Il Leviatano

Vi sono due modi di concepire le tasse. Uno è quello del contributo, sia pure obbligatorio e sanzionato anche penalmente in caso di inosservanza, col quale ogni cittadino partecipa, con le proprie sostanze e in base alla propria capacità economica, alle necessità della vita sociale. L’altro quello della libera disponibilità dello Stato di beni soggetti alla sua Alta Sovranità e, quindi, in definitiva,  di sua spettanza anche se  lasciati  in uso ai cittadini  nei limiti e nei tempi  da lui autorizzati e comunque finché  le sue superiori esigenze  non richiedano la revoca, in parte più o meno grande (ma in ipotesi anche in tutto), della benevola concessione.

Il primo sistema è quello previsto dalla legge e  dalla Costituzione, che garantisce la proprietà privata. Il secondo risponde all’assoluta convinzione (anche se oggi  mai espressamente enunciata)  della classe politica e dell’ amministrazione  (statale e locale) che i cittadini non siano proprietari di nulla, né della loro casa né del frutto del loro lavoro. E’ la filosofia dello Stato-Leviatano, che si pretende padrone di tutto e di tutti in nome di una signoria assoluta, che in tempi di guerra  si estende ai corpi dei cittadini-sudditi (e nello Stato etico, attualmente in  corso di rinascita in Francia per impulso del compagno di Bersani, Hollande, addirittura e sempre, in pace come in guerra, ad ogni ora del giorno, alle loro coscienze e alle loro anime),  ma che oggi, in periodo di crisi economica e di turbolenze monetarie e bancarie, riguarda soprattutto case e denaro.

L’aspirazione allo Stato Leviatano delle classi dominanti e dei loro più diretti collaboratori risale molto indietro nel tempo (senza retrocedere troppo   basti pensare all’Unione  Sovietica e all’ideologia fascista, che aveva per motto “tutto nello Stato, nulla fuori dello Stato”). In tempi recenti e recentissimi l’espressione più evidente e clamorosa, anche se quantitativamente abbastanza modesta,   di questa concezione delle imposte è stata la notturna incursione del governo di Giuliano Amato per un prelievo dai conti correnti bancari di tutti i cittadini, ma concettualmente l’apice è stato raggiunto dal governo tecnico  di Mario Monti. I “tecnici”, difatti,    non hanno  perso occasione di dipingere chi non paga le tasse  come un ladro di beni altrui e di esortare  gli onesti cittadini alla denuncia degli evasori, presentati  all’immaginario collettivo   col volto odioso del truffatore.

Di recente in una trasmissione televisiva il giornalista-inquisitore Marco Travaglio ha auspicato, oltre  che la galera per gli evasori, la confisca delle somme non pagate, da lui significativamente definite “il bottino” quasi si trattasse del provento di una rapina (ovviamente la cosa cambia e il termine bottino risulta adeguato quando  il denaro sul quale non si sono pagate le tasse è  di provenienza criminosa o comunque illecita).

E’ evidentemente  per combattere quest’idea, che stravolge, e non solo sul piano economico, il corretto rapporto Stato-cittadini, che il neonato e  provocatorio movimento politico “Forza Evasori” aveva presentato nella fase preparatoria delle prossime elezioni politiche un proprio  simbolo   “Forza Evasori-Stato Ladro”. Simbolo destinato ad inevitabile bocciatura (e così è stato) perché il Leviatano non può ammettere nemmeno  il sospetto che ad impadronirsi  di beni altrui sia lui e non il cittadino evasore.

Ovviamente l’evasione fiscale  rappresenta uno strappo  al patto fra cittadini che sta alla base di ogni società civile e  per questo  merita di essere sanzionata. Ciò non toglie però  che sia indispensabile avere ben chiaro che l’evasore fiscale non sottrae denaro altrui, ma semplicemente  non contribuisce, con  denaro proprio,  alle esigenze della vita associata. E’, appunto, soltanto un  evasore, non un ladro o un rapinatore. Una volta che si ammettano l’obbligo del pagamento e la sanzione dell’inadempienza, la differenza può sembrare una questione di lana caprina. Ma non è così. Difatti tanto l’obbligo dello  Stato di non spingere il prelievo fiscale al di là del limite oltre il quale la tassazione diventa sopruso e (in questo caso sì) furto, quanto  il grande principio morale (quando non  degenera in abuso) dell’obiezione fiscale hanno il loro presupposto logico  nella esclusiva titolarità  del cittadino sui propri beni.

In realtà durante la campagna elettorale  i sostenitori dello Stato Leviatano  sono molto diminuiti e quasi tutti (Travaglio a parte) si sono arruolati sotto la bandiera  del “non mettere le mani nelle tasche degli italiani” o quanto meno del  farlo con più discrezione, tanto che per distinguersi qualcuno si è spinto  fino a promettere di riempire queste tasche con la restituzione del maltolto.  Il Leviatano intanto se ne sta in disparte nella certezza  che, passata la buriana elettorale,  tutto rientrerà in quello che considera il normale ordine delle cose. Il problema degli elettori è di riuscire a capire chi nella marea dei candidati, ansiosi di addossarsi il gravoso compito di servire il popolo e il paese,  davvero considera le tasse soltanto (ma non è poco, tutt’altro) il contributo di ogni cittadino al bene comune.

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