Nei diversi testi, anche specialistici, che ho potuto consultare, si dice che i due coretti, o, cappelle segrete, o sacelli funerari di Enrico e Reginaldo Scrovegni, o, cappelle segrete, cantorie … posti al livello della fascia inferiore delle Storie della Passione, ospitano due architetture finte a forma di bifore gotiche, con volte a crociera. Dalle volte pendono due lampadari, in ferro battuto, di forma cilindrica.
Il significato di queste due cappelle è stato più volte sondato, ma senza risultati apprezzabili.
Il Basile, nel suo approfonditissimo studio dal titolo Giotto. La Cappella degli Scrovegni1, precisa che in due scritti, del 1951 e 1952, di Pietro Tosca e di Roberto Longhi, è stato rimarcato l’eccezionale effetto di illusione spaziale suscitato dal ricorso ancora precoce di Giotto alla tecnica della prospettiva, tecnica che si affermerà più avanti, prima, con il Lorenzetti, nell’ Annunciazione, e, in seguito, e con un salto di qualità, in Masaccio nella Trinità e nel Brunelleschi, grazie ad appropriati studi.
In conclusione, per i coretti di Giotto, il riferimento, sarebbe non di natura simbolica, ma architettonica, con un significato assolutamente prospettico, ancorché iniziale. Semplice gioco prospettico, secondo il Toesca; effetto di veridica illusione, creato anche dalle scelte di colore –secondo il Longhi. Giotto, non avendo potuto, non si sa per quali motivi, realizzare i transetto che aveva previsto, si sarebbe rivalso, quale risarcimento spaziale, per ridarebbe spazialità alla struttura, rimasta sacrificata rispetto al tracciato originario.
Ciò che stupisce nella spiegazione del Basile è che, mentre afferma trattarsi di uno dei più liberi ed innovativi passaggi di tutta la pittura di Giotto verso la nascita della prospettiva pittorica in senso moderno – ne convengo- si accontenta poi di definire gli stessi coretti al di là di ogni possibile interpretazione sul ruolo e sul significato di questi vani per i quali la critica si è sbizzarrita. Certo, la scelta di Giotto è significativamente innovativa, ma come ho potuto dire in più occasioni, il Filippetti, il Pisani, e, prima ancora, Federico Zeri, o, l’Antonio Paolucci, hanno saputo vedere una lettura sempre più simbolica dell’opera di Giotto nel caso, particolarmente, della Cappella Scrovegni, della Cappella di Santa Maria della Carità, come a buon diritto preferisco chiamarla.
Filippetti, per esempio, in un bellissimo passaggio de Il Vangelo secondo Giotto pone in bocca a Giotto, in una piacevole finzione letteraria, una spiegazione interessante, coordinata con la lettura simbolica, anche questa, delle due edicole, pur esse in prospettiva sì, ma rovesciata. In esse il punto di fuga è verso il contemplante, nei coretti è verso l’infinito. Dice testualmente il Professore: «Queste due stanzette, questi due “coretti” li ho dipinti proprio così, in prospettiva: sembra che vadano a finire a punto, verso un “punto di fuga”, verso il cielo azzurro oltre le due finestre. Volevo di nuovo dare l’idea che il nostro cuore è fatto per il cielo, cioè, per quella misteriosa felicità che è più in là, al di là, infatti tutto quello che abbiamo … non ci soddisfa mai completamente … i due balconcini che incorniciano Gabriele e Maria, cioè la casa di Nazareth, ho pensato di dipingerli in modo strano: volevo dare l’idea dell’al di là che sta stringendo sull’al di qua, dell’Eterno che entra nel tempo, dell’infinito che si incunea nello spazio finito della nostra terra»2.
Continuando sull’onda di questa riflessione, dobbiamo interpretare i due coretti nel contesto simbolico dell’Arco Trionfale. In alto, il Padre, con il volto simile a quello del Figlio nel Giudizio, poiché, chi vede me vede il Padre. Sotto, il grande affresco che possiamo definire della Misericordia del Padre, poiché il Padre ascolta la preghiera dell’Arcangelo e lo invia a Maria a recar l’annuncio, la buona novella del Salvatore.
A sinistra, sotto l’Arcangelo Gabriele, in discesa verticale, Giuda riceve i trenta denari. A destra, sotto Maria, Maria stessa si reca in visita da Santa Elisabetta. Sia Giuda che Maria recano un annuncio. Maria annuncia il Magnificat. Giuda, invece, triste, annuncia a Caifa, che gli porge il denaro della frode, come arrestare il Maestro. Dietro a Caifa, come nell’affresco di Gesù, che ribalta i banchi dei cambiavalute, altri due, che complottano. In tre a decidere e ad operare, come in Dio tre sono le persone! Una trinità rovesciata.
Come suona l’annuncio di Giuda? Colui al quale darò un bacio …! E, a destra, invece, la Madre di Dio, al sussulto dello Spirito risponde con l’esultanza del Magnificat. Non cerca un compenso; porta un dono. Purezza del cuore! Da un lato l’amicizia tradita da un cuore tenebroso alla notte, dall’altro l’amicizia affidata da un cuore luminoso al Cielo.
Giuda è ispirato dal Demonio, che vedi di scorcio, nero e furtivo, come la tentazione.
Sotto Giuda e sotto Maria, ecco i due coretti con le due finestre. La finestra sotto Giuda vede il cielo più scuro. La finestra sotto Maria vede il cielo luminoso. Tenebra e luce! Il contemplante è davanti ed interroga la propria coscienza. Sei Giuda? Sei Maria? Sei Pietro? Vedi tenebra, o, luce? Ricordi? «… dopo il boccone, Satana entrò in lui … Egli, preso il boccone, subito uscì. Ed era notte» (Gv 13, 27ss).
Il particolare della finestra ritorna identico nell’Ultima Cena, dove Giotto dipinge una finestra semi aperta, che lascia intravedere un cielo scuro. E, prima ancora, nella flagellazione, dove addirittura abbiamo due finestre, che danno sulla tenebra ed una porta, altrettanto scura: la porta del Giudice pagano e dei Sinedriti.
Proprio queste finestre sono la chiave, che apre alla interpretazione dei due coretti, se collegate tra loro. Soprattutto Giuda, nei due casi per lui specifici, ha una finestra aperta sull’oscurità. Tutta la vicenda si svolge nella notte, dove crediamo che nessuno ci possa vedere.
S’illude il peccatore che tutto resti segreto. Eppure, tutto giunge alla luce del giorno e le conseguenze di quel gesto giungono fino a lui.
E rivedendo nell’insieme l’Annunciazione, le scene di Giuda e di Maria con Sant’Elisabetta, intuiamo che, se Dio è venuto a farsi uomo (ricordiamo i balconcini che entrano nella nostra scena terrena), dall’altro lato l’uomo ha dinnanzi a sé due possibilità: o tradire sprofondando nelle tenebre, o, esultare nello Spirito.
Una possibilità da approfondire all’interno di una lettura costantemente simbolica della Cappella.
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- Basile G., Giotto. La Cappella degli Scrovegni, Electa, Milano 1992, 271.
- Filippetti R., Il Vangelo secondo Giotto, Itaca, Castel Bolognese 20136, 27.
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