Sepe, non un “amico” del papa…

Il cardinale Crescenzio Sepe è ufficialmente iscritto nel registro degli indagati, per i loschi affari che avrebbe gestito allorché era Prefetto della Congregazione de propaganda Fide (la Congregazione dopo il concilio ha cambiato denominazione, ma del nuovo scìpito nome ce ne infischiamo; come tutti del resto).

Se sia penalmente colpevole o meno, lasciamo giudicare ad altri. A noi interessa semplicemente ricordare, per meglio inquadrare la persona, alcuni fatti.

Sepe è sempre stato in rapporti molto freddi con l’allora cardinale Ratzinger. Tanto vero che il nuovo Pontefice l’ha allontanato nel maggio 2006 dalla potentissima carica di Papa rosso (ossia Prefetto di Propaganda) e l’ha spedito a fare l’arcivescovo di Napoli. Una amotio, più che una promotio.

Di più: si è trattato di uno dei pochi atti significativi di Benedetto XVI nel suo primo anno di pontificato, quando il neoeletto si muoveva ancora con enorme circospezione, avendo da rodare la Curia woytiliana che aveva appena ereditato. Sotto questo profilo, Sepe si piazza cronologicamente in terza posizione nella classifica dei pur pochissimi licenziamenti anticipati effettuati da Papa Ratzinger, subito dopo il number one Fitzgerald (già Presidente del pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, spedito nunzio al Cairo a sperimentare in corpore vili le delizie del dialogo coi maomettani, di cui era invasato) e dopo il number two Sorrentino (già Segretario della Congregazione per il Culto Divino, liturgista modernista, reo di essere intervenuto contro ogni idea di apertura al rito antico nel corso del sinodo dei vescovi sull’Eucarestia; fu, un mese dopo la fine di quel sinodo, cacciato ad Assisi a sbrigare conflitti di competenza coi veri padroni di quella diocesi, i frati francescani).

Insomma: il fatto che Benedetto XVI, prudente e circospetto come sappiamo, alieno allo spoil system e rispettoso delle scadenze pensionistiche dei collaboratori, abbia invece fatto un’eccezione per il cardinale Sepe, ed in tempi relativamente brevi dall’ascensione al pontificato, a noi dice molto, anzi moltissimo. Dal 2001 al 2004 il card. Sepe ebbe, come Segretario aggiunto, mons. Malcolm Ranjit Patabendige Don.

 I due però non si intendevano affatto e Sepe ottenne di liberarsi dello scomodo collaboratore cingalese, finito così a fare il nunzio in Indonesia. Ma diventato papa Benedetto XVI, che aveva avuto modo di apprezzare mons. Ranjit nel periodo in cui questi era stato a Roma, lo richiamò a svolgere le funzioni di Segretario del Culto Divino (appunto in sostituzione di Sorrentino), proprio mentre era Sepe a doversi allontanare dal Vaticano. E anche questo attrito con Ranjit, di cui conosciamo l’integrità, molto ci dice.

Infine, è da salutare la diversità di reazione del Vaticano alla notizia dell’apertura delle indagini contro il porporato. Anziché la solita salva di proteste di estraneità e di innocenza (come era stato nel caso più eclatante, quello della difesa ad oltranza di Marcinkus, inseguito dalla polizia e rifugiatosi entro le mura leonine grazie alle benemerenze acquisite in alto loco per aver fornito ampi mezzi finanziari a Solidarnosc), si promette – chissà con quanta sincerità… – collaborazione con gli inquirenti e si sottolinea come tutta la responsabilità dei fatti addebitati non riguardi l’attuale gestione del card. Dias. Un modo quanto mai esplicito, e perfino brutale per l’etichetta ecclesiale, di ‘scaricare’ il cardinale partenopeo. Ed anche una specie di ammissione di colpe (altrui). da: www.messainlatino.it

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Autore: Libertà e Persona

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