Inferno sulla piana di Ninive

chiesa anzianaIn una lettera datata 10 agosto, indirizzata all’organizzazione “Aiuto alla Chiesa che soffre”, il patriarca caldeo di Babilonia Lousi Raphael Sako parla chiaro. Ci sono circa 70mila profughi ad Ankawa, sobborgo di Erbil, altri 60mila si trovano a Dahuk, sempre nel Kurdistan iracheno, altri ancora hanno raggiunto Kirkuk e Sulaymaniyah, qualcuno si è spinto fino a Baghdad. Tutti in fuga dai miliziani islamici dell’Isis intenti a costituire il Califfato e a scacciare da Mosul e dalla piana di Ninive gli infedeli, i cristiani. “Un disastro estremo”, dice Sako.

Il patriarca scrive che “l’aiuto umanitario è insufficiente”, molti profughi si sono rifugiati in scuole e chiese, ma tantissimi dormono dove capita in parchi pubblici o in mezzo alle strade, la morte sta falcidiando bambini e anziani. Intanto le cronache che arrivano da Mosul sono terrificanti, addirittura si parla di decapitazione di bambini.

Amel Nona, 47enne vescovo caldeo di Mosul, ha ricordato al Corriere che ha perso la sua diocesi: “Il luogo fisico del mio apostolato è stato occupato dai radicali islamici che ci vogliono convertiti o morti.” E’ la situazione che descrive lo stesso patriarca Sako nella lettera del 10 agosto. “Le chiese sono deserte e profanate – scrive – cinque vescovi hanno dovuto abbandonare le proprie diocesi e molti sacerdoti e religiose sono stati costretti a lasciare le proprie missioni». Per tutti non resta che una scelta: o scappare, o morire.

La chiesa caldea chiede insistentemente un intervento militare per fermare quello che è un vero e proprio genocidio. Secondo Sako l’intervento per ora messo in campo dagli americani è insufficiente, non basta proteggere Erbil, occorre attaccare l’Isis a Mosul e sulla piana di Ninive. Inoltre viene criticata la posizione di Washington che non appoggia l’esercito regolare iracheno se questo non si allea con i Peshmerga, insomma – dice il Patriarca – “è molto deprimente che mentre il paese è sotto il fuoco, i politici a Baghdad sono in lotta per il potere”.

Il vescovo Amel Nona ha avuto parole di monito per il mondo occidentale. “Per favore, cercate di capirci. – ha dichiarato al Corriere – Inoma vostri principi liberali e democratici qui non valgono nulla. […] Voi pensate che gli uomini sono tutti uguali. Ma non è vero. L’Islam non dice che gli uomini sono tutti uguali. I vostri valori non sono i loro valori. Se non lo capite in tempo, diventerete vittime del nemico che avete accolto in casa vostra.» Queste parole urtano contro il nostro buonismo d’accatto e anche contro un certo ecumenismo  accademico. Dov’è l’Islam “moderato”? Dove sono, e speriamo davvero ci siano, le maggioranze islamiche non violente?

Non possiamo far finta di non sapere che Maometto ha combattuto circa una trentina di campagne militari e che la guerra santa è stata combattuta per l’espansione dell’Islam. In pochi decenni gli arabi conquistarono medio oriente, Nord africa, parte dell’Europa (Andalusia, Sicilia, Puglia, Garigliano, Saint-Tropez, ecc.), della penisola anatolica fino alle porte di Costantinopoli. Non possiamo far finta di non sapere che all’origine dell’Islam ci sono queste evidenze storiche.

Ammesso che esista un Islam “moderato” e non violento, allora è necessario che uomini e donne di buona volontà, da dentro l’Islam, sappiano distinguere e si alzino in piedi contro i loro fratelli. Al di là di ogni altra considerazione, se i cristiani hanno chiesto perdono per i peccati compiuti nel passato, allora anche gli islamici sappiano prendere le distanze  dalle origini guerrafondaie e riconoscano che nessuna violenza può essere perpetrata in nome di Dio.

Una cosa, quest’ultima, che non è ammissibile. Lo ha ricordatopray mosul Papa Francesco all’Angelus, ma lo ricordava anche Benedetto XVI in quel famoso discorso di Regensburg nel 2006. Quel discorso sollevò un polverone, ma in fondo prendeva a prestito le parole del famoso dialogo di un persiano di Manuele il Paleologo. “Chi quindi vuole condurre qualcuno alla fede ha bisogno della capacità di parlare bene e di ragionare correttamente, non invece della violenza e della minaccia… Per convincere un’anima ragionevole non è necessario disporre né del proprio braccio, né di strumenti per colpire, né di qualunque altro mezzo con cui si possa minacciare una persona di morte…”

Attenzione. Non si tratta di mieloso pacifismo fondato sull’indifferentismo religioso, anzi è l’esatto contrario. E’ l’affermazione che le questioni religiose si richiamano ad una razionalità condivisa, quella che anche qui in occidente abbiamo perso da tempo. Valori che non possono essere dimenticati, valori che, a volte, vanno anche difesi. Pena, cedere alla disumanità. (La Voce di Romagna, 12/08/2014)

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