Il futuro del Cristianesimo

croce

Giusto l’altra sera, a cena, venivo amichevolmente interpellato su quello che potrebbe essere, in Europa, il futuro del Cristianesimo. La gravità del problema e il catastrofico destino di molti pronostici mi hanno indotto ad astenermi da qualsivoglia previsione. Previsione che invece non hanno timore di fare al Pew Research Center, secondo le cui recentissime proiezioni – se la tendenza attuale non subirà variazioni – nel 2050 gli europei, che nel 1910 ne costituivano il 66%,  rappresenteranno poco più del 15% della popolazione cristiana mondiale. Mentre altri continenti avranno un futuro diverso e l’Africa sarà sempre più cristiana, l’Europa dunque lo sarà sempre meno. Attenzione, però: meno cristiana, non meno religiosa; guai, infatti, a confondere il distacco dalla Chiesa – o dalle chiese – col distacco dalla religiosità, che semplicemente cambierà, verosimilmente riducendosi a quella comodissima spiritualità individualistica del «secondo me Dio esiste, ma altro non saprei dire». Ma torniamo al futuro dell’Europa, destinata ad essere – salvo imprevisti che lo scettico neppure considera ma che il credente, che confida nella Provvidenza, non esclude – sempre meno cristiana.

Non intimoriscano le proiezioni poc’anzi ricordate: c’è qualcuno che quelle stesse cose le ha dette non anni, ma decenni prima. E fornendo una lettura molto meno fredda di quella numerica; quel qualcuno – un certo Joseph Ratzinger, a quel tempo astro nascente della teologia – nel lontano 1969 effettuava una lettura del futuro del Cristianesimo occidentale ed europeo così profetica da far venire i brividi: «Dalla crisi odierna emergerà una Chiesa che avrà perso molto. Diverrà piccola e dovrà ripartire più o meno dagli inizi. Non sarà più in grado di abitare gli edifici che ha costruito in tempi di prosperità. Con il diminuire dei suoi fedeli, perderà anche gran parte dei privilegi sociali. Ripartirà da piccoli gruppi, da movimenti e da una minoranza che rimetterà la Fede al centro dell’esperienza. Sarà una Chiesa più spirituale, che non si arrogherà un mandato politico flirtando ora con la Sinistra e ora con la Destra. Sarà povera e diventerà la Chiesa degli indigenti. Allora la gente vedrà quel piccolo gregge di credenti come qualcosa di totalmente nuovo: lo scopriranno come una speranza per se stessi, la risposta che avevano sempre cercato in segreto».

Difficile aggiungere altro a queste parole, che solo ad una lettura frettolosa suoneranno tristi e sconfortanti, essendo invece – in prospettiva – speranzose e stimolanti, per gli europei cristiani di oggi. I quali non solo hanno il compito di testimoniare il Cristianesimo, ma pure – e sempre più – di farlo nel modo più autentico e puro, presentandolo, specie a quanti credono già di conoscerlo e lo ridicolizzano, «come qualcosa di totalmente nuovo». C’è forse una missione più bella? Esiste per caso un compito più alto di quello che aspetta a colui deve preservare e vivere l’eredità delle eredità, fino a ridarle la luce che da duemila anni le è propria? La sensazione che a cena, l’altra sera, avevo e non ho saputo confidare a chi mi poneva domande sul futuro del Cristianesimo è dunque che a noi cristiani d’Europa, pur nella difficoltà di un crescente isolamento culturale, tocchi qualcosa di impegnativo e meraviglioso insieme. Certo, non faremo a tempo – non quaggiù, almeno – a vedere i frutti di ciò che stiamo seminando e semineremo; ma lo stesso è capitato ai semplici fedeli così come ai santi che ci hanno preceduto. Vale dunque la pena proseguire, con speranza e fede soprattutto, l’antica strada continuando a cercare, sulla scorta dell’esortazione paolina, «le cose di lassù». Al resto, penserà Lui.

giulianoguzzo.com

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