“Infertiliyday” e lo zampino delle femministe

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In questi giorni sul web si è letto veramente di tutto sull’iniziativa, #Fertilityday, del Ministro Lorenzin: sia chiaro, quasi tutto in negativo! Ad essere particolarmente agguerrito contro la campagna della fertilità è il mondo femminile. Per lo più il Ministro viene accusato di non rispettare la libertà di quelle donne che non vogliono essere madri, di considerare la fertilità un bene comune, ma soprattutto di non tenere conto delle reali prospettive di lavoro che, riguardando proprio il mondo femminile, sono spesso condizionate in negativo dalla possibilità della maternità. Riporto da Facebook un commento di una ragazza: “Cara Ministra Lorenzin, lei lo sa che la prima domanda che ci viene rivolta ad un colloquio di lavoro è: “intende avere figli?” Dire che tutto ciò non sia vero è non riconoscere la realtà delle cose. Come è altrettanto vero che quello del lavoro è un campo che però non compete al Ministro Lorenzin. Se le donne, purtroppo, si trovano oggi in questa penosa situazione di chi è la colpa? Semplificando (ma non più di tanto) possiamo certamente affermare che la situazione odierna del lavoro riguardante le donne è stata pesantemente condizionata dalla rivoluzione femminista degli anni ’70. Se le donne, invece di chiedere l’identica parità con l’uomo nel lavoro (non distinguendo dunque fra genere maschile e femminile) e ottenendo, perciò, contratti di lavoro praticamente identici (salvo per i sei mesi di maternità e poco altro…), avessero lottato per ottenere la parità di trattamento partendo dal rispetto di ciò che le caratterizza come donne, da ciò che le differenzia qualitativamente dall’uomo, ovvero l’essere madri, oggi forse non staremmo qui a discutere. Se si fosse partiti da questo, se le donne avessero chiesto parità di trattamento nel rispetto prima di tutto della loro potenziale maternità oggi non ci troveremmo a dover subire campagne pubblicitarie con slogan, diciamolo, anche di basso profilo, ma soprattutto non ci troveremmo a dover combattere concretamente contro la nostra auto-estinzione. Ma, come molti sanno, le cose sono andate molto differentemente. I movimenti femministi hanno visto proprio nella maternità la catena che imprigionava le donne al loro ruolo di mogli/madri, di trappola architettata dall’uomo (!) per soggiogare la donna e tenerla in casa. Nella negazione e nel superamento della maternità hanno identificato l’emancipazione, la tanto agognata libertà dal ruolo di mogli e madri, un’emancipazione “scimmiottata” della figura maschile (che, di fatto, non può avere figli). Le conseguenze le possiamo, dunque, scorgere davanti a noi. Il nostro è un Paese che compie trecento aborti giornalieri (circa 110.000 all’anno!), dove il fare dei figli sembra ormai diventato reazionario e retrogrado, dove ormai una pletora acritica di single (ma non mancano neanche giovani coppie) fa da ripetitore a tristi slogan di troppi maestri del nulla, magari connessi alla wifi in qualche Starbucks. Se quello della denatalità fosse un problema solamente economico esso non avrebbe avuto inizio in Italia con il benessere degli anni ’80. Non sono i soldi a far fare i figli ma la mentalità con cui si cerca di costruire la propria vita. Ben vengano, ovviamente, più politiche per la famiglia e per il lavoro dei giovani, ma in Europa (come nel resto dell’Occidente) i Paesi più ricchi hanno un tasso di natalità fra l’8 e i 12 unità per 1000 abitanti! Se in Italia fossimo più ricchi dubito che la “Spritz generation” si metterebbe a “lavorare” al ritmo del Ministero della Salute!

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