La rottura con Dio

La tentazione più pericolosa che può capitare all’uomo è quella di voler sostituire il proprio io a Dio. Ognuno di noi in modo esplicito o implicito, cosciente o inconsapevole, si trova davanti a Dio o sente Dio presente nella propria coscienza. Tuttavia tutti noi a volte in modo sottile e inapparente, andiamo soggetti a questa tentazione e, se vi cediamo, siamo perduti.
La natura umana sarebbe portata di per sè, per la stessa istituzione divina che l’ha creata, ad amarLo al di sopra di tutto e anche di se stessa, ad ascoltarLo e ad obbedirGli, a tendere verso di Lui come a sommo Bene e Fine ultimo. Senonchè però, a seguito del peccato originale, l’uomo sente anche la spinta a respingere Dio, a rifiutarlo, a ribellarsi a Lui, o non fidarsi di Lui, a sentirlo come un tiranno e un nemico.

Vi sono dunque nell’uomo queste due tendenze contrastanti, tra le quali può scegliere: la prima, la via di Dio, più faticosa, che sorge dall’umiltà, e rappresenta la parte sana della natura rimasta dopo la tragedia del peccato originale, è’ la tendenza al bene e alla virtù, e di conseguenza alla salvezza e alla felicità; la seconda, l’opposizione a Dio, più facile, conseguenza tragica del peccato originale, è la seduzione del male, tentazione al male e al peccato, a “rompere” con Dio e di conseguenza ad una falsa felicità che in realtà è sciagura e dannazione.
L’uomo scopre se stesso come dotato di intelligenza e volontà, capaci di concepire l’assoluto e l’eterno e di orientamenti assoluti. Per natura queste inclinazioni o potenze sono aperte all’assoluto, all’eterno e all’infinito, anima est quodammodo omnia, come diceva S.Tommaso al seguito di Aristotele.
Ma se l’uomo si lascia sedurre e ingannare dalla superbia e dal disgusto, dalla ripugnanza o dal rancore verso Dio conseguenti al peccato originale, è portato a credere di poter regolare la propria condotta senza tener conto della legge divina, ed anzi, al limite, è portato a credere che in fin dei conti Dio è egli stesso, mentre quel Dio maestoso che gli sta davanti come trascendente, che si presenta come suo creatore, o come causa del suo io, quel Dio che è pronto a punirlo delle sue disobbedienze, quel Dio che gli passa, se vuole, le briciole della sua infinita sapienza, e si degna di compassionarlo, quel Dio che sembrerebbe far sentire la sua voce nella sua coscienza, in realtà per l’uomo peccatore non esiste, ma è un idolo o un fantasma che si è costruito lui per viltà e debolezza, per non saper affrontare la vita, e perché non ha avvertito l’infinita dignità dal proprio io e quindi non ha ancora preso in mano con coraggio e libertà gli interessi e le sorti del proprio io.

Il rifiuto di Dio può avvenire i diversi momenti della nostra esistenza: può avvenire già nell’infanzia, al primo incontro con Lui nella nostra coscienza. Appena la ragione comincia a funzionare, scopre l’esistenza di Dio che si propone a lei appunto come suo Dio. Ma il soggetto, capace di scelta, se è mosso dalla superbia o da uno spirito cattivo o di contraddizione, può respingere questa proposta e decidere di fondare la propria vita su se stesso. Sorgono così i bambini “gianburrasca”, cattivi, ribelli, diavoletti, litigiosi, prepotenti, bugiardi, astuti, capricciosi, egoisti, crudeli, sleali, che sono la pena e la disperazione dei genitori e degli educatori.

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