Il Padre e il mistero del dolore, porta del cielo

natività

 

Può il Padre chiedere tutto questo dolore?

Eppure qualcosa non quadra! Come può Dio chiedere a una Madre di contemplare la bellezza del Figlio (Natività) e poi spezzarle il cuore nel compianto del Cristo morto? Questo Dio non è Padre, bensì, patrigno?

La risposta nella salvazione della Croce

Giotto invita allo sforzo di una comprensione simbolica. Simbolo è l’incrocio tra umano e divino, tra gioia e beatitudine,

tra dolore e trascendenza, superamento della condizione strettamente personale, ed accidentale dell’accadimento, nella verità universale.
Giotto dipinge, sulla stessa linea oculare (Cristo Morto e Maria prona su di Lui) Giovanni l’Evangelista. Nello sguardo dell’Apostolo si legge quasi la disperazione, un dolore incontenibile, come del resto nei dieci angeli del cielo, a testimonianza che anche il Cielo partecipa ai dolori non solo dei singoli, ma dell’umanità di tutti i tempi e a tutte le latitudini, ma anche al dolore per il Dio della vita, ora morto. Ma ecco la novità che Giovanni, per primo, condivide insieme a Maria e alle Pie Donne. Le sue braccia si allargano ad incrociare il piano inclinato della roccia, che, dall’albero spoglio, degrada verso il Cristo morto. «Con il suo gesto compone, rispetto all’obliqua della roccia, il simbolo della croce» , come nota significativamente lo storico Federico Zeri, cogliendo il simbolismo di Giotto. Sembra dire: «Anche io, ora, sono con te sulla Croce, perché l’Amore non è amato e il mio amato mi è stato tolto!». Le sue braccia e la roccia sono la risposta. Nella Croce l’unica salvezza. Cioè, nell’accettazione della Croce, l’unica salvezza. Vi è in tutto questo l’eco della tradizione francescana ben conosciuta dal nostro artista. Dalla croce nasce quella vocazione mistica monastica e, poi, francescana e di tutta la Chiesa, che compiange i dolori del Cristo nella Via Crucis-Via Lucis, innamorandosi di quell’amore sofferente che così poco è stato amato. Pensiamo ai Dolori mentali di Gesù, della Beata Camilla Battista da Varano, a Francesco Alter Christus, proprio in forza dell’amore per i dolori e amore provati da Gesù sulla Croce, a una Santa Veronica Giuliani, alla Beata Maria Maddalena Martinengo, Clarisse Cappuccine, a un San Paolo della Croce, a Santa Gemma Galgani, a san Pio da Pietralcina, ecc. i cui scritti ed esempi hanno informato la spiritualità della Chiesa.

noli

Noli me tangere. Il Padre non può aspettare, è impaziente.

Dinnanzi a questa scena di Maria, perdonata da Gesù, liberata da sette demòni, ed a Lui protesa con slancio, quanti episodi possono tornare alla mente, che dicono il modo di stare di Gesù nel mondo, passando dall’insegnamento nel Tempio, all’insegnamento dalla barca (la Chiesa); dall’accoglienza dei bambini – spesso considerati un fastidio nell’antichità, come oggi- alla compassione per la vedova; dal perdono per l’adultera –invitata a non più peccare- al perdono dall’alto della croce per coloro che non sanno quello che fanno; dalle tentazioni nel deserto alle tentazioni sulla croce.
Ma tutto inizia dal profondo rapporto di Gesù con il Padre, evidenziato dai momenti quotidiani in cui Gesù si ritira, solo, a pregare la sera, o, quando esce, presto, al mattino, a pregare quel Padre Suo, che è anche Padre Nostro.
Nel Noli me tangere il crinale di roccia, che nel Compianto conduce il nostro sguardo verso sinistra, ora, simmetricamente, guida l’osservatore verso destra, «illuminato dalla grande alba» : verso i volti radiosi di Gesù e Maddalena, verso il gesto di quelle due mani protese e di quell’altra di Gesù, centro focale del quadro, che sembra dire: noli me tangere- verso quel piede, che si sta già incamminando Oltre. È l’icona della letizia: ci sono le due mani della Maddalena lanciate così e la mano di Cristo, che segna il confine. È una soglia: la soglia è il termine di un cammino e l’inizio di un’altra Vita.
La Maddalena –per tre volte- sembra “abitare” ai piedi di Gesù: sotto la Croce; nel successivo Compianto sul Cristo morto; e di nuovo ora, inginocchiata, protesa verso il Risorto, il quale le dice: non mi toccare. È questo il vertice del trittico della Maddalena: un possesso con un distacco, un possesso verginale. Il manto rosso –l’amore di carità- dapprima sotto le ginocchia di lei nella Crocifissione, che, poi, l’avvolge parzialmente nel Compianto, ora la ricopre totalmente nella Risurrezione. Questa progressione è simbolica: accompagna il peccatore dall’inizio della conversione fino al termine, che è un Cristo che sfugge per andare Oltre (Come vediamo, anche qui Giotto non rappresenta una scena al naturale, ma in modo simbolico).
Il Risorto regge il vessillo bianco-crociato in cui campeggiano quelle due parole, di dodici lettere in tutto (tre per quattro riquadri): «VIC-TOR MOR-TIS», Vincitore della morte . Attenzione: si può notare che le due parole VIC-TOR e MOR-TIS non sono scritte nei due riquadri in linea orizzontale, da sinistra a destra. Bensì i due termini sono scritti verticalmente: A sinistra in alto VIC e a sinistra in basso TOR; a destra in alto MOR e a destra in basso TIS. Anche questo non è un caso. È la cifra nascosta del Vangelo: Il Vincitore della Morte viene solo dall’Alto e incrocia la vita dell’Uomo. Se l’Uomo non si lascia incrociare, con tutte le sofferenze che ne scaturiranno –e che, comunque non mancherebbero di esserci-, non vincerà la morte.
Il Vangelo –la notizia dolcissima- è tutto qui, in queste dodici lettere, che i Dodici porteranno fino agli estremi confini della terra: Gesù è vincitore della morte non se risorge, coronando il sogno di coloro che vagheggiano l’immortalità, ma se torna al Padre! Ed Egli torna al Padre solo se muore! Crux Ave, Spes Unica, come canta in Quaresima l’ultima strofa dell’Inno Gregoriano nei Vespri della Settimana Santa .

 

ascensione

 

Il Padre è termine ultimo: è Colui che attende

La Croce trova compimento nel Mysterium Ascensionis. Senza un termine “a quo” e “ad quem”, cioè, la provenienza dal Padre ed il ritorno al Padre, -alla méta-, tale Mysterium non avrebbe motivo di esistere.
I due angeli del sepolcro vuoto, lievemente sollevati da terra, nuovamente dicono di guardare oltre. Al sepolcro, dicevano: «Non è qui. Non cercate tra i morti colui che è vivo». Ora, con l’indice, indicano verso l’alto. Ancora oltre: guardate Gesù, incorniciato in una mistica aurea porta del cielo.
Le mani sono tagliate, come quando, tuffandosi in acqua, prima entrano le mani e, poi, il resto del corpo. Qui sembra un tuffo a rovescio – dice il Prof. Filippetti- un tuffo verso l’alto del Cielo . Possiamo pensare: Gesù si tuffa nel Padre! È il ritorno del Figliol Prodigo. Certo, Gesù non ha mai abbandonato la Casa del Padre, ma, caricandosi dei peccati degli uomini – secondo il mistero cristiano- ha adombrato, in quella parabola, il percorso che ha voluto compiere al posto di Adamo, perché ogni Adamo trovi in Lui, nostra primizia, la stessa forza. E in Lui ogni Adamo scopra che il Padre è Colui che attende.

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Autore: Marcello Giuliano

Nato a Brescia nel 1957, vive a Romano di Lombardia (BG). Dopo aver conseguito il Baccelierato in Teologia nel 1984 presso il Pontificio Ateneo Antonianum di Roma e il Diploma di Educatore Professionale nel 2001, ha lavorato numerosi anni nel sociale. Insegnante di Religione Cattolica nella Scuola Primaria in Provincia e Diocesi di Bergamo, collabora ai cammini di discernimento per persone separate, divorziate, risposate ed è formatore per gli Insegnanti di religione Cattolica per conto della stessa Diocesi. Scrive sulle riviste online Libertà & Persona e Agorà Irc prevalentemente con articoli inerenti la lettura simbolica dell’arte ed il campo educativo. Per Mimep-Docete ha pubblicato Dalla vita alla fede, dalla fede alla vita. Camminando con le famiglie ferite (2017); In collaborazione con Padre Gianmarco Arrigoni, O.F.M.Conv., ha curato il libro Mio Signore e mio Dio! (Gv 20, 28). La forza del dolore salvifico. Percorsi nella Santità e nell’arte, (2020). Di prossima uscita Gesù è veramente risorto?