Lasciate vivere Saddam

E’ di questi giorni la notizia di come moltissime persone che hanno in odio Saddam Hussein facciano la fila per avere l’onore di poterlo giustiziare. Sì, il loro sogno è quello di essere boia per un giorno, di poter assistere eccitati dallo spirito di vendetta agli ultimi istanti della vita del tiranno, di poterlo veder penzolare come un sacco inerte, come un non-uomo e vivere di questo ricordo. Questo è il loro sogno.
Saddam, l’incarnazione del male, Saddam, l’uomo che fu assecondato per un certo periodo di tempo dall’Occidente, in quanto figura laica di despota, non assillato da fondamentalismi religiosi. Saddam che fece comodo, quando si trattò di contrastare la rivoluzione iraniana.
Poi, cadde in disgrazia e il cinismo della politica ne fece progressivamente il nemico da abbattere. Ma lui era sempre lo stesso, il tiranno sanguinario, uno dei tanti nel mondo. Erano però mutate le ragioni geopolitiche e l’uomo aveva osato troppo, troppo contro le persone sbagliate. Forse aveva persino perso il senno ed era convinto di essere intoccabile. La vicenda è complessa e l’informazione rispetto ad essa spesso faziosa, partigiana.
Nessuno nega le responsabilità di Saddam, nessuno nega che la “sua corte” ha fatto per decenni il bello e il cattivo tempo riducendo in schiavitù il popolo dell’Iraq.
Ma tutto il male fatto vale la morte del tiranno? Un paese come l’Iraq, un paese che sembra volere muovere verso la democrazia, un paese dilacerato da un sanguinaria guerra civile, da un odio folle fra etnie e confessioni religiose, può legittimamente fondare la speranza per il proprio futuro sul gesto di un’impiccagione, sulla morte di un tiranno, di un despota, ma pur sempre di un uomo?
Certo Saddam deve pagare. Platone scriveva come la più grande liberazione dal male, cioè dalla malvagità, equivalga a scontare la pena. Aggiunge poi come la giustizia faccia in un certo senso rinsavire rendendo più giusti poiché essa costituisce la medicina della malvagità. Pertanto, per il filosofo greco, la cosa peggiore che può capitare ad un uomo non è commettere ingiustizia, ma commettere ingiustizia e non venire punito, perché chi non viene punito non recupera la propria dignità.
Ora, nel nostro caso si tratta di immaginare una pena che recuperi, una pena che faccia giustizia e non vendetta, una pena che riporti le cose piano piano, nell’alveo di una giustizia vera, di una forza positiva che cominci a risanare le ferite e ad indicare un futuro.
La pena di morte elude tutto questo, essa non recupera nulla, essa aggiunge dolore a dolore, essa mi pare soltanto vendetta, perché decide della vita di un altro. La pena capitale è voglia di annientare un uomo in cui si è identificato il negativo.
Ma il male resta, anche dopo Saddam, anzi, mai come in questo momento esso rivela la propria pervicace potenza. Ogni giorno leggiamo di stragi, di bombe nei mercati, nelle piazze, nelle moschee. Eppure il tiranno non c’è più, le sue ore sono contate, i suoi più stretti collaboratori sono incarcerati.
Se gli iracheni che più hanno in odio Saddam fossero capaci di un perdono, se fossero capaci di un atto di clemenza, forse da un passato di morte potrebbe sorgere un orizzonte di speranza.
Forse chiedo troppo, perché non ho conosciuto quel regime, perché non ho avuto parenti o amici torturati o uccisi, ma nonostante tutto mi sento di sperare un esito diverso dalla scontata esecuzione del despota.
Egli è sconfitto veramente soltanto se vive e vede la forza di una nazione che rinasce, oltre gli odi, nel cammino faticoso di una convivenza tutta da costruire. Egli è sconfitto e forse redento se gli lasciamo il tempo di pentirsi, se agiamo come lui non ha mai agito, mossi dalla pietas, convinti che la forza del perdono sia l’unica capace di interrompere il circolo vizioso di offesa e vendetta. Egli è vinto se comprende che nonostante tutto noi teniamo alla sua vita, per quanto essa possa essere segnata dalla cifra dell’odio e del dominio.
La sua morte invece, ne farà un martire, un simbolo per tutti coloro- e sono tanti- che hanno ragioni per risentirsi ancor più verso le ambivalenze ed ingerenze occidentali.
La sua morte, temo, accentuerà i rancori, soffierà sul fuoco della guerra civile, inasprirà il terrorismo e l’antioccidentalismo.
Saddam aggredì il suo popolo, ma ora non può nulla; la pena di morte mi pare ammissibile solo dove questa fosse l’unica via per difendere dalla violenza la vita di altri esseri umani. Ma questo caso non è il nostro.
E seppure si decidesse per la morte si eviti di spettacolarizzare la barbarie, di diffonderne le immagini. Tutto si svolga nel silenzio, tutto sia avvolto dal pudore. Perché si tratta di un’ esecuzione a freddo, calcolata, programmata cinicamente.
E il male resterà e lo spirito di vendetta continuerà ad proliferare. come nulla fosse stato.

Print Friendly, PDF & Email
Se questo articolo ti è piaciuto, condividilo.