Fake news: mamma mi si è ristretto Google!

google

di Roberto Santoro.

Google aggiorna i suoi criteri di ricerca per penalizzare le “fake news”, bufale o presunte tali, ma dietro l’interventismo dei padroni di Internet, i vecchi e nuovi algoritmi, può nascondersi solo il (vano) tentativo di rimettere ordine in un mondo dell’informazione che sta letteralmente esplodendo.

**************

Google aggiorna i suoi criteri di ricerca per penalizzare le “fake news”, bufale o presunte tali, ma forse è arrivato il momento di capire perché queste notizie riscuotono così grande successo. Mentre blog high-tech e giornaloni si spellano le mani lodando il senso di responsabilità dei padroni di Internet, a nessuno viene in mente di chiedersi come mai la “notizia” sul colpo di stato architettato da Obama è stata una delle più googlate nella ormai celeberrima fessura bianca inventata dai signori di Mountain View.

La notizia è falsa, come l’endorsement di Papa Francesco per Trump, e sarà quindi perseguibile dai censori del web, che a quanto pare nel futuro prossimo non saranno più soltanto neutrali algoritmi – se mai lo sono stati, neutrali – ma personcine in carne ed ossa, con le loro idee e magari i loro pregiudizi, incaricate di bollinare questa o quella news decidendone le sorti nella indicizzazione sulle infinite o quasi pagine del motore di ricerca. Non è chiaro però come mai agli internauti debba essere negato il diritto, se si divertono a farlo, di approfondire il tema del golpe obamiano (“verità alternative”, come le chiamano alla Casa Bianca?).

Non si capisce cioè perché i flussi delle informazioni sul web debbano essere incanalati secondo il criterio seguente: le notizie date dai giornaloni, dai grandi media, quelli che piacciono all’establishment politico-economico, per prime, mentre le fake news o presunte tali costrette a inseguire, pur essendo molto spesso le prime meno lette e condivise sui social delle seconde.

La risposta è che si tende a considerare l’utente medio di Internet un idiota incapace di distinguere il vero dal falso, un boccalone insomma, represso, che si beve tutto, anche l’ultimo dei complotti, mentre invece chi si abbevera alla CNN e al New York Times, che assicuravano all’unisono la sconfitta di Donald Trump alle presidenziali Usa, sarebbe un lettore colto, che ha capito tutto di come va il mondo; adesso Google si appresta a dargli anche il potere di segnalare cosa è fake e cosa no, un altro contentino gentilmente offerto dalla grande industria dei metadati ai suoi sprovveduti clienti.

A parte il fatto che certe fake news sono un esercizio di scrittura creativa degno di rispetto, alzi la mano chi non ha riso almeno una volta per le notizie lanciate da “Lercio”, quello che non sfiora i laudatores a oltranza di Big Web è che dietro l’interventismo dei padroni di Internet, i vecchi e nuovi algoritmi, possa nascondersi solo il (vano) tentativo di rimettere ordine in un mondo dell’informazione che sta letteralmente esplodendo.

Si cerca di correre ai ripari, e di colpo, dopo aver pensato per anni solo a come “profilarci” meglio in base alle nostre ricerche online, i signori di Internet – questi filantropi – si scoprono in prima linea nella lotta alle fake news. Sarà per questo che in campagna elettorale se cercavi “Hillary Clinton” su Google erano tutti cookies e fiori, ma quant’è brava ma quanto è bella Lady Hillary, mentre invece se la stessa chiave la usavi in altri motori di ricerca, Yahoo o Bing, ecco saltare fuori ai primi posti la ben nota “Crooked Hillary” (fu il tormentone delle elezioni americane), ma guai a parlarne, che sei un trumpista prigioniero delle postverità?

Eppure è un po’ strano che con la stessa chiave di ricerca i risultati che appaiono nei “motori” siano così diversi, qualitativamente diversi. Vi diranno che queste come altre notizie sulla Clinton sono state messe in giro apposta da Breitbart, Sputnik o da InfoWars, e da tutti quei siti si dice pompati dagli hacker russi (ad averceli vista l’ubiquità!) per manovrare meglio le elezioni americane, quelle francesi e così via. Quando invece ai lettori del web servirebbe una sana lezione di giornalismo, tipo vinceranno Hillary, il “Remain” inglese e naturalmente #bastaunsì. Ricordate che bombardamento? Quelle non erano fake news, infatti le hanno introdotte nei master di giornalismo per spiegare fin dove può spingersi la fantasia, o meglio, l’ipocrisia, di questa un tempo nobile professione.

Fonte: l’Occidentale

 

Print Friendly, PDF & Email
Se questo articolo ti è piaciuto, condividilo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

quattro − uno =