Da Urano al Dio di Abramo e a Gesù bambino

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Nel mondo antico convivono estrema durezza verso il parricidio, attestato piuttosto frequentemente ad esempio a Roma, e dovuto agli eccessivi poteri del pater familias sui figli (ius exponendi, ius vendendi, ius noxae dandi, cioè il diritto per un debitore insolvente di far imprigionare il figlio al posto suo) e tolleranza, come vedremo, verso l’infanticidio.

Si pensi a tal riguardo alla mitologia greco-romana: il celebre “Edipo re”, di Sofocle, è la storia di un bambino esposto

perché destinato ad uccidere, cosa che effettivamente farà, il padre; ma nella mitologia è addirittura il primo padre della storia, il dio Urano, ad uccidere i figli natigli dall’unione con Gaia. La quale costruisce una falce e propone ai figli il parricidio. Uno di loro, Crono-Saturno, ascolta la madre ed evira il padre. Ma non finisce qui: Crono stesso ucciderà i suoi figli, sapendo che uno di loro lo spodesterà. Sarà Zeus-Giove a sfidare il padre Crono e a costringerlo a vomitare i suoi fratelli.

Dalla mitologia alla leggenda: Roma stessa, non nasce da un tentato infanticidio, quello di Romolo e Remo? E non sono forse attestati, per secoli, in tutto l’impero romano, dove più e dove meno, i sacrifici rituali e propiziatori di bambini a Saturno, dio dell’agricoltura, dell’abbondanza e della ciclicità della natura?

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Tutta questa visione è ribaltata nella rivelazione biblica: nell’Antico Testamento Dio chiede ad Abramo (nella foto) di sacrificare il figlio Isacco, ed Abramo non esita: non lo ritiene per nulla strano, essendo il sacrificio di bambini una consuetudine di tanti popoli antichi. Ma Dio ferma la sua mano, e gli ebrei non praticheranno più il sacrificio di bambini, a differenza dei popoli vicini. Nel Nuovo Testamento sarà Dio stesso a sacrificarsi per gli uomini, presentandosi a loro come puer e filius: così ciò che è grande si fa piccolo, ciò che è forte, onnipotente, si fa debole ed indifeso; e ciò che è piccolo e indifeso diventa, in altro senso, “grande”.

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Alla paura del nuovo, del cambiamento, che mette in discussione, propria della mitologia greca ed orientale, si sostituisce l’idea secondo cui il cambiamento prodotto dalla nascita diventa promessa e manifestazione del Dio Creatore del mondo, che fa nuove tutte le cose.

Nello stesso tempo alla paternità umana, del pater familias, in ogni epoca e luogo antico quasi “onnipotente”, si affianca una paternità superiore, quella di Dio Creatore, che giustifica l’autorità paterna (come derivata e vicaria di quella divina), ma nello stesso tempo la limita fortemente.

Ogni figlio, infatti, almeno in teoria, smette di essere proprietà dei genitori, come gli schiavi dei padroni, loro possesso, per divenire anzitutto e prima di tutto “figlio di Dio”.

Nella Didachè, un documento della Chiesa del I secolo, si legge così: “Tu non ucciderai con l’aborto il frutto del tuo grembo, né farai perire il bambino già nato”…

(F.Agnoli, Indagine sul cristianesimo, La Fontana di Siloe, 2014)

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Autore: Francesco Agnoli

Laureato in Lettere classiche, insegna Filosofia e Storia presso i Licei di Trento, Storia della stampa e dell’editoria alla Trentino Art Academy. Collabora con UPRA, ateneo pontificio romano, sui temi della scienza. Scrive su Avvenire, Il Foglio, La Verità, l’Adige, Il Timone, La Nuova Bussola Quotidiano. Autore di numerosi saggi su storia, scienza e Fede, ha ricevuto nel 2013 il premio Una penna per la vita dalla facoltà di Bioetica dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, in collaborazione tra gli altri con la FNSI (Federazione Nazionale Stampa Italiana) e l’Ucsi (Unione Cattolica Stampa Italiana). Annovera interviste a scienziati come  Federico Faggin, Enrico Bombieri, Piero Benvenuti. Segnaliamo l’ultima pubblicazione: L’anima c’è e si vede. 18 prove che l’uomo non è solo materia, ED. Il Timone, 2023.