Cattolici e italiani

dipinto-sacro-cuore-modificadi Fabrizio Cannone

Paolo Pasqualucci è un notevole intellettuale italiano, benché da molti anni residente in Irlanda, già ordinario di Filosofia del Diritto presso l’Università di Perugia. Finora ha prodotto una bibliografia cospicua e di alto rilievo scientifico, interessandosi con rara competenza a tematiche giusfilosofiche e politiche, ma anche teologiche e metafisiche. Qui vogliamo trattare di un saggio che Pasqualucci ha scritto nel 2013: “Unita e Cattolica. L’istanza etica del Risorgimento e il Rinnovamento dell’Unità d’Italia” (Edizioni Nuova Cultura, Roma 2013).

Ultimamente la sua penna è scesa in campo nel vivace dibattito tra le varie ermeneutiche del Vaticano II, volendo il nostro non solo offrire una retta interpretazione del Concilio, ma altresì farne emergere limiti e possibili ambiguità di linguaggio, atte a produrre quelle insalubri deviazioni che nel post Concilio hanno ammorbato la santa Chiesa (cf. P. Pasqualucci, Unam Sanctam. Studio sulle deviazioni dottrinali nella Chiesa cattolica del XXI secolo, Solfanelli, Chieti, 2014 e ib., Cattolici, in alto i cuori!, Fede & Cultura, Verona, 2013). Pasqualucci, pur con tutte le cautele e i distinguo che accompagnano un pensatore raffinato come lui, si pone in una dimensione critica che ricorda Romano Amerio e mons. Brunero Gherardini, ma anche gli ambienti del cosiddetto tradizionalismo cattolico europeo.

E non è certamente un caso che il Pasqualucci politologo, forse l’aspetto più interessante dello studioso o almeno il più originale, sia stato un po’ accantonato, specie da quei ‘tradizionalisti’ che, per altri versi, usano le sue riflessioni teologiche quando queste vanno nel senso da loro auspicato. E questo è un vero peccato.

In un ambiente tradizionalista italiano in cui sono diventati legione gli anti-italiani e gli anti-patrioti – secondo cui l’Italia a causa del modo discutibile con cui è stata condotta l’unificazione sarebbe da non amare, e forse da smembrare in nome degli staterelli pre-unitari – proprio un testo come Unita e cattolica avrebbe dovuto e potuto rimettere le cose in ordine e fungere da correttivo. E questo contro l’esagerato anti-risorgimentalismo ed il parallelo anti-fascismo dogmatico (che ricorda l’ Ur-fascismo di Eco), falso come tutti i dogmi della contemporaneità laica, marxista o liberale.

Ma proprio negli ambienti teologici che sembrano essere più in sintonia col Pasqualucci si è iniziata da tempo una crociata al contrario contro l’Italia (a causa della mala Unità, ma non solo), contro l’italianità (causa di tutti i mali e simbolo di tutte le bassezze) e il nazionalismo-patriottismo che sarebbe possibile al massimo in Francia (la nazione della Rivoluzione!), in Austria (senza notare l’opposizione al cattolicesimo da parte della casa regnante fin dal ‘700 illuminista, con il divieto di credere all’infallibilità del papa nel 1870, il divieto del Sillabo, il giuseppinismo di stato, lo scisma vecchio cattolico favorito dall’alto, etc.) o perfino in Inghilterra (il regno dell’apostasia di Stato e della secolare persecuzione alla Chiesa). Incredibile, ma vero, purtroppo. E così nelle processioni tradizionaliste europee si arriva all’assurdo: in Francia, in Germania, in Inghilterra, perfino negli Stati Uniti (che di cattolico, in quanto Stato, non ebbero mai nulla) è possibile sventolare le bandiere ufficiali dei rispettivi paesi, in Italia no. Quanto questa “disputa delle bandiere” – che ricorda in modo microscopico la pesante scelta del pur ottimo Conte di Chambord di rinunciare al Trono in nome dei gigli borbonici – abbia nuociuto all’ambiente cattolico tradizionalista non è difficile da immaginare. I numeri del tradizionalismo italiano, e qui intendiamo tradizionalismo in senso generale (culturale, politico, religioso), non sono infatti comparabili a quelli di molti altri paesi d’Europa, anche per questo poco radicamento culturale e nazionale dello stesso, il quale se all’estero propone, rigorosamente, il trinomio Dio-Patria-Famiglia, qui da noi ha irresponsabilmente cancellato un termine, così da farne un binomio destinato a perire o almeno a zoppicare.

Il saggio di Pasqualucci serve a giustificare, da cattolico non progressista, la legittimità storica e morale dell’unificazione della patria e la cosa, specie dopo l’augusto Concordato del ’29, parrebbe a prima vista futile e antistorica: ma tant’è! La nazione italiana, menzionata e lodata da un numero impressionante di pontefici sia prima sia dopo l’Unità (ho in mente le belle espressioni di Innocenzo III e san Pio X, o il Benedite Gran Dio l’Italia di Pio IX), è diventata una colpa per questi ambienti di frangia, e non solo per questi ambienti, e il nazionalismo, distinto esageratamente dal patriottismo, sarebbe – da noi – un peccato da aggiungere a quelli già noti del catechismo.

L’oggetto delle critiche del Nostro viene simpaticamente definito così: “i neopapalini e gli ultramontani odierni”, titolo non si sa se onorifico o irrisorio (pp. 19, 21, 40, etc.). Costoro dimenticherebbero che “il potere temporale – del quale la Chiesa non ha avuto bisogno per convertire l’impero romano – appartiene alla costituzione ecclesiastica della Chiesa non a quelladivina” (p. 20); anche perché, se così non fosse, la Chiesa avrebbe perso un elemento della sua costituzione divina sia nel 1849 con la Repubblica Romana, sia nel lungo periodo 1870-1929!

“Piuttosto che lamentarsi della sparizione dell’antico potere temporale, trasformandolo in un mito, i neopapalini e gli ultramontani farebbero meglio ad approfondire le cause ultime della crisi stessa, che non sono politiche ma teologiche e metafisiche, e vanno ricercate in primo luogo all’interno della Chiesa” (p. 22). Secondo il filosofo cattolico poi, sarebbe da sminuire il ruolo della Massoneria nel Risorgimento (cf. pp. 27-40), anche perché essa, fin dal suo sorgere nell’Inghilterra del 1717, era piuttosto internazionalista e mondialista, che non nazionalista e “la classe di governo britannica, considerata da sempre la più massonica di tutte, si era opposta alla nostra seconda guerra d’indipendenza” (p. 37).

Secondo il Nostro, grazie al Risorgimento e alla vittoria della prima guerra mondiale, si raggiunse una libertà e una indipendenza che per secoli era mancata alla nazione italiana, preda di questa o quella potenza egemone, come la Francia, la Spagna o l’Austria: si ricordano qui alcune poco note umiliazioni storiche degli italiani (come il bombardamento di Genova del 1684 e la cosiddetta “asta” degli stati italiani).

D’altra parte se si va a vedere da vicino come si realizzarono le unificazioni politiche delle altre nazioni, sotto questa o quella famiglia, si scopre che Clodoveo “si impadronì di quasi tutto il paese con una serie di sanguinose campagne contro gli altri popoli germanici che l’occupavano” (p. 44); gli svizzeri hanno ottenuto la loro vantata neutralità storica “combattendo contro l’imperatore, loro legittimo sovrano” (p. 44) e la stessa cosa vale, con tutte le differenze del caso, per la Spagna, l’Austria o gli Stati Uniti.

Nonostante i limiti oggettivi dell’imposizione del Piemonte savoiardo sul resto della Penisola, come italiani in questi primi 150 di storia contemporanea, “abbiamo dato prova di laboriosità, tenacia e spirito di sacrificio [si pensi ai volontari delle due guerre mondiali, della guerra in Spagna o nelle imprese coloniali]. Lo Stato e la nazione unitari sono sopravvissuti a terribili tempeste e continuano a tenere, nonostante tutto; il sentimento nazionale esiste e resiste, presso la grande maggioranza. Siamo diventati una potenza industriale, abbiamo sconfitto l’analfabetismo, la malaria, la miseria endemica. Abbiamo creato anche valide istituzioni civili” (p. 50). Tutto ciò è visto dall’Autore come contraltare rispetto alle “ componenti negative del nostro carattere nazionale: il particolarismo, lo spirito di fazione, la mancanza di senso dello Stato e della disciplina, l’anarchia di fondo, il complesso d’inferiorità nei confronti degli stranieri, l’abulìa” (p. 57). Tutti questi mali storici, in quanto storicamente radicati, non nascerebbero, come argomentano alcuni, a causa della mala Unità, ma piuttosto proprio a causa dei secoli di divisione. L’Italia infatti preesiste alla divisione, si pensi all’incoronazione di Teodorico a Re d’Italia nel 493 (cf. p. 57) e al vocabolo antico di millenni diItalia, tra l’altro presente nella Scrittura.

In conclusione, Pasqualucci ricorda che il ruolo storicamente importante del Papato in Italia non va né sminuito, come fanno gli anticlericali di sempre (che lo vedono ingiustamente come causa di tutti i mali nostri), né esaltato esageratamente, come nelle letture tradizionaliste monocrome, come sé uno Stato Pontificio forte e vasto preservasse automaticamente la Chiesa dalle influenze esterne (cf. al contrario la lotte per le investiture, guelfi e ghibellini, papi costretti a guerreggiare per difendere il territorio, etc.) o da scismi ed eresie (che nei secoli sono stati abbondanti nonostante il Regno della Chiesa da Bologna a Terracina).

Contro l’opposizione malcelata e pazzesca tra Chiesa e italianità, Pasqualucci non pretende certo di rifarsi alla infausta triade Mazzini, Garibaldi e Cavour, ma di richiamare in vita figure oggi meno note, ma di grande valenza morale come l’Alfieri (cf. pp. 68-70) o anche il Vico, grandi italiani e grandi spiriti (come lo furono in tempi e modi diversi i cattolici italiani Francesco d’Assisi e Dante Alighieri, Bellarmino e Manzoni, Michelangelo e il beato Faà di Bruno), declassati nella scuola odierna e ignorati, nel loro profondo magistero morale, dai giovani cattolici di oggi.

Insomma da italiani e cattolici, o cattolici-italiani se si preferisce, dobbiamo fare il duplice sforzo di amare sia la religione, come amore principale, che la nazione come amore secondario certo, ma senza false contrapposizioni: proprio l’italianità fresca e genuina di tantissimi papi dal Cinquecento ad oggi e di molti santi e sante ce ne dà un eccellente esempio.

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Autore: Libertà e Persona

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