Gender: Le Scienze, errori ed orrori

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Avevamo parlato qualche giorno fa dell’editoriale del direttore di Le Scienze sul tema “gender”. Analizziamo adesso l’articolo di Mente e Cervello al quale l’editoriale si riferiva.

L’articolo è a pag. 48, e sin dall’inizio è possibile notare una manipolazione linguistica:

Se per la biologia esistono solo due generi, il maschile e il femminile… per la psicologia e la sociologia la faccenda è più complessa, e il termine gender indica non tanto il genere biologico, quanto quello nel quale l’individuo si riconosce, indipendentemente da quello che dice il suo DNA.

In biologia esistono i sessi, se il termine “genere” compare, si tratta di un’acquisizione recente e ingiustificata. Ma dal punto di vista della comunicazione introdurre il termine “genere” al posto di sesso è una premessa per l’accettazione del concetto di genere psicologico-sociologico. Successivamente poi si parla, correttamente, di “possibili” discrepanze tra biologia e vissuto individuale, discrepanze studiate dagli studi di genere (gender studies), una disciplina nata negli USA negli anni ’60.

Dopo aver passato in rassegna alcuni casi di opposizione al gender, l’articolo prende una piega chiaramente schierata:

Sono solo alcuni dei molti esempi di opposizione all’introduzione di una didattica che non sia afflitta da stereotipi sui ruoli che, nella società, donne e uomini si trovano a ricoprire e sul diritto al riconoscimento giuridico delle famiglie “atipiche”, in cui sono presenti due genitori dello stesso sesso o un genitore unico.

Secondo l’articolo la didattica sarebbe stata sinora “afflitta” (sic!) da stereotipi, vien da domandarsi se l’autrice dell’articolo sappia cosa si insegna nelle scuole: dove la didattica sarebbe stata afflitta da stereotipi? Nella geografia o nella filosofia? Nella matematica o nella fisica o nella biologia? E la storia, si insegna con gli stereotipi? Oppure è la grammatica la colpevole?

Per prima cosa domandiamo a Mente e cervello in quale disciplina esistano streotipi di genere che “affliggono” l’insegnamento.

Nello stesso periodo si parla poi di “due genitori dello stesso sesso”, ecco, questa è un’affermazione che fatta da uno studente varrebbe un bel 2 e a posto: in biologia due genitori dello stesso sesso non possono esistere, e non si tratta di uno stereotipo ma di scienze sperimentali. Affermare il contrario significa fare disinformazione scientifica.

L’affermazione sul genitore unico poi resta da comprendere, quando mai servono gli studi di genere per affrontare le situazioni di persone single che crescono un figlio? Che c’entra? Ovviamente nulla, a meno che quando si parla di genitore unico non si intendano dei casi in cui si è  ricorso all’inseminazione eterologa o all’utero in affitto, allora si dovrebbe essere più chiari se no il sospetto che si vogliano confondere le situazioni è legittimo.

A pag. 51 si spiegano le origini degli gender studies, e così come era avvenuto nell’editoriale del direttore, il riferimento e lo screditatissimo e famigerato “Rapporto Kinsey”, e a dirlo è Demie Kurtz, condirettore del Dipartimento degli studi sul genere, la sessualità e le donne dell’Università della Pennsylvania a Philadelphia:

“A svelare la frequenza con cui si presentano le “incongruenze” di genere è stato Alfred Kinsey, con il suo studio sulla sessualità degli americani, pubblicato appunto nei primi anni cinquanta.”

Alfred Kinsey viene ancora citato ai massimi livelli degli studiosi di gender studies come autore di riferimento. Ricordiamo a questo punto chi era Alfred Kinsey, ce lo ricorda lo psicologo, prof. Roberto Marchesini che scrive:

“Kinsey ha manipolato il campione di individui intervistato per ottenere quei dati. Il celebre psicologo Abraham Maslow, saputo delle ricerche che Kinsey stava conducendo, volle incontrarlo per confrontarsi con lui. Una volta compreso il metodo d’indagine di Kinsey, Maslow mise in guardia l’entomologo dal “volunteer error”, ossia dalla non rappresentatività di un campione composto esclusivamente da volontari per una ricerca psicologica sulla sessualità. Kinsey decise di ignorare il suggerimento di Maslow e di proseguire nella raccolta delle storie sessuali di volontari. Oltre a questo, circa il 25 % dei soggetti maschi intervistati nella sua ricerca erano detenuti per crimini sessuali; l’unica scuola superiore presa in considerazione per la ricerca fu un istituto particolare nel quale circa il 50 % degli studenti avevano contatti omosessuali; tra i soggetti erano presenti anche un numero sproporzionato di “prostituti” maschi (almeno 200); tra gli omosessuali vennero contati anche soggetti che avevano avuto pensieri o contatti casuali, magari nella prima adolescenza; infine, nel calcolare la percentuale di omosessuali, Kinsey fece sparire – senza darne spiegazione – circa 1.000 soggetti.”

Ma agli errori metodologici vanno aggiunti gli “orrori” materiali e teorici di cui Kinsey si rese responsabile:

L’aspetto però più inquietante di questo personaggio riguarda gli esperimenti sessuali condotti su bambini.

Nel paragrafo intitolato L’orgasmo nei soggetti impuberi (pp. 105 – 112) del primo Rapporto Kinsey descrive i comportamenti di centinaia di bambini da quattro mesi a quattordici anni vittime di pedofili. In alcuni casi, Kinsey e i suoi osservarono (filmando, contando il numero di «orgasmi» e cronometrando gli intervalli tra un «orgasmo» e l’altro) gli abusi di bambini ad opera di pedofili: «In 5 casi di soggetti impuberi le osservazioni furono proseguite per periodi di mesi o di anni[…]» (p. 107); ci furono anche bambini sottoposti a queste torture per 24 ore di seguito: «Il massimo osservato fu di 26 parossismi in 24 ore, ed il rapporto indica che sarebbe stato possibile ottenere anche di più nello stesso periodo di tempo» (p. 110).

Nel secondo Rapporto esiste un paragrafo intitolato Contatti nell’età prepubere con maschi adulti, nel quale vengono descritti rapporti sessuali tra bambine e uomini adulti, ovviamente alla presenza di Kinsey e colleghi. Le osservazioni condotte inducono Kinsey a sostenere che

“Se la bambina non fosse condizionata dall’educazione, non è certo che approcci sessuali del genere di quelli determinatisi in questi episodi [contatti sessuali con maschi adulti], la turberebbero. E’ difficile capire per quale ragione una bambina, a meno che non sia condizionata dall’educazione, dovrebbe turbarsi quando le vengono toccati i genitali, oppure turbarsi vedendo i genitali di altre persone, o nell’avere contatti sessuali ancora più specifici.

Kinsey attinse i dati sulla sessualità infantile effettuando attivamente pratiche pedofile per le quali avrebbe dovuto essere legalmente perseguito. E fu anche un dichiarato sostenitore della pedofilia. Molto discutibili anche le sue frequentazioni, una fotografia lo ritrae in compagnia di un certo Kenneth Anger davanti ad una foto del mago satanista Aleister Cowley. Anger, regista di film come “Lucifer rising” e amico di Bobby Beusoleil della “famiglia” di Charles Manson, fu intimo amico di Kinsey e contribuì alle sue ricerche fornendo un filmato nel quale si masturbava. Questo era Alfred Kinsey.

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Alfred Kinsey (a sninstra) e Kenneth Anger nell’abbazia esoterica di Thelema, davanti alla fotografia di Aleister Crowley.

Kinsey, pedofilo violentatore di bambini, frequentatore di ambienti occultisti legati a tradizioni prescientifiche di ispirazione satanista, è l’autore riconosciuto, senza alcuna riserva, all’origine degli studi di genere dal condirettore del Dipartimento degli studi sul genere, la sessualità e le donne dell’Università della Pennsylvania a Philadelphia, e proposto acriticamente ai lettori di Le Scienze.

L’autrice dell’articolo su Mente e Cervello prosegue quindi cadendo nella stessa affermazione del direttore quando parla degli studi di genere come di “studi epidemiologici“, affermando quindi automaticamente che la disgiunzione del sesso biologico da quello comportamentale è una patologia:

Gli studi di genere, quindi, sostengono (oramai con dovizia di dati epidemiologici e comportamentali) che l’appartenenza può essere disgiunta dal sesso biologico e dall’orientamento sessuale.

A quest’affermazione, più o meno consapevole, ne segue una di particolare rilevanza:

A dimostrarlo con un preciso modello teorico è stato, tra i primi, lo psicologo e sessuologo statunitense John Money, nel 1972. Secondo il suo approccio biosociale, natura e cultura interagiscono per determinare il sentimento di appartenenza ad un genere o all’altro. “Si nasce maschi o femmine -spiegava Money- ma l’etichetta sociale che ci viene attribuita e il diverso modello educativo che viene impartito ai bambini e alle bambine interagisce con i fattori biologici…”

John Money è il secondo “campione” del gender che viene proposto, da notare che si cita il suo modello “teorico” e non i suoi risultati, e il motivo è chiaro: la sua teoria quando fu applicata  fu all’origine di un dramma esistenziale per la malcapitata “cavia” umana, David Reimer, e sfociò in un tragico epilogo:

David Reimer, nato Bruce Peter Reimer (Winnipeg, 22 agosto 1965 – Ottawa, 5 maggio 2004), è stato un cittadino canadese che, nato maschio, dopo la nascita fu sessualmente riassegnato al sesso femminile a causa della perdita del pene durante una maldestra operazione di circoncisione. Lo psicologo John Money (1921-2006) seguì clinicamente il suo caso, guidando Reimer verso l’accettazione della condizione sessuale femminile. Money dichiarò che la terapia ebbe esito positivo: Reimer apprese la nuova identità di genere. Tuttavia il sessuologo Milton Diamond scoprì che Reimer non si identificò mai con una donna e che dall’età di 15 prese a vivere come un uomo. Reimer stesso volle che la sua storia fosse resa pubblica affinché a nessun altro capitasse quello che era capitato a lui. Morì suicida nel 2004.

Fonte Wikipedia

L’esperimento di Money fu un drammatico insuccesso, eppure egli viene riportato come il fondatore della teoria del gender, quella secondo la quale si può “riassegnare” un sesso diverso mediante la rieducazione.

L’articolo di Mente e cervello prosegue mostrando tutti i motivi che renderebbero raccomandabili le indicazioni degli esperti di gender, una teoria che ha come fondatori personaggi totalmente antiscientifici e screditati sui quali la stampa scientifica dovrebbe informare.

Quello che è stato qui riportato avrebbe dovuto essere dichiarato su Le Scienze, ma purtroppo questo non è avvenuto, eppure bastava solo avere una connessione internet.

Ciascuno tragga le proprie conclusioni.

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