Progressisti e conservatori

È dall’epoca del Concilio Vaticano II che nella pubblicistica, nei dibattiti ecclesiali e teologici si parla di una differenza, per non dire contrapposizione, tra “progressisti” o “innovatori” e “conservatori” o “tradizionalisti”. Pochi ritengono questa differenza come due normali e legittimi diversi punti di vista o di vivere del medesimo essere cattolico. Molti o moltissimi, invece, considerano gli uni, ossia se stessi, come veri cattolici e gli altri come falsi cattolici.
Alcuni chiamano “di destra” i cattolici tradizionalisti, e “di sinistra” quelli progressisti; ma si tratta di denominazioni sconsigliabili, perchè tratte dalle categorie politiche e che non suggeriscono una qualifica morale, come invece emerge dai due suddetti appellativi di “progressista” e “tradizionalista”.
Questo vuol dire che esistono due modi contrastanti di intendere la dualità “progressista-conservatore”. Vediamo di chiarire questo punto. Servirà a favorire il dialogo e la concordia intraecclesiale oggi compromessi da aspre divisioni e polemiche reciproche, che intralciano la vita ecclesiale, ostacolano il bene delle anime e rendono una controtestimonianza al mondo.
Ho già accennato all’inizio a questi due modi. Il primo si riferisce al fatto che in una società e quindi nella Chiesa nel suo aspetto umano vi sono naturalmente singoli o gruppi risultanti dall’associarsi di questi singoli, i quali o si sentono più inclinati o più interessati a conservare i valori tradizionali o a promuovere il cambiamento, il rinnovamento, la riforma, il progresso.
Queste due tendenze sono fatte per collaborare e completarsi o correggersi reciprocamente tra di loro, perchè appunto il bene complessivo e completo della società e della Chiesa risulta da questa convergenza, così come il bene del cuore risulta dall’alternarsi della diastole e della sistole o il bene dei polmoni dal succedersi dell’inspirazione e dell’espirazione dell’aria.
Ma perchè ciò avvenga, è necessario che tutti riconoscano, rispettino e pratichino i valori comuni; perchè se conservatori o progressisti restringono il bene comune al fine della loro corrente o del loro partito, succederà che il concetto di cattolico perderà la propria universalità e sarà privato di quell’aspetto che appartiene al partito che viene escluso. A questo punto sorge il secondo modo, sbagliato, di affermare il progressismo o il tradizionalismo.
E’ evidente che i valori comuni sono al di sopra dell’essere progressista o tradizionalista e che tutti devono sforzarsi di stare al di sopra delle parti e mettere in cima ad esse i valori comuni. E’ chiaro che il guaio non sarebbe tanto lo snobbare il progressismo o il tradizionalismo, quanto piuttosto, in nome di questo o di quello, tradire i valori comuni.
Tuttavia è del tutto normale, benchè non obbligatorio per tutti, che, chi vuole, faccia la sua scelta da una parte o dall’altra, ma sempre con questo intento di servire il bene comune e di convivere serenamente con l’altro partito, sapendo che anch’esso, come lui, appartiene alla Chiesa.

Il Concilio Vaticano II ha voluto essere di proposito un Concilio di incremento o promozione dottrinale, a differenza di altri, come per esempio quello di Trento o il Vaticano I, i quali, senza escludere l’aumento di dottrina, vollero essere soprattutto restauratori di valori tradizionali perduti, contro pericolose innovazioni, quelle di Lutero, nel caso di Trento; e quelle del pensiero moderno, nel caso del Vaticano I.
Altri Concili sono rimasti famosi invece soprattutto per il loro incremento dottrinale, come per esempio quelli di Nicea e di Calcedonia in forza dei loro apporti decisivi nella conoscenza del dogma cristologico. Per questo Paolo VI disse a Mons.Lefèbvre che il Vaticano II, benchè non contenesse definizioni solenni di nuovi dogmi, tuttavia, per la sua importanza dottrinale, poteva considerarsi altrettanto importante quanto il Concilio di Nicea.
Sbagliano quindi coloro che, onde aver pretesto per negare l’infallibilità delle nuove dottrine del Vaticano II, dicono che è soltanto pastorale. Ciò non corrisponde nè alla realtà dei fatti – basti pensare che contiene due Costituzioni dogmatiche – nè alle dichiarazioni dei Papi del postconcilio.
Invece, come disse S.Giovanni XXIII nel famoso discorso di apertura del Concilio Gaudet Mater Ecclesia, uno dei principali scopi del Concilio non era tanto quello di ritrovare o difendere la sana dottrina tradizionale oltraggiata dagli errori moderni – essa si dava per scontata -, quanto piuttosto quello di spiegarla agli uomini del nostro tempo, quindi una finalità apertamente progressista. Per questo a partire dal Concilio le tendenze ecclesiali progressiste acquistarono maggiore autorità, fama e prestigio rispetto a quelle tradizionaliste, in quanto meglio rispecchianti gli intenti del Concilio.
Senonchè, poi, come è ormai dimostrato dalla storia, avvenne un fatto gravissimo, certamente non voluto dal Concilio, e cioè che immediatamente dopo il Concilio nacque un movimento teologico sedicente progressista, ma in realtà criptomodernista, il quale, oltrepassando i limiti di un onesto e lecito progressismo, che si mantiene nel solco dell’ortodossia e presentandosi anche contro il Magistero della Chiesa come interprete del Concilio, trasgredì questi limiti, fece rinascere un modernismo peggiore di quello dei tempi di S.Pio X, ottenendo presso molti fedeli e presso molti ambienti della pubblicistica cattolica, della gerarchia e delle istituzioni accademiche la fama di essere la punta avanzata della Chiesa, mentre ogni forma di tradizionalismo, anche quello del tutto ortodosso e fedele al Concilio, era calunniata e squalificata come cattolicesimo vecchio e superato.
Indubbiamente, occorre essere cauti nell’uso del termine “modernismo”, che di per sè fu un movimento ereticale, per cui è importante non sbagliare bersaglio. Di modernismo, per esempio, si può accusare il rahnerismo o una teologia come quella di Teilhard de Chardin o di Boff o di Schillebeecxk o di Vito Mancuso; ma sarebbe grave ingiustizia o fraintendimento rintracciare, come fanno certi tradizionalisti estremisti, il modernismo in alcune dottrine del Concilio o dei Papi del postconcilio fino all’attuale.
Al contrario, a ben guardare, le dottrine del Concilio, rettamente interpretate con l’aiuto del Magistero della Chiesa, proprio nel momento in cui esse ci propongono un sano progressismo, ovvero un cristianesimo moderno, che utilizza una sana modernità, liberata dai suoi errori, ci dà il vero criterio ed antidoto per evitare il modernismo e ci insegna come inculturare la nostra fede nei valori del pensiero moderno.
Nello stesso tempo, poichè il Concilio, come tutti i Concili della Chiesa, è testimone ed interprete infallibile della Tradizione, e quindi non fa che confermarla, svilupparla ed esplicitarla, è perfettamente compatibile con un sano tradizionalismo che si distingue da quello malsano per il fatto di accogliere senza problemi le dottrine del Concilio, come possiamo notare, per esempio, negli insegnamenti del Padre Fabro o del card.Parente o del Card.Siri o del card.Journet o del Servo di Dio Padre Tomas Tyn o del Padre Raimondo Spiazzi e di tanti altri teologi.
Il Concilio, anche se, come ho detto, ha avuto un indirizzo progressista e rinnovatore, trascende progressisti e tradizionalisti, nè tanto meno appartiene ai modernisti, ma è di tutti i buoni cattolici, i primi, per portarne avanti e approfondirne le novità, i secondi per ricordarci che il Concilio – e non potrebbe essere diversamente – è nella linea della tradizione, per illuminare il popolo di Dio come lo scriba sapiente, che trae dal suo tesoro “cose nuove e cose antiche” (Mt 13,52).

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