Il Papa e le Ceneri. Pensieri di un parroco di campagna.

L’inizio della Quaresima è uno di quei giorni che più
di altri chiede di guardare a che cos’è il cristianesimo. Questo giorno ci
introduce in un tempo che culmina nella passione, morte, sepoltura di Cristo.
“Patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì, fu sepolto” recita il Credo.
Noi ci avviamo per una strada di giorni che conduce alla croce di Cristo.
Eppure, questa è la sua vittoria. “Discese agli inferi, il terzo giorno
risuscitò da morte”. La Croce è la sua Gloria. Ciò che appare la fine, è
l’inizio della vita nuova. All’origine del cristianesimo non c’è un’affermazione
di potenza, ma una sconfitta. Non un possesso, ma una rinuncia. Non un
guadagno, ma una perdita. San Paolo direbbe “Tutto considero spazzatura, una
perdita pur di guadagnare Cristo”. La croce di Cristo è una sconfitta, una
rinuncia, una perdita eppure è la Gloria del Padre. In quella croce sono appesi
i nostri nomi. In quella croce sono appesi i nostri peccati. In quella croce è
appesa la nostra salvezza.

Quest’affermazione assurda per cui dalla morte ne
scaturisce la vita, dalla croce la vittoria, dalla rinuncia il guadagno prende
il nome di paradosso. Il cristianesimo corre sul filo di un paradosso, ossia un
fatto il cui significato contraddice ciò che appare.  Il paradosso è una verità opposta a ciò che
comunemente crediamo. Noi cristiani siamo chiamati a credere diversamente da
ciò che crede il mondo. Il mondo crede che il potere sia possedere, il
cristianesimo, a partire dalla croce di Cristo, crede che sia perdere. Il mondo
crede che vero guadagno sia prendere, il cristianesimo crede sia lasciare.
Nell’anno della fede, rinnoviamo questa paradossale certezza.

Mi ha fatto
bene entrare nella Quaresima perché ho potuto rielaborare un profondo
sconforto, se non addirittura dolore, dovuto alle dimissioni del Papa. Confesso
che sono rimasto smarrito e sgomento. Ho avuto paura (in realtà sono ancora
pieno di timore) e mi sono sentito abbandonato. Il Papa non è il capo, il
principale dell’azienda Chiesa. Il Papa è un padre. Lo chiamiamo Santo Padre. Il
Papa non è un accidente della vita del cristiano. Non è un elemento marginale o
irrilevante. E’ elemento decisivo perché il cristianesimo è il seguire Uno. La
fede non è qualcosa di impercettibile e intangibile. E’ seguire Uno. E
quest’Uno si manifesta nella Chiesa che nel Battesimo mi fa incontrare Gesù e
poi, nell’ascolto della Sua Parola e della parola del Magistero mi accompagna
ad una piena conoscenza di Cristo. Forse dovremmo tutti aver sentito un senso
di smarrimento perché se viene meno chi sta davanti come facciamo a sapere di
camminare bene? Il Papa ci sta davanti come segno di Cristo buon Pastore. Guadando
a lui, uno sente le parole che Gesù rivolge a Pietro – “Tu sei Pietro e su
questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno”
– sono vive e vere. Ascoltando la sua parola, uno ha la certezza di ascoltare
la Parola.

Mi ha fatto bene entrare nella Quaresima perché ho
potuto ripensare a quanto è accaduto non solo secondo una reazione emotiva ed
umana. Abbiamo bisogno di alzarci un po’, di salire su qualche gradino e vedere
più in là… Questo gradino ci è offerto dalla Liturgia di quest’oggi che, come
sempre avviene nell’atto liturgico, ci fa lasciare le cose della terra e le
valutazioni secondo il pensiero degli uomini e ci fa alzare lo sguardo alle
cose del cielo. Il Papa non è un comandante che scende dalla croce, come
qualcuno ha detto. Il Papa non abbandona la barca come uno Schettino qualsiasi.

Quella che noi chiamiamo rinuncia appartiene al
paradosso del cristianesimo. In quella perdita c’è il guadagno di Cristo. In
quel gesto, c’è la certezza che il Padre che vede nel segreto, il Padre che è
nei cieli e non il potere di questo mondo, lo ricompenserà. Nella scelta di
Papa Benedetto s’intravvede questa sovrana umiltà, la stessa che Gesù invita ad
avere quando “fai l’elemosina non sappia
la tua sinistra ciò che fa la tua destra”.
“Quando prega entra nella tua camera e chiusa la porta prega il Padre
tuo nel segreto”
. In quello scomparire dal mondo, il Papa sceglie il
segreto della comunione con il Padre.  In
quella rinuncia, c’è lo stesso principio decisivo e sovversivo della croce.

Nel discorso con cui il Santo Padre annuncia la sua
difficile e inedita scelta, c’è una frase che mi colpisce e che ha a che fare
con le parole di Gesù ascoltate questa sera. “Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono
pervenuto alla certezza…”
. Il Papa fa rifermento alla coscienza, non a quella
intesa dal mondo come giustificazione per fare soggettivamente ciò che pare. La
coscienza, cristianamente intesa, è il luogo in cui Dio comunica la sua intima
volontà. Ciò che preme a Papa Benedetto è compiere la santa volontà di Dio. Se
c’è un primato non è quello di Pietro, ma quello di Dio. Il Papa insegue Dio.
Lo cerca e si domanda se ciò che compie è corrispondente non ai suoi pensieri,
ma a quelli di Dio. “Non anteporre nulla
all’amore di Cristo”
diceva San Benedetto. Questo Papa che porta il nome
del patrono d’Europa, ci ricorda di non porre niente, nemmeno se stessi,
davanti a Dio. Al centro del suo ministero, non ci sono state preoccupazione
secondarie, ma la questione più decisiva di tutte. La questione di Dio. Le
parole evangeliche ci ricordano questo primato, rispetto alle aspettative e
alle ricompense del mondo. Chi sceglie il mondo e le sue vanità, i suoi
pensieri ricerca la ricompensa del mondo, cioè cenere. Chi avrà scelto Dio,
avrà la ricompensa di Dio che darà ossa e carne alle ceneri per farle risorgere. (Omelia delle Ceneri 2013)

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