Papa Francesco, grazie!
… Alle 15.30 Papa Francesco ha lasciato Casa Santa Marta per recarsi a Ponte di Nona, quartiere all’estrema periferia
di Roma est … in un appartamento il Papa ha incontrato le 7 famiglie.
… Papa Francesco ha inteso offrire un segno di vicinanza e di affetto a questi giovani che hanno compiuto una scelta spesso non condivisa dai loro confratelli sacerdoti e familiari. Dopo diversi anni dedicati al ministero sacerdotale svolto nelle parrocchie, è successo che la solitudine, l’incomprensione, la stanchezza per il grande impegno di responsabilità pastorale, hanno messo in crisi la scelta iniziale del sacerdozio. Sono subentrati mesi e anni di incertezza e dubbi che hanno portato spesso a ritenere di aver compiuto con il sacerdozio la scelta sbagliata. Da qui, la decisione di lasciare il presbiterato e formare una famiglia.
Questo capitolo è ancora problematico nella vita della Chiesa, perché porta non poche volte a emarginare chi compie queste scelte; inoltre l’età in cui si compiono non permette facilmente di trovare un lavoro con la conseguente forma di precarietà che caratterizza non pochi casi … i bambini si sono raccolti intorno a Papa Francesco per abbracciarlo, mentre i genitori non trattenevano la commozione.
Un gesto fortemente apprezzato da tutti che hanno sentito non il giudizio del Papa sulla loro scelta, ma la sua vicinanza e l’affetto della sua presenza. Il tempo è passato veloce; il Papa ha ascoltato le loro storie, e ha seguito con attenzione le considerazioni che venivano fatte circa gli sviluppi dei procedimenti giuridici dei singoli casi. La sua parola paterna ha rassicurato tutti sulla sua amicizia e sulla certezza del suo interessamento personale. In questo modo, ancora una volta, Papa Francesco ha inteso dare un segno di misericordia a chi vive una situazione di disagio spirituale e materiale, evidenziando l’esigenza perché nessuno si senta privato dell’amore e della solidarietà dei pastori.
Alcune considerazioni imprescindibili
Apprezzando il caritatevole gesto del Santo Padre e l’approccio solidale ai sacerdoti da parte di Avvenire, non manco di porre in rilievo che alcuni passaggi dell’articolo evidenziano l’aspetto socio-umano a scapito di quello della fede e del mistero che il sacerdote dispensato reca nel proprio cuore.
Sembrerebbe, dalle parole su citate, che a metter in crisi un sacerdote siano principalmente gli aspetti psicologici del contesto in cui egli vive. Ciò è deresponsabilizzante!
In realtà, insieme a questi, che sono solo concause, più a fondo vi è non poche volte la carenza di fede, la crisi di fede, cosiddetta, che, più che crisi, dovrebbe essere svolta.
Piuttosto si avverte la perdita della fede stessa, sia sul piano delle verità di salvezza, che della piena fiducia nel Signore.
Spesso il sacerdote è indifeso, sia davanti alle proprie debolezze, sia davanti alle proprie tentazioni, anche perché impreparato sul piano di una seria ascetica. Non solo è affaticato, aspetto importante, ma non esclusivo né determinante, egli spesso è consumato, provato da un combattimento al quale non è a sufficienza preparato e, per il quale, mai si è pronti abbastanza: Il mio spirito è forte, ma la mia carne è debole. Questa non è una novità di oggi, ma una costante di sempre. Certo, dovute pause di ritiro potrebbero aiutare lo spirito a rinfrancarsi, ma bisogna anche essere in dialogo con capaci direttori spirituali, che aiutino il sacerdote a rilanciarsi e a non ripiegarsi sotto il peso dei propri problemi.
Quei problemi menzionati, evidentemente, esistono, non escluso un fragile equilibrio psicologico delle nostre e ultime generazioni.
Circa, poi, l’emarginazione, che consegue all’abbandono del ministero come ad una successiva scelta, bisogna dire che è vero e che addolora ogni sacerdote che vi si trovi, ma non si può dimenticare che il gesto di ogni sacerdote che lascia, sempre induce una ferita nella Chiesa e nei fedeli. La conseguenza non è certo che debba pagare lo scotto, ma certo è inevitabile mettere in conto situazioni che è difficile affrontare in quanto tali e non solo per gli atteggiamenti degli altri: cadremmo nel vittimismo. Noi che abbiamo lasciato il ministero non siamo vittime, anzi, abbiamo preferito dimenticarci che la nostra vocazione originaria ci chiama ad essere vittime con e nel Signore, offerta a Lui gradita e perfetta. Questo è il punto della carenza di fede!
E’ vero che l’argomento è delicato, ma non solo per le pene del singolo sacerdote e dei suoi familiari, spesso gravi, non dimentichiamolo, o della sua nuova famiglia. La sofferenza è grave anche per la Chiesa, che, non poche volte, con il ministero di questi fratelli, perde anche la loro fede.
Su questo argomento non saremo mai abbastanza cauti, ma è certo che la Chiesa debba occuparsene con costanza, zelo, solerzia, accompagnando le persone.
Il Santo Padre, anche in questo caso, ha compiuto un gesto magistrale; un esempio, per tutti, da seguire.