Recensioni librarie

Due libri da leggere: quello di Roberto De Mattei su Pio IX, e Cornelio Fabbro su Karl Rahner

Il primo:

Come maturò l’appellativo di «Papa liberale» assegnato al beato Pio IX, in realtà strenuo difensore della Tradizione? A questo quesito risponde il Professor Roberto de Mattei nel suo esaustivo studio storiografico Pio IX e la Rivoluzione italiana (Cantagalli 2012, € 16.00, pp. 207). Il primo atto del lungo pontificato di Pio IX (1792-1878), durato 32 anni, fu la concessione (16 luglio 1846) dell’amnistia ad oltre 400 detenuti ed esuli politici.

Il gesto di clemenza era privo di connotazioni politiche, ma esso si trasformò nella propizia occasione, di far divampare l’incendio ideologico rivoluzionario in tutta Italia e in buona parte dell’Europa. Fu un edificio politico artificiosamente costruito. Afferma de Mattei: «È in quell’ “artificiosamente montato” che non è difficile trovare le vere cause del “delirio collettivo dell’opinione pubblica” che, dal luglio del 1846 all’aprile del 1848, creerà, attorno al nome di Pio IX, il mito del Papa “liberale”, frutto in realtà […] di un “sistematico sfruttamento” delle iniziative del pontefice, per realizzare lo storico “abbraccio” tra la Chiesa e i principi della rivoluzione francese»

L’intera Penisola era disseminata di società segrete che volevano destabilizzare gli ordini costituiti. Le piazze furono messe a ferro e fuoco e si inneggiava alla Costituzione. Gli eventi incalzarono in maniera sempre più violenta e tumultuosa. I repubblicani anticlericali misero in atto il loro piano di odio e il legittimo governo romano fu rovesciato. La Repubblica romana del 1849 era l’espressione concreta di ciò che l’ideologia liberale, nata sotto la Rivoluzione francese, si era proposta di realizzare: la distruzione del cristianesimo e della Chiesa. Pio IX fuggirà a Gaeta e farà ritorno a Roma il 12 aprile del 1850, accolto dal tripudio popolare. Intanto, però, procedevano nei loro disegni le menti carbonare, i massoni inglesi, gli spiriti volterriani… e si compì l’usurpazione del potere temporale della Chiesa.

Pur tuttavia l’opera di restaurazione di Pio IX fu eccezionale: risanò le finanze lasciate in stato fallimentare dal governo repubblicano, avviò una serie di importanti opere infrastrutturali, pianificò diverse riforme amministrative.

Importantissimo risulta essere il ristabilimento della gerarchia episcopale in Inghilterra con la bolla Universalis Ecclesiae del 29 settembre 1850: vennero stabilite, per la prima volta, dopo la rivoluzione protestante iniziata da Enrico VIII, tredici diocesi governate dal nuovo arcivescovo di Westminster, Nicholas Wiseman (1802-1865). «A questo primo atto di sfida di Pio IX all’Inghilterra protestante e massonica si possono ricollegare i tre grandi gesti pubblici del suo pontificato: la definizione dell’Immacolata (1854), la proclamazione del Sillabo (1864) e l’apertura del Concilio Vaticano I (1870)».

Tre punti fermi che vanno inquadrati non nel loro tempo, ma nell’eternità della Chiesa. Il Sillabo, che compendia, in dieci paragrafi, i principali errori di del tempo e l’enciclica Quanta cura, in cui veniva esposta la critica alla Rivoluzione francese e al Risorgimento italiano, facendo cenno alla libertà di pensiero illuminista come «libertà di perdere se stessi».

Il Papa condannava nel Sillabo, senza esitazioni o ambiguità, la filosofia del XIX secolo, che deifica la natura umana trasferendo ad essa gli attributi che nega a Dio. Inoltre con la Quanta cura ed il Sillabo il Pontefice condannò categoricamente il socialismo, il comunismo, la massoneria, il liberalismo cattolico e il separatismo liberale, ovvero la separazione assoluta fra Stato e Chiesa. Afferma il professor Roberto de Mattei: «Pio IX è stato beatificato innanzitutto per la virtù eroica dimostrata nello svolgere le funzioni caratteristiche del Papa, che sono quelle di pascere, reggere e governare la Chiesa universale». (Cristina Siccardi)

Il secondo:

Lo stimmatino Cornelio Fabro (Flumignano 1911 – Roma 1995) è uno degli esempi più emblematici, di ciò che sarebbe potuto essere, e non fu, l’auspicato rinnovamento conciliare. Studioso intrepido e versatile, conoscitore profondo e sistematico sia della filosofia classica e medievale che di quella moderna e contemporanea di impronta germanica (Kant, Hegel, Nietzsche, Heidegger), eccellente pastore di anime e parroco operoso fino all’ultimo, padre Fabro vide a poco a poco scemare la sua influenza negli anni del post-Concilio, in nome dei nuovi teologi e della loro biasimevole “svolta antropologica”.

Nel suo libro appena ristampato (La svolta antropologica di Karl Rahner, edizioni EDIVI, Segni 2011, pp. 210, euro 27). Egli si confronta con uno dei più importanti studiosi del fronte progressista, il padre e gesuita Karl Rahner (1900 – 1984). Fabro, in un certo senso, è l’anti-Rahner per eccellenza, e la sua speculazione teologica e filosofica resta sempre, convintamente, all’interno dell’ortodossia, della Tradizione e di quel retto pensiero classico e cristiano che non è un limite frapposto alla ragione, ma semmai un trampolino.

Secondo padre Fabro, il gesuita tedesco partendo da un «soggettivismo radicale, mai finora tentato dopo la crisi modernistica», «non teme di capovolgere i principi fondamentali del realismo tomistico» (p. 7), miscelando sapientemente tomismo e idealismo, tomismo e Kant, tomismo e Heidegger. Per la scorrettezza metodologica assunta – che arriva sino alla falsificazione testuale (cf. p. 65ss.) – si può parlare secondo lo stimmatino di «depravazione ermeneutica del tomismo» (p. 7).

Un nemico mortale della dogmatica cattolica come Rahner, che proprio per questo diverrà un caposcuola nel postconcilio, ha una saccenza che appare assolutamente dogmatica a Fabro, non avendo il tedesco «mai preso in considerazione le riserve e le critiche di alcun genere» (p. 8). Nella prima parte dell’opera, Fabro dimostra un primo assunto della speculazione rahneriana e cioè l’identità di essere e conoscere: «tesi centrale della concezione rahneriana» (p. 32). Rahner infatti scrisse: «Sein und Erkennen ist dasselbe» (p. 35).

Che da qui vada in fumo tutta la grande filosofia cristiana fondata giustappunto sulla chiara distinzione (metafisica, ontologica, essenziale) fra essere ed essere conosciuto, appare perfino banale. Per Rahner infatti è la «soggettività umana» il centro di tutto, perfino «dello svelarsi dell’essere» e della «divina rivelazione» (cf. p. 13). La tesi annessa è quella della «priorità fondante del pensiero sull’essere» (p. 23), chiaro capovolgimento della tradizione tomistica, aristotelica, platonica e parmenidea.

Secondo il Nostro, il gesuita «ha fatto la sua opzione a favore del principio moderno di immanenza» (p. 25): è l’uomo che ora stabilisce i confini dell’essere, è il pensiero pensante che pone Dio nella misura dell’utile (Kant). Inutile insistere. Nuovi recentissimi studi, come quelli di padre Cavalcoli, hanno confermato ad abundantiam l’assunto fabriano e cioè che «l’impianto della sua interpretazione [di Rahner] era viziato nel suo fondamento» (p. 49), e le conseguenze non potevano non coinvolgere tutta la dottrina cattolica: dogmatica, morale, ecclesiologica, liturgica, etc.

Rahner, «il deformator thomisticus radicalis» (p. 81), ha usato san Tommaso per ingannare, con un linguaggio contorto e farraginoso, sia i lettori meno accorti che la stessa Chiesa docente: molti purtroppo hanno voluto farsi ingannare e si direbbe ex post che quasi non aspettassero altro… In estrema sintesi Rahner appare come il vate dell’ «orizzontalsimo antropologico» (quasi un Feuerbach cattolico) il quale, «contrastato prima del Concilio» è poi divenuto «il portabandiera della nuova versione nordica del cristianesimo immanentistico» (p. 60). E questo anche grazie all’ «appoggio di una parte notevole dell’episcopato tedesco» (p. 65, n. 122). (Fabrizio Cannone)

da: Corrispondenza Romana

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Autore: Libertà e Persona

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5 pensieri riguardo “Recensioni librarie”

  1. Il risorgimento fu anticlericale, ma bisogna ammettere che alla fine la perdita del potere temporale fu un beneficio per il papato.

  2. “Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?».
    Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io
    sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».

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