Evangelizzazione e dialogo

misericordia_cristoLa Sacra Scrittura dà abbondantissimi esempi ed insegnamenti sull’evangelizzazione, ma pare ignorare il dialogo interreligioso, anzi sembrerebbe escluderlo. Esso, in realtà, è implicito e presupposto nell’attività missionaria, catechetica ed evangelizzatrice, come appare evidente soprattutto dal confronto di S.Paolo e degli Atti degli Apostoli con i Greci.

Gli apostoli sono consapevoli della missione dell’Israele cristiano di annunciare Cristo ai pagani. Ma sotto questa categoria di “pagani” o “genti” non si fanno distinzioni, come facciamo noi oggi tra molte diverse religioni, le quali allora o non esistevano o non erano conosciute.

Questo termine “pagano”, usato dalla Bibbia, è sempre stato usato nell’apologetica cristiana. Ma il Concilio non ne ha fatto uso. Potremmo chiederci il perchè. Probabilmente non per delle ragioni dottrinali, ma pastorali, di linguaggio.

Innanzitutto, il termine aveva acquistato un senso troppo negativo, quando invece il Concilio ha voluto mettere in luce gli aspetti positivi delle altre religioni. Secondariamente, il termine rischiava di rimandare ad una conoscenza delle religioni arretrata e non scientifica, per cui parve opportuno trovare una nuova espressione, non compromessa. Così si è preferito parlare di “non-credenti”.

Da notare, inoltre, che i primi cristiani, oltre che con l’ebraismo, dovevano confrontarsi col politeismo pagano, già definito dall’Antico Testamento come “idolatria”, termine che riassumeva le religioni dei pagani, dei gohìm, soprattutto i Greci e i Romani.

Tuttavia i profeti mettono in guardia dai contatti con gli idolatri, giacchè l’idolatria è considerata “culto dei demòni”. Il che, però, non impedì ad Israele, sin dall’Antico Testamento, di aver coscienza che il Dio di Israele è il vero ed unico Dio di tutti popoli e quindi di assumere criticamente e saggiamente elementi validi da altre religioni, integrandoli nella religione di Israele.

Nel Nuovo Testamento esiste sì il confronto di Paolo con l’ebraismo, ma sappiamo come esso ha soprattutto un tono fortemente polemico, anche se Paolo non trascura gli aspetti positivi. Ciò non ci impedisce di prendere Paolo a modello di dialogo con l’ebraismo, soprattutto per la franchezza che egli ha nell’esortare gli ebrei ad abbracciare il Vangelo.

Tuttavia, la questione del dialogo interreligioso si è venuta facendo sempre più urgente, difficile e complessa a partire dal sec.XVI, con l’espansione missionaria postridentina, che ha messo i missionari a contatto con religioni fino ad allora sconosciute o pochissimo conosciute.

A parte il fatto che dall’ottavo secolo, con la nascita dell’Islam, era sorto un nuovo aspetto del dialogo interreligioso, per la verità anche questo assai difficile sin dall’inizio, come è ancora difficile a tutt’oggi, per il fatto che i musulmani, a differenza delle altre religioni, hanno un modo aggressivo e quasi terroristico di diffondere le loro idee, tra le quali però alcune sono indubbiamente giuste, come per esempio il monoteismo, che il Corano assume dalla Bibbia. Lo stesso Concilio Vaticano II lo ha riconosciuto.

Senonchè, poi, l’Islam impone il Corano a scatola chiusa: o prendere o lasciare; e se il malcapitato lascia, gli piombano addosso grossi guai, giacchè non si ammette assolutamente che il Corano possa contenere il benchè minimo errore, ma anzi si ha la pretesa che esso sia la suprema rivelazione divina, quindi superiore allo stesso Vangelo: cosa che evidentemente noi cristiani non possiamo accettare.

Ora, i Sommi Pontefici del postconcilio, sulla scia del Concilio, ci spingono con insistenza al compimento di due importanti doveri: l’evangelizzazione e il dialogo, e gli stessi Pontefici ci danno l’esempio del compimento di questi doveri.

Considerando però come vanno le cose in molte circostanze odierne, risulta chiaro che tra queste due attività non sempre c’è il dovuto coordinamento, che lo stesso Concilio ha stabilito.

Il Concilio, infatti, come risulta dai documenti che trattano ex professo di questi temi, intende il dialogo ecumenico, interreligioso e con i non-credenti non come fine a se stesso, quasi fosse il vertice della testimonianza cattolica verso i non-cattolici, ma, insieme con l’inculturazione del Vangelo e la promozione umana, come attività finalizzata a favorire, facilitare, stimolare, persuadere, condurre i non-cattolici ad accogliere il Vangelo nell’interpretazione della fede propria della Chiesa cattolica.

Evangelizzare, infatti, vuol dire, secondo il comando di Cristo, annunciare il Vangelo a tutto il mondo, fino alla fine dei tempi ed ai confini della terra, a tutti i popoli, a tutte le nazioni, a tutte le genti, a tutte le culture, a tutte le singole persone, quale che siano le loro idee, la loro religione, i loro costumi, al fine di condurli a Cristo, affinchè i loro cuori si aprano a Cristo, secondo il famoso invito di S.Giovanni Paolo II all’inizio del suo pontificato: “spalancate le porte a Cristo!”. Qui sta tutto il succo della predicazione evangelica ovvero dell’evangelizzazione: “convertitevi e credete al Vangelo!”.

Si tratta di mostrare il valore della religione e della fede in Dio agli atei, agli agnostici e ai non-credenti, la dignità dell’uomo a chi non crede ai valori umani, di indurre gli ingiusti alla giustizia, di dare speranza di salvezza e di liberazione ai poveri, ai sofferenti, agli afflitti, agli oppressi.

Si tratta di condurre alla vera religione i fedeli delle altre religioni, gli indifferenti, gli scettici, gli idolatri, i superstiziosi, i politeisti, i razionalisti, i panteisti. Si tratta di condurre alla piena accettazione del Vangelo gli eretici, i non-cattolici, gli scismatici, i cattivi cattolici, i tiepidi, i lontani.

Il Concilio ha confermato la missione del cattolico di essere luce del mondo, il mandato apostolico di convertire a Cristo il mondo. Anzi, è stato indetto per chiarire in che consiste l’opera evangelizzatrice e per organizzarla meglio, correggendo i difetti del metodo precedente. Che erano i seguenti.

Primo, la fretta eccessiva nel condurre al battesimo, che faceva trascurare un’adeguata catechesi e preparazione umana. A ciò si è rimediato con la promozione umana e una migliore istruzione religiosa.

Secondo: un attivismo che sembrava far dipendere la conversione più dall’iniziativa umana, che dall’azione dello Spirito Santo. Qui si è rimediato col ricordare questo primato dello Spirito.

Terzo, l’eccessiva pretesa di ottenere risultati esterni, sottovalutando la dignità della coscienza e l’importanza della buona fede dell’evangelizzando. A ciò si è rimediato evidenziando che Dio può salvare anche senza i sacramenti.

Quarto, un legame troppo stretto tra il Vangelo e una particolare cultura, soprattutto occidentale, propria del missionario; per cui il missionario, magari inconsciamente, obbligava l’evangelizzando ad assumere insieme col Vangelo, la cultura del missionario, rinunciando alla propria.

A ciò si è rimediato con l’inculturazione, per la quale il Vangelo, apparendo nella sua trascendenza ed universalità rispetto alle culture, viene trasmesso nella sua purezza per mezzo delle categorie della cultura propria dell’evangelizzando.

Quinto. Il rischio colonialistico che si legasse la conversione ad un assoggettamento più o meno scoperto del convertito al potere o all’interesse di dominio politico della nazione di provenienza del missionario.

A ciò si è rimediato con una migliore dipendenza delle missioni dalla S.Sede e maggiore libertà da condizioni o legami imposti dal potere politico. Il missionario oggi si presenta non tanto come rappresentante di un paese straniero, quanto piuttosto come servitore del bene del paese nel quale opera, come povero tra i poveri.

Sesto. Un’apologetica troppo polemica e spesso carente nella conoscenza delle religioni che pretendeva confutare. E per converso, una presentazione trionfalistica della Chiesa, che taceva delle colpe o delle ingiustizie del passato. Si è rimediato con un’apologetica più oggettiva e l’attenzione ai valori delle altre religioni.

Il grave problema di oggi è che queste ottime misure del Concilio sono state spesso fraintese e quindi male applicate. In sostanza, il guaio consiste nel fatto che non si è capito o non si vuol capire che il Concilio non abbandona affatto il dovere di convertire i popoli e religioni – i “pagani”, come si diceva un tempo – al cattolicesimo, ossia a Cristo, secondo il mandato di Cristo affidato a Pietro e agli apostoli (Mc 16, 15-16).

E’ successo allora che quelli che, nelle intenzioni del Concilio, dovevano essere solo dei mezzi o delle modalità per questa grandiosa nuova opera di evangelizzazione e di conversione, che, nella mente di S.Giovanni XXIII doveva essere una “nuova Pentecoste”, ossia il dialogo di cui sopra nelle sue varie forme, sono stati talmente gonfiati e deformati, da diventare valori assoluti, intoccabili ed invalicabili, come se tutto il compito del dialogo interreligioso fosse esaurito e compiuto nella semplice presa d’atto delle diversità e nella semplice collaborazione con gli altri sul piano umano. Cose belle e necessarie, se fatte bene, ma non sufficienti.

In questa visuale, il fedele di un’altra religione dev’essere lasciato ed anzi approvato nelle sue convinzioni, quantunque contrarie a quelle cristiane. Il contrario infatti, in questa visione relativista ed indifferentista, non esiste.

Non c’è, in certe idee dell’altro, qualcosa di oggettivamente falso, ma c’è semplicemente il diverso, che va apprezzato nella sua diversità. E disapprovare questa diversità, per obbligare l’altro a conformarsi alle convinzioni cristiane, è giudicato violenza offensiva della coscienza e della libertà altrui.

In tal modo, questi che dovrebbero essere solo mezzi e modi per raggiungere il fine, ossia l’annuncio del Vangelo e la conversione dei popoli, correggendo gli errori contrari o colmando le carenze delle altre religioni, perdono la loro funzionalità e subordinazione al detto fine, ed anzi, finiscono per diventare, sotto vari pretesti, veri e propri ostacoli alla nuova evangelizzazione, proposta dal Concilio e continuamente ribadita dai Papi seguenti, fino al Papa attuale.

Così, nel dialogo interreligioso o ecumenico ci si limita ad apprezzare le verità comuni e la diversità delle idee, ma si evita sistematicamente di evidenziare e di correggere, sia pur con tutta delicatezza, prudenza e carità, gli errori dell’interlocutore.

Ne segue che si nega implicitamente la superiorità del cristianesimo, si lusinga o si illude l’interlocutore di seguire una religione altrettanto valida e di pari dignità e semplicemente diversa e magari anche complementare, così come diciamo che la rosa è un fiore diverso dalla margherita, e non invece che la prima è un fiore perfetto, mentre la seconda è difettosa.

Non si può negare l’importanza della gradualità nell’annuncio evangelico, per cui bisogna iniziare con la testimonianza e la condivisione dei valori umani comunemente accettati ed apprezzati. Questo metodo è stato usato nella catechesi cristiana sin dagli inizi del cristianesimo con l’istituto del catecumenato, per cui coloro che erano solo iniziati, non potevano per il momento accedere ai gradi più alti del sapere di fede ed alle esperienza liturgica dei misteri divini.

Se seguendo questo metodo, il catechizzando mostra lentezza di apprendimento, si dovrà procedere a lungo su questa strada introduttiva e preparatoria, non importa: egli cammina già verso Cristo e la Chiesa.

Occorre dunque creare le occasioni e il clima adatto, che consentano di proclamare con franchezza il Vangelo ai non-cristiani, verificando in precedenza che l’interlocutore sia nelle disposizioni di spirito adatte ad accogliere il messaggio e l’eventuale correzione fraterna.

D’altra parte, sappiamo come l’annuncio del Vangelo opportune et importune e la confutazione degli errori, per quanto ciò possa essere dettato da prudenza, carità e misericordia, incontra in molte occasioni opposizioni, sordità, resistenze ed ostilità, che possono procurare all’apostolo gravi sofferenze, in certi casi, fino al martirio.

Non sempre l’interlocutore reagisce nel modo che ci aspetteremmo, non sempre in lui c’è la disposizione al dialogo e all’ascolto, o la prontezza a riconoscere i propri torti od errori, per quanta onestà, benevolenza preparazione e volontà di dialogo e di servizio possa esserci in tal senso nell’apostolo. A volte c’è l’aggressività, l’invidia, l’arroganza, la doppiezza, la perfidia, la slealtà.

Se guardiamo all’esempio di Gesù Cristo o di un S.Paolo o un S.Stefano e dei santi e dei martiri, che hanno lottato contro i nemici della fede, ci accorgeremo che ci sono circostanze nelle quali al dialogo pacato e tranquillo, alla motivata critica, all’annuncio gioioso, alla parola paterna di consolazione e di conforto, alla calda esortazione, al prudente consiglio, alla pacata spiegazione o interpretazione della Scrittura, all’accorata perorazione della causa del Vangelo, alla dotta esposizione dottrinale, all’arguta controversia, occorre sostituire l’avvertimento, l’ammonizione, il rimprovero, l’accusa, la requisitoria, la polemica, fino all’invettiva, alla minaccia, sempre ovviamente per il bene del prossimo e per l’onore di Dio.

In sostanza, al di là di questi eventuali incidenti, il dialogo interreligioso, per non diventare, bene che vada, un girare a vuoto, una liturgia stantia, un semplice scambio di cortesie, un perditempo, una sistematica tergiversazione fatta di reticenze e compromessi o il vano cincischiare o gingillarsi di un inconcludente e narcisistico confronto reciproco, non può limitarsi al semplice livello orizzontale del confronto, cosa buona e necessaria, ma di per sé insufficiente, ma, per non perdersi per strada e realizzare il suo fine ultimo, deve essere sempre animato, nel cristiano, dalla volontà, ora implicita, ora esplicita, ora segreta, ora dichiarata, di guidare l’altro a Cristo. Si deve far vedere Cristo.

Il cristiano deve altresì fare in modo che il dialogo non indugi nella valle o peggio, nella palude, ma prenda al momento buono una direzione in salita, salga sul monte santo, quel salire che già i Padri chiamavano anagogia o mistagogia, vale a dire che il cristiano deve essere conscio di essere un educatore dell’umanità e agire di conseguenza. Il cristiano è alla guida dell’aereo, per cui a un certo punto bisogna che l’aereo spicchi il volo con i passeggeri delle altre religioni.

Spetta dunque solo a noi cristiani cattolici, che, seppur indegnamente, possediamo in Cristo la pienezza della verità, dare al dialogo questa direzione ascensiva, verso questa pienezza della verità, che è Cristo nella Chiesa cattolica.

Si tratta, come ho detto, di un’opera simile a quella dell’educatore, per la quale egli deve far fare all’educando un passo alla volta, proporzionatamente alle sue forze, dall’infanzia alla maturità, correggendolo amorevolmente, tempestivamente e con fermezza nei suoi passi sbagliati. Ora, il cristianesimo, religione del Salvatore del mondo, ha appunto questo compito educativo, perfezionatore e purificatore nei confronti di tutte le altre religioni.

Questo vuol dire che dev’essere il cristiano a guidare il dialogo con ogni prudenza, delicatezza e modestia, ma anche fermezza e chiarezza di idee, capace di rispondere alle obiezioni che gli vengono rivolte e di evitare le insidie che può incontrare.

Infatti, può capitare che siano gli altri, magari senza farlo vedere, a volerlo convertire alla loro religione, o che semplicemente gli altri pongono obiezioni, che il cristiano non sa risolvere. Sicchè può capitare e di fatto capita che a un certo punto, invece di essere l’altro a convertirsi o quanto meno ad avvicinarsi a Cristo, è il cristiano che resta infetto dagli errori dell’altro.

Non è infrequente, per esempio, che nel corso di un dialogo o confronto ecumenico inficiato dall’equivoco e dalla slealtà, invece di essere il protestante a farsi cattolico, è il cattolico che cade negli errori protestanti, magari credendo di essere ancora cattolico e forse più che mai cattolico.

Questa opera educativa o anagogica comporta cinque gradini: 1. dall’ateismo al teismo; 2. dal teismo ad Abramo; 3. da Abramo a Mosè; 4. da Mosè a Cristo; 5. da Cristo alla Chiesa cattolica. Nel dialogo dobbiamo verificare a quale gradino si trova l’interlocutore e operare affinchè salga almeno a quello superiore.

Alcune annotazioni chiarificatrici: al n.2 si trovano i buddisti; al n.3 si trovano i musulmani; al n.3 gli ebrei; a n.4 i protestanti.

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