Le elezioni in dieci punti

Ciò che le ultime elezioni attestano lo riassumerei così. Primo, la pancia dei Trentini è ancora ben piena, i vantaggi dell’autonomia speciale rilasciano gli ultimi benefici effetti prima di costringere i governanti ad “una borsa sempre più leggera”.Secondo, non esiste alcuna corrispondenza consapevole fra il livello nazionale della politica e quello locale, prova ne sia che l’impoverimento finanziario di comuni e province dagli aderenti al Pd è addebitato ai voleri imperscrutabili del fato e non alla politica del loro leader. Terzo, la capacità di ” generare consenso elettorale” da parte di chi detiene il potere, di fatto altera la natura della democrazia, in nome del principio di “una democrazia dei pochi”, che però creerebbe governabilità.

Quarto, l’altissimo astensionismo, segno di disamore e perdita di ogni speranza non turba più di tanto i vincitori, ossessionati dalla ricerca individualistica del consenso. Cinque, la presenza di partiti d’opposizione particolarmente polemici e conflittuali, come Lega e Cinque Stelle, finisce per rafforzare i partiti di governo, dando luogo ad un sfogo emotivo “dell’area del dissenso”, che in tal modo si appaga.

Sesto, non esiste né a livello nazionale né locale una leadership capace di contrastare lo strapotere seducente del renzismo che gode di un credito ” Europeo”s’in tanto che svolge bene i compitini, poi, si vedrà. Ma anche su questo i governanti nostrani sembrano del tutto estranei alle ragioni complesse della crisi, appiattiti sul dogma delle riforme strutturali; come dire, riforme che ridefiniscono lo scheletro del paese, dopo averlo spolpato.

Sette, chi detiene il potere e chi ne annusa l’appetitosa attrattiva è disposto a salti mortali pur di partecipare al banchetto, sotto la spinta di un esasperato individualismo; pertanto, i progetti generici ed estemporanei, vedi liste civiche, funzionano a meraviglia come strumento elastico per spostarsi da destra a sinistra riducendo l’ambito dello sconcerto nel corpo elettorale. Si tratta del vecchio trasformismo assurto a procedura ordinaria su tutta la penisola. Otto, i governanti non cedono mai la mano; l’ultimo credo sia stato Carlo V, quando prese la decisione di ritirarsi in preghiera presso l’Estorial. Nove, il partito della Nazione unitamente alla riforma elettorale contribuisce a distruggere la natura stessa dell’idea di partito, sostituendola con il principio del contenitore che tutto contiene e che un solo “Califfo”guida e questo grazie al vitalismo e alla fame di un nuovo ceto politico giovanilista che si trova catapultato sul proscenio della storia. Versione nostrana della fine della storia teorizzata da Fracis Fukuyama. Dieci, quando la crisi morderà fino all’osso la classe media, Renzi e gli amici si sveglieranno, ma temo, sarà troppo tardi.

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