Creazione, lotta e mistero.

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Recentemente ho avuto modo di leggere una strana interpretazione del concetto di incarnazione, posta in relazione con la creazione; il teologo, affermava che la scelta di Dio di prendere umana forma in Cristo, rappresenterebbe la rinuncia che Dio compie rispetto al proprio status, per condividere in tutto la condizione umana. Niente di nuovo se ci fermassimo a questo, non si tratta infatti che della riproposizione del concetto di svuotamento, Kènosis, ben delineato da S. Paolo.  Posto, che si tratta di un mistero volto a mostrare sino a che punto l’amore di Dio osi spingersi, ovverosia,  sin quasi alla perdita di sé, all’impotenza; curioso mi pare invece affermare come la creazione non rappresenti altro che una sorta di consegnarsi al mondo dello Spirito di Dio, che in tal modo si abbandonerebbe all’evoluzione delle forme e attraverso la selezione naturale, creerebbe e ricreerebbe il proprio progetto. L’amore di Dio, il Dio amore in sostanza si sarebbe reso disponibile ad una sorta di tritacarne biologico che in realtà egli stesso governerebbe per non so quale decreto insondabile.

Ma, se ci pensiamo bene, non può esiste un reale “perdersi”, un donarsi vero, se si suppone comunque  una sorta di garanzia Divina che in ogni caso tutto conduce a giusto compimento.

Mi pare che letture teologiche di questo tipo siano mosse dal desiderio di conciliare a qualsiasi costo creazione, evoluzione, nonché amore Divino. Questi tipo di interpretazioni moderniste, ammiccanti allo “ Spirito del tempo”con un debito nei confronti di Hegel e Teilhard de Chardin, non sono che vuoti esercizi intellettuali.

Su posizioni non dissimili argomentò alcuni anni orsono Mancuso nel suo libro, “l’Anima e il suo destino”.

Con analogo approccio il biblista al “passo con i tempi” vorrebbe convincere tutti che la morte è un fatto naturale, da accettare con il sorriso sulle labbra. La beatitudine della morte, la chiamano; ma andate a raccontare questa favola immonda a chi ha perso un figlio. Solo chi muore può chiamare la morte “ Sorella”, e mentre lo fa, parla per se stesso.

 

Gli esiti di simili approcci portano a ridicolizzare il senso della creazione, sconfinano nel panteismo e non danno ragione di alcun amore divino, anzi, il Dio che eventualmente “perdendosi”, governa la creazione mi pare tutto fuorché buono, mentre la morte perderebbe il proprio innaturale essere, trasformandosi in un processo voluto dal creatore. I conflitti verrebbero in tal modo ad essere conseguenza del cattivo impegno umano e delle strutture ingiuste, il male cesserebbe di essere una potenza attiva, il demonio non sarebbe che il retaggio di un pensiero arcaico.

La vita del cristiano si appiattirebbe sul mondano nello sforzo di trasformare il mondo seguendo i dettami liberamente interpretabili del Vangelo.

La morale si uniformerebbe al principio umanissimo dei diritti umani e dell’amore donato, ogni giudizio di valore sparirebbe per far posto al moralismo.

Le cose in realtà stanno diversamente, sono immensamente diverse. Cristo ha ingaggiato con la morte, una lotta; Cristo ha giudicato il mondo, lo ha inchiodato alla Croce. Il mondo è redento ma continua ad essere dominato dal male, ma ora, questo male ha trovato un avversario.

La logica del Vincitore ha le radici non nel mondo, ma in cielo. Questo lo intuì Platone e dopo di lui Plotino, per dire dei pensatori pre cristiani. E filosofi di questo rango sono più vicini al vero di tanti biblisti e teologi di oggi. La parola di Dio non si lascia chiudere entro il recinto delle loro dotte esegesi, la parola, ogni parola, porta sempre un mistero insondabile, tanto più la parola di Dio.

 

La vita umana è segnata infatti da una lotta costante, una lotta che percorre ogni relazione, nel mondo vegetale, nel mondo animale, nel mondo umano. È questo il grande mistero, che soltanto il Mistero del figlio incarnato ha saputo vincere. Ma la vittoria di Cristo non cancella il dramma del dolore, delle separazioni, in una parola, della morte. A meno che non si svaluti il mondo, esaltando la dimensione dello spirito ed educando fin d’ora al distacco. Ma questo è proprio ciò che i progressisti negano; il primato del trascendente sull’immanente.

 

 

 

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