente potesse idolatrarlo in quel modo. Non riusciva a capirlo; di più, il fanatismo gli dava enorme fastidio in quanto non faceva che alimentare la sua solitudine.

Credo qualche cosa di simile abbia sempre animato lo spirito di Vasco Rossi; nei suoi occhi, nelle sue parole, dietro gli occhiali, dietro l’aria di sfida, sembra di scorgere una malinconia, un conto aperto con la vita.

Forse Dio da alcuni si fa trovare fuggendo, sottraendosi; lasciando qua e là dei segni confusi, tracce che a volte confortano e a volta confondono.

Quando capita di essere toccati dalla fuga di Dio, allora la vita s’affatica. Il poeta Giorgio Caproni al riguardo scriveva: “Come tant’altri anch’io, un albero fulminato dalla fuga di Dio”.

Il fulmine incenerisce e se non uccide, lascia profonde ustioni nella carne.

Chi è “toccato dal fulmine” diventa sensibilissimo, vede con occhi particolari, sente con finezza assoluta;  la carne e lo spirito si fanno doloranti in chi è stato “visitato dal fulmine”. Questo abnorme sentire porta agli eccessi, porta a voler stordire i sensi, per anestetizzare il dolore, porta alla solitudine.

Vasco credo possieda il dono di un anomala sensibilità, come gran parte degli artisti veri; il disagio che nasce dalla dismisura che separa l’ideale dal reale.

Una canzone in particolare credo riveli questo stato di cose: “Sally”, un pezzo meraviglioso che a detta di alcuni critici sarebbe la metafora della vita di Vasco, con un finale aperto ad una speranza appena sussurrata: “ … forse qualcosa si è salvato, forse davvero non è stato tutto sbagliato, forse era giusto così, forse ma, forse ma si…

Vasco ha reso esplicito in molte sue canzoni, il non detto che alberga nel cuore di tantissime persone; il timore la vita possa rivelarsi un’illusione, il sorgere e il morire di una passione, il desiderio nascosto, il cadere, il rialzarsi.

Con un linguaggio diretto, popolare ma non privo di slanci lirici Vasco è stato ed è un fedele interprete del nostro incerto tempo. Per questo è amato da una moltitudine che attraversa le generazioni.

Per questo su quel palco davanti a duecentoventimila persone credo fosse solo; con i suoi incubi, con le sue paure, con il peso dei suoi anni; e chissà se avrà pensato per un attimo, al breve tempo in cui nessuno è solo, il tempo del  suo primo “sparuto pubblico”, quando cantava nella chiesa del  paese animando la messa domenicale.

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