Il Papa, alcuni giorni fa, ha raccontato un episodio accaduto in Argentina, di una bimba di 7 anni ammalata cui i medici davano poche ore di vita, guarita tra lo stupore dei medici dopo che il padre era corso a pregare al Santuario mariano di Lujan: «Questo succede ancora, eh?, i miracoli ci sono!». Effettivamente ai miracoli ci crediamo un po’ tutti: quando arriva una malattia grave, quando desideriamo fortissimamente qualcosa, viene spontaneo affidarsi a Dio. Ci sembra normale, giusto, insomma, che Dio, che è Padre, debba talora intervenire per cambiare il corso delle cose. Tanto che, se non interviene, si arrabbiano tutti, atei e indifferenti compresi (non è proprio il suo presunto non intervenire contro il male, il motivo fondamentale dello scetticismo di tanti?). Credere ai miracoli fa dunque parte della fede, così come saperne fare a meno, fidando nella presenza di Dio anche quando essa è più discreta, meno eclatante, ma non meno profonda.
I miracoli, insegna la dottrina, avvengono per intercessione di Maria, o di un santo. Fu papa Benedetto XIV, nel 1750, con la De servorum Dei, a volere per la prima volta nella storia della Chiesa che il riconoscimento di un miracolo fosse elemento indispensabile per la canonizzazione di un uomo dalle “virtù eroiche”. Benedetto XIV che fu, nello stesso tempo, come tanti altri papi, un grande sostenitore degli studi, dell’arte, della cultura, e un forte promotore delle scienze sperimentali.
Bologna, oggi impegnata nel tentativo di uccidere gli asili cattolici, colpevoli soltanto di essere nati prima di quelli statali e di costare assai meno di quelli pubblici, potrebbe forse placare i bollenti ardori giacobini, se solo ricordasse, appunto, alcune pagine gloriose della sua storia cristiana.
Ma cosa fece, in concreto, il Lambertini, per la sua Bologna?
Nel 1711 Luigi Ferdinando Marsili, oceanografo e naturalista, aveva fondato nella città felsinea, nell’ attuale Palazzo Poggi, l’Istituto delle Scienze, un ambizioso progetto “volto a contenere entro le stanze di un’antica dimora senatoria della città l’intera enciclopedia del sapere scientifico moderno”. Lo scopo dell’Istituto era anche quello di supportare con ricerche e lezioni pratiche l’Università di Bologna. Ma presto l’Istituto entrò in crisi: fu allora il cardinal Lambertini, prima come arcivescovo e poi come pontefice, “a sostenere e a rilanciare nell’Europa dei lumi l’impresa di Marsili”.
All’Istituto delle Scienze il Lambertini donò vari strumenti di fabbricazione olandese ed inglese, telescopi e microscopi. Inoltre dotò l’Istituto di entrate per i professori; ne ampliò la biblioteca, aprendola al pubblico; promosse una nuova classe di Accademici, i Benedettini ed infine si adoperò per valorizzare figure che sarebbero diventate famose in tutta Europa: a lui si deve la decisione dell’Istituto di ammettere, nel 1732, tra i suoi membri, Laura Bassi, “prima donna nel mondo ad ottenere una cattedra all’Università per l’insegnamento della ‘filosofia universa’ (1732) e poi della ‘fisica sperimentale’”. La Bassi, che ebbe tra i suoi allievi il cugino don Lazzaro Spallanzani, ricordato come uno dei padri della biologia, divenne presto famosa in tutta Europa, tanto che lo stesso Voltaire, ebbe a scriverle: “Non c’è una Bassi in Londra, e io sarei molto più felice di essere aggregato alla sua Accademia di Bologna, che a quella degli inglesi…”.
Dopo la Bassi l’Istituto accolse altre sette donne, tra cui Maria Gaetana Agnesi (1748), la celebre “matematica di Dio”. Sempre Benedetto XIV fu colui che, dopo aver visto le tavole dell’anatomista Ercole Lolli, lo incaricò di preparare per l’Istituto una Camera dell’Anatomia con splendidi e innovativi modelli anatomici in cera. Alla collezione del Lolli si aggiunsero le riproduzioni dei ceroplasti Giovanni Manzolini e Anna Morandi Manzolini. Proprio la Morandi, dopo che il marito cadde nella malattia, trovò nel pontefice un caloroso sostenitore e divenne modellatrice in cera presso la cattedra di anatomia dell’Università, mentre la sua fama raggiungeva Caterina di Russia e la Royal Society in Inghilterra (“Laura Bassi”, a cura di L.Cifarelli e R. Simili, Editrice Compositori, Bologna, 2012).
Se ciò non bastasse, Benedetto XIV, come ricorda Miriam Focaccia nel suo “Luigi Galvani. Un laboratorio sperimentale di ostetricia” (Pendragon, Bologna, 2009), fu anche il promotore della prima cattedra pubblica di ostetricia in Italia, nel 1757. Ad insegnarvi chiamò Giovanni Antonio Galli, un medico che per istruire nell’arte dei parti aveva creato un vero e proprio laboratorio didattico, unico in Europa, in cui a fianco di modelli in cera, abbondavano modelli di utero a grandezza naturale, in argilla, per mostrare le fasi della gravidanza e le evoluzioni fetali. Vi era anche una “macchina” formata da un utero di cristallo apribile, contenente un finto feto, “in modo da far esercitare gli studenti e le levatrici, appositamente bendati, nelle manovre di manipolazione ed estrazione fetale”. Successore di Galli, in perfetta sintonia con il progetto del pontefice di promuovere la salute delle partorienti, sarebbe stato, di lì a poco, il terziario francescano e padre dell’elettricità animale, Luigi Galvani, anche lui in certa misura figlio della rigogliosa stagione benedettina. Il Foglio, 24 maggio