La cappella di santa Maria della Carità

di Marcello Giuliano
scrovegni
Non abbiamo lo spazio per soffermarci sulla analisi di questa meravigliosa Cappella, -più conosciuta con il nome di Cappella degli Scrovegni, in Padova-, ma possiamo dire che non ha senso chiamarla con il nome del committente (Scrovegni) alla moda degli storici dell’arte profani. Il suo titolo della dedicazione è esso stesso un simbolo parlante. “Santa”, perché santificata dallo Spirito; Maria, Miriam, Signora, perché Ella realizza il progetto di Dio: fare della Donna la Signora del mondo

come dell’Uomo il Signore: «…domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo …» (Gn 1, 26ss); “della Carità”, perché “Deus Caritas Est” (1Gv 4, 16), “Deus” è Dio, in particolare, il Padre, e … «Chi vede Me vede il Padre» (Gv 14, 9). “Santa Maria”, così, è “della Carità, è di Dio, è del Padre, è per il Padre”, che la chiama ad una missione, a quella missione ad extra, che chiama il Verbo a farsi carne. Questo titolo della Cappella incornicia e svela il senso del ciclo pittorico di Giotto, che la rende uno dei capolavori al mondo e che ripresenta la missione del Padre: salvare l’uomo per ricondurlo alla Adorazione e gloria di Dio.
Leggere la Cappella in questa direzione significa coglierne il lato simbolico, cioè, la sua vera natura e scopo. Per questo, quando si accosta questa opera, come tante opere sacre, bisogna fare attenzione a come presentarla o non presentarla, pena il fraintendimento dell’opera. Un esempio suggestivo, per esempio, ma fuorviante, è il documentario facilmente reperibile tramite Youtube, della durata di 1’ e 51’’ . Pochissimo per parlare in modo esaustivo di un simile capolavoro. Ma abbastanza per impostarne una prima conoscenza in modo corretto o deformante, cioè, che esce dalla forma: dalla fede della Chiesa.
Il filmato mostra una panoramica, che evidenzia la grandiosità del progetto della Cappella. Ma sia nel filmato, che in molte presentazioni della Cappella, l’affresco che si fa notare, e con il quale si identifica sovente il monumento, è il Giudizio Universale. Il regista fa passare la telecamera di sfuggita, -e senza menzionarlo-, sull’affresco dell’Arco trionfale. L’enfasi sul Giudizio, pur importante per la fede e la vita futura, non può far trascurare l’origine della Storia della Salvezza, ovvero, l’intento salvifico del Padre. Di recente parlavo con alunni delle superiori recatisi in visita alla Cappella. La guida, nei brevi quindici minuti previsti, passava da un affresco all’altro, ponendo l’attenzione sul Giudizio e concludeva: «Ecco, nello zoccolo monocromo, vedete a sinistra il corteo delle virtù cardinali e teologali e, a destra, i vizi opposti. Se seguite le virtù siete salvi, se i vizi andate all’inferno, che Giotto ha dipinto là, a destra, in basso …».

È vero che praticando le virtù si va in Cielo e, viceversa all’inferno, per mantenere il linguaggio dell’immagine, ma detto così si dà della fede una visione per prima cosa moralistica e, secondariamente, assai monca. La guida risultava assolutamente ignara del nesso esistente, e imprescindibile, tra l’affresco del Padre misericordioso, ritratto nel’Arco trionfale, ed il Figlio ritratto nel Giudizio, entrambi, per esempio, con lo stesso volto. Non sarebbe il caso di porsi una o più domande? Perché il Padre è dipinto al di sopra dell’Annunciazione? Ciò è insolito. Perché i due volti uguali? Perché molti volti, di personaggi diversi, sono stati ritratti uguali da Giotto? Le domande sono moltissime. Se io entro in casa di un ospite, egli mi accoglie e saluta, ed io non mi volgo indietro a guardare cosa sia appeso sopra l’architrave dell’uscio! Entrando nella Cappella dall’ingresso principale, cioè, il Giudizio è alle spalle e, dinnanzi a me, campeggia, ben evidente, il grande affresco del Padre misericordioso, che invia l’Arcangelo Gabriele ad annunciare a Maria la nascita del Salvatore (sarebbe interessante riprendere la leggenda medioevale ivi connessa). Poi si snoda tutta la vita dei Genitori di Maria, di Maria stessa, di Gesù e dei suoi Apostoli, fino alla nascita della Chiesa e all’Ascensione al Cielo. Lo zoccolo, sulle due pareti di Nord e Sud, illustra i vizi e le virtù, che accompagnano nel combattimento spirituale il cristiano fino all’incontro con Dio. Ma qua occorre ricercare i molteplici nessi; leggere ogni affresco non solo nel suo sviluppo storico, ma anche nel suo senso profetico e simbolico, con una sorta di lectio divina, che chiamerei lectio simbolica.
Preme sottolineare che se si parte dall’Affresco del Padre, che si presenta con il volto del Figlio (e rimira il figlio nell’affresco del Giudizio …), si propone una fede di speranza e carità; se si presenta la Cappella partendo dal giudizio, -ritornandovi più volte e tralasciando il Padre-, si cade nel ritornello arcinoto di una religione fondata sul giudizio e, direi, sul pre-giudizio. Scopo della Cappella è presentare il Simbolo della Fede , che accompagna il cristiano nel pellegrinaggio terreno e lo sostiene all’incontro con Cristo.
Considerato che gli storici dell’arte profani commettono spesso quest’errore di prospettiva e lettura, il risultato è che molti, anche credenti, poi, non sono in grado di leggere l’ arte sacra per ciò che significa, ma vi sostituiscono ciò che le si vuol far dire.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Autore: Libertà e Persona

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