Gli stregoni della notizia: il terrorismo dopo l’Iraq.

Una cosa va chiarita: essere contro la guerra del Golfo, e ricordare le malefatte dei governi americani nella storia, non significa essere contro un popolo, come parlare male del fascismo non significa essere anti-italiani. Significa, al contrario, schierarsi con un popolo che in maggioranza è sempre stato, nell’ultimo secolo, tendenzialmente isolazionista, e non interventista, e che perde in guerre inutili e menzognere i suoi giovani (il 40% ispanici, il 20% neri, e il resto cittadini provenienti per lo più dagli strati sociali più bassi). Bisognerebbe ricordare che Wilson fu eletto anche perchè si era schierato per il non intervento nella I guerra mondiale. Poi cambiò idea, e si servì della propaganda, cioè del Comitee on public information di George Creel, abilissimo giornalista, per spiegare agli americani che i tedeschi tagliavano le mani ai bambini, crocifiggevano i nemici e ne facevano saponette. Fu un modo molto abile per creare una forte germanofobia, funzionale all’entrata in guerra. La stessa cosa è successa con la guerra del Golfo. Anche Bush si presentò come isolazionista, nel solco della tradizione repubblicana, e ha cambiato posizione strada facendo, manipolando l’informazione al fine di spostare l’opinione pubblica. Ci racconta tutto un famoso giornalista di destra, Marcello Foa, caporeddatore degli Esteri de Il Giornale della famiglia Berlusconi, oltre che cofondatore dell’Osservatorio europeo di giornalismo, nel suo straordinario “Gli stregoni della notizia”, Guerini e associati (presentato anche al Meeting di Rimini di quest’anno). Foa, da esperto giornalista qual è, ci racconta tutte le strategie mediatiche con cui un governo è riuscito a creare la psicosi Saddam, a raccontare le menzogne sulle armi chimiche, sulle armi di distruzione di massa, sul mitico antrace (comparso e scomparso all’improvviso, quando non serviva più). La sua analisi si sofferma sul ruolo dei cosidetti spin doctor, cioè i divulgatori di notizie false e manipolate ai servizi del governo. Si tratta di storie avvincenti, quasi incredibili, che però Foa documenta con grande precisione, spiegandoci come si falsifica una notizia, come si inganna un giornalista, come si rovescia il significato di un documento, o come si procurano pseudo informazioni attraverso Comitati vari. Il fatto sensazionale è che il governo Bush è riuscito nel suo intento con tale abilità da sconfiggere tutte le più importanti istituzioni americane: occorre infatti ricordare che sia la Cia, che la Dia, cioè la Defense Intelligence Agency (i servizi segreti del Pentagono), che il Dipartimento di Stato, erano contro la guerra in Iraq (come pure l’Aiea, agenzia internazionale dell’enrgia atomica). Erano contrari anche personaggi di spicco come l’ex segretario di stato Paul O’Neil, l’ex “zar” dell’antiterrorismo della Casa Bianca, Richard Clarke, l’ambasciatore britannico a Londra sir Christopher Mayer( insieme ad un folto gruppo di ambasciatori americani e inglesi in Iraq, che definirono Bush “il grande arruolatore di Al Quaeda”), il generale americano Tommy Franks e moltissimi altri personaggi di spicco. Foa elenca le modalità con cui gli spin doctor di Bush sono riusciti a guidare, per un po’ di tempo (ora non più), le coscienze degli americani, ingannadoli con questa strategia:
1)”Citare dati veri in un contesto falso”; 2)Menzionare una dichiarazione ignorando quella successiva che la smentisce”; 3)Inondare i media di testimonianze di disertori”; 4)Cancellare dalla memoria pubblica ogni rapporto che negava il quadro voluto”; 5)Presentare come certe prove che la stessa Cia riteneva dubbiose”; 5)Presentare ipotesi estreme come se fossero sul punto di accadere”; 6)Cambiare il significato ad alcune testimonianze”; 7) “Dimostrare l’indimostrabile, il legame tra Al Quaeda e l’Raq”… E per ognuna di queste affermazioni Foa riporta esempi concreti, dati e fonti inconfutabili: un libro assolutamente da non perdere.
Concludo citando un articolo del Corriere della sera del 25 settembre 2006, che si intitola “Gli 007 americani: ‘Più terrorismo dopo la guerra in Iraq'”, e che dimostra ancora una volta l’assunto inziale: il popolo americano è stato portato in una guerra che non voleva, e da cui ora cerca di uscire, nel modo migliore, dopo aver ammesso, col ministro Gates, il fallimento in atto.
“Il giudizio di sedici agenzie di spionaggio americane è impietoso. La guerra in Iraq ha accresciuto la sfida del terrorismo diventando la prima fonte di reclutamento, ha dato nuove motivazioni agli estremisti e creato una nuova generazione di jihadisti in grado di riprodursi così rapidamente da rendere inefficace la risposta occidentale. Il movimento qaedista si è poi frantumato in realtà minori capaci di autocrearsi, Internet con oltre cinquemila siti integralisti ha sostituito per certi aspetti i campi d’addestramento e i centri di indottrinamento. Nel rapporto riservato di 30 pagine – il “National Intelligence Estimate” – si afferma che sicuramente la guerra ha “peggiorato” la posizione Usa nella lotta al terrore: l’invasione non avvicina la vittoria.
Le conclusioni dell’inchiesta – commissionata dal National Intelligence Council (Nic) – sono ancora più pesanti se si tiene conto che il dossier è il primo studio approfondito da parte degli 007 dopo la caduta di Bagdad ed ha richiesto due anni di lavoro. L’intelligence segnala che il conflitto iracheno si è trasformato in una palestra dove i mujaheddin non solo elaborano nuove tecniche ma le esportano con conseguenze disastrose. E’ il caso dell’Afghanistan dove i talebani si sono riorganizzati lanciando attacchi simili a quelli che avvengono in Iraq. Quindi autobomba, azioni suicide, esplosivi sofisticati. In perfetta sintonia con i loro colleghi europei, gli 007 americani mettono in guardia sul ritorno dei “volontari” che si sono battuti in Iraq nei Paesi d’origine (Medio Oriente, Nord Africa, Europa). La migrazione dei terroristi e la possibile saldatura con gli estremisti presenti in queste regioni – si afferma nel rapporto – può portare alla nascita di formazioni. Si “autocreano”, si autofinanziano (droga, traffici), agiscono senza contatti diretti con la vecchia guardia oppure stabiliscono il legame in un secondo momento. C’è una evidente dispersione del fenomeno terroristico, con Al Qaeda sempre di più nel ruolo di ispiratrice piuttosto che di organizzatrice. Anche se Washington può giustamente vantare di aver assestato dei colpi al nemico, la minaccia continua ad essere forte. “Se il corrente trend dovesse continuare – ha dichiarato in aprile il generale Michael Hayden, oggi capo della Cia – i pericoli per gli Usa saranno diversi e potremmo assistere a un loro aumento”.
La Casa Bianca ha reagito alla diffusione del dossier da parte del New York Times sostenendo che le informazioni pubblicate sono “incomplete” e che “l’odio dei terroristi” si è formato da decenni. Dunque per i funzionari non c’è il rapporto di causa (Iraq) effetto (più terrore). Una constatazione vera solo in parte: certamente il qaedismo ha origini lontane (primo attacco nel 1993), ma non vi è dubbio che la guerra irachena è diventata un formidabile carburante. Alcuni commentatori, pur senza contestare le conclusioni, hanno ricordato che in qualche occasione i rapporti del Nic si sono rivelati inesatti. Ma le analisi Usa trovano peraltro riscontri con le informazioni raccolte sul campo da apparati di sicurezza non americani. Su più fronti si sono affermate nuove situazioni eversive, con fazioni minori impegnate a fare il salto di qualità terroristico cucendosi addosso l’etichetta Al Qaeda. Il modello è quello di Al Zarqawi: crei una organizzazione, ti richiami ad Osama, usi al meglio l’arma della propaganda (Internet, video) e annunci di far parte di un disegno più ampio. Spesso sono le esperienze comuni in Iraq a fare da cemento e sono i metodi impiegati dai ribelli a Bagdad a fare scuola. Le reclute affluiscono sul fronte iracheno – “centrale” tanto per Bush che per Bin Laden – quindi vengono ridistribuite tra le milizie locali o rimandate indietro in attesa di ordini….”

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