La Natura della vita chiede l’Eternità

 

di Francesco Capolupo

Per sua vocazione il poeta è un genio che nel breve spazio di poche righe, dolci o stridenti parole, racchiude le idee che affollano le nostre menti e ci spalanca, quasi sempre, ai misteri dell’umano e del divino, con quella semplicità e profondità che da soli non sapremmo esprimere, se non attraverso lunghi giri di parole, spesso inconcludenti.

I giovani maturandi che nella giornata di ieri hanno svolto la prima prova dell’esame, si sono imbattuti in una poesia di Giorgio Caproni dal sapore apparentemente appetibile

(visto la moda ecologista che al momento padroneggia) ma che in realtà non rende servizio allo scopo principale della poesia , che abbiamo detto essere quello di aprirci al Mistero della Vita, confondendo natura del componimento poetico con la forma del suo adeguamento ideologico ai segni dei tempi, soprattutto i nostri tempi così scuri per la libertà dell’uomo.

Il testo del poeta livornese così si presenta:
Versicoli quasi ecologici
Non uccidete il mare,
la libellula, il vento.
Non soffocate il lamento
(il canto!) del lamantino.
Il galagone, il pino:
anche di questo è fatto
l’uomo. E chi per profitto vile
fulmina un pesce, un fiume,
non fatelo cavaliere
del lavoro. L’amore
finisce dove finisce l’erba
e l’acqua muore. Dove
sparendo la foresta
e l’aria verde, chi resta
sospira nel sempre più vasto
paese guasto: “Come
potrebbe tornare a essere bella,
scomparso l’uomo, la terra”.
Non voglio lanciarmi in un’analisi del testo poiché non sono un “letterato” ma non posso non constatare che la scelta di questa poesia sia del tutto inadeguata per “testare” la maturità dei nostri ragazzi. Cosa trasmettiamo a dei ragazzi che guardano alla vita come all’inizio della loro avventura nel mondo?
Siamo veramente convinti che possiamo pensare di invogliare le intelligenze dei nostri ragazzi sulla base di certe colonne del pensiero vuoto? I versicoli di Caproni, peraltro mai pubblicati, sono solo l’inno al manicheismo più sfrenato che si apre al nichilismo: tu sei inutile, anzi dannoso meglio per te sparire e lasciare spazio alla natura perché nel vuoto lei è silenziosa. Ma non è questo ciò a cui siamo stati chiamati, non è questo che dobbiamo insegnare ai nostri figli, non è questo che rende autonomi e certi i nostri ragazzi di fronte al mondo.
La tradizione biblica, soprattutto nel libro della Genesi, ci dice che Dio affida all’uomo il compito di dare il nome al Creato, cioè l’essenza, questo vuol dire che siamo chiamati non solo a custodire il Creato ma ad usarlo perché l’uomo stesso possa rendere più gloria a Dio, significa molto poeticamente che il mare mi apre alla grandezza dell’infinito, mi spinge a cercare oltre il mio Io qualcosa che alberga nel mio cuore e che la natura rende esplicito ai miei occhi; questo è lo scopo della creazione: portare tutto al centro dell’Universo che è Cristo in cui capitola tutto, anche il nostro desiderio di Amore, di Infinito!
Come possiamo educare i nostri giovani all’infinito se disprezziamo la loro vita, la loro esistenza? Ripartiamo dalla Bellezza, ripartiamo dal Creato, ripartiamo ad educare al Bello, all’Infinito e allora cresceranno uomini e donne che faranno della Bellezza del mare il senso infinito della loro vita, vissuta al servizio del Bene e non persa nel vuoto ideologico di uno Stato sterile educativamente e vuoto umanamente.
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Autore: Libertà e Persona

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