La settimana scorsa il Papa ha twittato: «Molti falsi idoli emergono oggi. Se i cristiani vogliono essere fedeli, non devono avere timore di andare controcorrente».
Il cristiano è colui che si prende carico del nome di Dio. Nel secondo comandamento, spesso banalmente tradotto con la formula «non bestemmiare», Dio dice al suo popolo: «Non ti caricherai (non ti assumerai) del nome di Dio invano». L’uomo è libero di rifiutare la relazione con il suo Creatore, ma se decide di «prendere il nome di Dio», Lui gli rammenta di non farlo vanamente.
Infatti, Dio conosce bene il cuore dell’uomo e sa che egli può dichiararsi cristiano senza compiere nella giornata nemmeno solo un atto realmente cristiano. C’è un’autenticità che manca dietro a un certo cristianesimo fatto di “cose da fare”, di norme da adempiere, come se certi gesti fossero automatici: andare a Messa, accendere una candela, dire le preghiere…
Agli occhi di Dio non importa se vai a Messa tutte le domeniche, se poi non compi un gesto di carità. Una critica che ci viene mossa, purtroppo tristemente realista, è che esiste una Chiesa di gente che si comporta cristianamente per ‘doverismo’: è una Chiesa che non trascina, che non coinvolge, che non affascina perché – in definitiva – non trasmette l’autentico messaggio cristiano.
Il cristiano che non rende ragione della propria fede, la madre che per convincere i figli ad andare in Chiesa dà risposte non convincenti, non esaustive, non “convenienti” per la vita, sono persone che esternamente paiono impeccabili, ma dov’è il loro rapporto di amore con Dio? Dio ci dice: “ti prendi il Mio nome? Diventi uno dei miei? Che però questo non sia per un formalismo, o un contenitore per tue insicurezze da colmare”.
La vita con Dio non è un elenco da spuntare (la Confessione mensile, la Messa da seguire, ecc.). Quando il giovane ricco si inginocchia di fronte a Gesù, riconoscendo la Sua autorevolezza, si presenta come un uomo che conosce i comandamenti, ma «Gesù, fissandolo, lo amò e gli disse: “Una cosa sola ti manca: va, vendi quanto hai e dà ai poveri, e avrai un tesoro in cielo, e seguimi» (Mc 10,21). È come dire: “stai facendo veramente qualcosa per il tuo cuore o per un formalismo? Non prendere il Mio nome invano. La tua è una fede di opere esterne, ma senza la disponibilità a giocarti totalmente”.
Caricarsi del nome di Dio significa mettersi nella condizione di rischiare la vita per Lui, cosa ben diversa che presentarsi al mondo come cristiani perché si va a Messa tutte le domeniche e così siamo a posto con la nostra coscienza. Quella che Dio ci offre è anche una cartina tornasole per discernere le relazioni d’amore: se l’uomo non è disposto a donare la vita per la donna (non a parole!), allora non è amore autentico.
«Vai e vendi tutto quello che hai»: è una compromissione totalizzante, non esiste tutela economica. Dio ci chiede se siamo disposti a scommettere tutto su di Lui, non solo la nostra facciata da borghese perbene. Compromettersi significa perdere la propria faccia per l’altro. Siamo disposti a rischiare per Dio? Dio ci dice: «Lascia tutto!»: siamo disposti a giocare tutto sulla Sua parola? Padre Renato del convento francescano di Sant’Angelo ha detto: «Dio ragiona così: o tutto o niente, ma in quel “tutto” c’è la tua felicità». Nel compromesso non c’è la felicità, perché è una mezza misura.
Il Papa ha spronato i cristiani ad andare «controcorrente», a scegliere da che parte stare. Il giovane ricco, «udito questo, se ne andò afflitto, poiché aveva molti beni» (Mc 19,22), decidendo di non donare la propria vita. «Io crederei all’esistenza del Salvatore se voi aveste una faccia da Salvati», affermò Nietzsche: beninteso, non una lista di opere da ostentare.
Gesù ricorda a tutti noi, sedicenti cristiani, di non assumerci il Suo nome vanamente, di non farci carico del Suo nome invano. Possiamo comprendere a che livello di profondità Dio desideri porre la Sua amicizia nei nostri confronti.