E’ morto Castro. Ricordiamo i suoi oppositori

armandovalladares
Castro ha avuto, sin dal principio, vari oppositori, soprattutto tra gli ex amici e compagni.

Uno dei più celebri è stato Carlos Franqui, che dopo tanti anni al suo fianco, con ruoli importanti, prese le distanze dal dittatore. Castro, scriveva, ha sempre avuto un solo obiettivo, il potere, e per mantenerlo fa di tutto sino a vendere “ai peggiori capitalisti stranieri negozi, hotel, spiagge, club, ristoranti, centri di divertimenti, industrie, terreni, rum, tabacco, caffè, frutti di mare, il telefono, l’acqua, la produzione di agrumi, i giacimenti minerari, il nichel, il cobalto, le aree petrolifere…e poi le belle cubane…. Castro è il primo capo di Stato prosseneta del mondo. Oltre al fatto che nelle più belle spiagge dell’isola, compresa quella di Varadero, fanno il bagno solo i turisti e gli ospiti stranieri, mentre è proibito l’ingresso ai cubani”[1].

Ma il più famoso dei dissidenti anti-Castro, è stato, per tanti anni, Armando Valladares, la cui liberazione fu ottenuta, dopo tanti anni, dal presidente della repubblica francese, il socialista J. Mitterrand. Il suo formidabile “Contro ogni speranza. 22 anni nei gulag di Castro” (Spirali), uscito per la prima volta negli anni Ottanta per SugarCo, costituisce un capolavoro, di storia e di fede, che ha lasciato il segno.

Arrestato nel 1960, all’età di 23 anni, per aver espresso alcune critiche al regime, Valladares riscopre in prigione- ascoltando il grido di tanti giovani che muoiono fucilati urlando “Viva Cristo re, viva Cuba libera, abbasso il comunismo”- una fede che lo accompagnerà attraverso le più indicibili vicissitudini.

Le sue memorie

sono appunto il racconto di questo inferno: persecuzioni, escrementi e urine gettati in faccia ai prigionieri, celle di rigore, mani mozzate con il machete, botte e sangue, prigionieri usati come cavie dai Mengele cubani intenti a costruire il mito della sanità castrista…. Ma tutto raccontato con la stessa forza che troviamo nelle opere di Solgenitsyn o di Harry Wu; con la stessa fede granitica che tiene viva la speranza, e che impedisce al condannato di soccombere spiritualmente vittima del suo odio. Così nelle memorie di Valladares torna spesso, anche nell’ultima pagina, il ritratto di un prigioniero, chiamato da tutti “Fratello nella Fede”: “un uomo scheletrico, gli occhi azzurri sfolgoranti e il cuore ricolmo d’amore” che invitava sempre i suoi compagni a perdonare. Che morì “alzando le braccia al cielo invisibile”, chiedendo a Dio “clemenza per i suoi aguzzini”. Il sangue dei martiri è seme, anche, di libertà.

All’impegno di Valladares, infatti, è seguito quello di molti altri.

Nel febbraio del 2010, per esempio, Orlando Zapata, dissidente cubano, ostile al regime dittatoriale di Castro, muore in ospedale, dopo 85 giorni di sciopero della fame. Zapata era un ex muratore di Santiago di Cuba, ed aveva solo 42 anni.

La sua morte, così spettacolare, desta per qualche tempo un minimo interesse dei giornali e  dell’opinione pubblica per una delle dittature comuniste ancora vive nel XXI secolo.

La protesta tramite scioperi della fame, sino alla morte, è una consuetudine degli oppositori cubani, sin dal principio del regime, come dimostra, tra le altre, la vicenda di Pedro Luis Boitel.

Costui, già nemico di Batista, era anche un oppositore di Fidel Castro, e fece l’errore di candidarsi alla presidenza della Federazione studentesca universitaria. Arrestato di lì a poco, venne condannato a 10 anni di prigione, durante i quali in più occasioni fece degli scioperi della fame per protestare contro il feroce trattamento subito. Il 3 aprile 1972 Boitel iniziò l’ennesimo sciopero: al quarantanovesimo giorno cadde in uno “stato di semicoma”: morì dopo altri 4 giorni, senza cure e senza che alla madre fosse neppure permesso di vedere il corpo del figlio.

Il fatto è che a Cuba non solo è estremamente facile finire nella galere-gulag di Castro, ma è altresì terribile rimanervi. In più occasioni infatti sono stati denunciati l’uso dell’elettroschok, di cani da guardia lanciati contro i prigionieri, la privazione del sonno e la rottura del ritmo del sonno come modalità per sfiancare i detenuti e portarli, non di rado, alla pazzia…

Le celle cubane godono di soprannomi inquietanti. Tostadoras (tostapane), per il caldo insopportabile che vi regna; ratoneras (buchi per topi), quelle piccolissime e sotterranee; gavetas (gabbie), quelle piccole e strette come delle gabbie…

A marcirvi dentro, per anni, e anni, magari in mezzo agli escrementi, senza acqua né assistenza medica, gli oppositori, religiosi e politici, a cui è negato persino il titolo di uomini: vengono infatti definiti, dal regime,  “gusanos” cioè vermi.

Dal 1959 ad oggi, secondo Pascal Fontaine, collaboratore del “Libro nero del comunismo”, circa 100.000 cubani “hanno sperimentato i campi di lavoro o i fronti aperti e sono state fucilate dalle 15.000 alle 17.000 persone”. In verità queste cifre sembrano estremamente prudenziali, visto che i cubani che sono riusciti a scappare all’estero, evitando la morte, frequente, nelle acque dello stretto della Florida,  parlano di cifre anche quattro volte superiori.

La morte di Zapata, cui si accennava, porta finalmente a conoscenza del grande pubblico l’esistenza di altri dissidenti che coraggiosamente affrontano il regime con incredibile coraggio e speranza.

Tra questi il celebre Guillermo Farinas, psicologo e  giornalista che il 23 febbraio 2010 comincia un lunghissimo sciopero della fame che lo riduce alla condizione di uno spettro, ormai solo pelle e ossa. Farinas interromperà la sua protesta grazie alle trattative tra Chiesa cattolica e regime, volte alla liberazione di 52 prigionieri politici[2].

[1] Carlos Franqui, “Cuba, la Rivoluzione: mito o realtà?Memorie di un fantasma socialista”, Baldini e Castoldi Dalai, 2007, pp. 586-587.

[2] “la Stampa”, 8/7/2010.

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Autore: Francesco Agnoli

Laureato in Lettere classiche, insegna Filosofia e Storia presso i Licei di Trento, Storia della stampa e dell’editoria alla Trentino Art Academy. Collabora con UPRA, ateneo pontificio romano, sui temi della scienza. Scrive su Avvenire, Il Foglio, La Verità, l’Adige, Il Timone, La Nuova Bussola Quotidiano. Autore di numerosi saggi su storia, scienza e Fede, ha ricevuto nel 2013 il premio Una penna per la vita dalla facoltà di Bioetica dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, in collaborazione tra gli altri con la FNSI (Federazione Nazionale Stampa Italiana) e l’Ucsi (Unione Cattolica Stampa Italiana). Annovera interviste a scienziati come  Federico Faggin, Enrico Bombieri, Piero Benvenuti. Segnaliamo l’ultima pubblicazione: L’anima c’è e si vede. 18 prove che l’uomo non è solo materia, ED. Il Timone, 2023.