Un ebreo di nome Zolli

Gli attacchi a Pio XII e alla chiesa cattolica accusati di filonazismo vanno avanti da decenni. Il film Amen del regista Costa Gavras è solo uno degli innumerevoli esempi di denigrazione basata sul vuoto della calunnia ai danni di papa Pacelli. Per pubblicizzare il film il ‘creativo’ Oliviero Toscani è arrivato ad immaginare un manifesto in cui la croce uncinata nazista scaturisce dalla croce cristiana. In questo contesto di squallore quotidiano brilla una coraggiosa iniziativa editoriale. Si tratta della biografia di Israel Zoller (Judith Cabaud, Il rabbino che si arrese a Cristo, ed. San Paolo), rabbino capo della comunità ebraica di Roma ai tempi del fascismo e dell’occupazione nazista. Zoller, costretto ad italianizzare il nome, dopo essere diventato Italo Zolli sceglie ancora una volta -in questo caso di sua spontanea volontà- di mutare nome. Convertitosi al cristianesimo, Italo Zolli diventa Eugenio Zolli: alla fine della guerra, al momento del battesimo, “in omaggio e per riconoscenza a papa Pio XII [Eugenio Pacelli] per quello che aveva fatto per gli ebrei durante la guerra”, fa proprio il nome del papa. Ecco cosa scrive Zolli nell’opera Antisemitismo composta nel 1945: “L’ebraismo ha un grande debito di riconoscenza nei confronti di Sua Santità Pio XII per i suoi appelli, pressanti e ripetuti, formulati in suo favore. E anche se si rivelarono spesso senza effetto, possiamo dire che egli meriti sempre la nostra profonda gratitudine per le sue proteste contro le leggi razziali ed i processi iniqui. E questo debito riguarda soprattutto gli ebrei di Roma perché, essendo più vicini al Vaticano, furono oggetto di sollecitudini particolari”. Ancora: “L’opera straordinaria della Chiesa per gli ebrei di Roma è soltanto un esempio dell’immenso aiuto svolto sotto gli auspici di Pio XII e dei cattolici di tutto il mondo, con uno spirito di umanità e di carità cristiana impareggiabili. La descrizione di quest’opera in tutta la sua vastità costituirà una delle pagine più fulgide della storia umana, un vero trionfo della luce che emana da Gesù Cristo”.

Un rabbino capo di Roma che si converte al cattolicesimo alla fine della seconda guerra mondiale? Basterebbe questo solo fatto a smentire nel modo più categorico le accuse di antisemitismo reiteratamente rivolte contro Pio XII e la chiesa da lui diretta. Peccato che dell’esistenza del rabbino Zolli nessuno sappia niente. La memoria dell’insigne uomo di cultura e di pietà religiosa è infatti stata cancellata. A cominciare, lo mette giustamente in rilievo Messori nella prefazione al libro della Cabaud, da De Felice che -spesso accusato di perdersi nei dettagli e nelle minuzie-, nella sua Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo dimentica addirittura di citare il ruolo e la storia del rabbino capo della comunità romana: De Felice -scrive Messori- ignora “del tutto” il nome di Zolli “che compare solo in una nota bibliografica”. A riportare d’attualità l’incredibile storia della miracolosa conversione di Zolli è ora un’ebrea, anch’essa convertita. Judith Cabaud, madre di nove figli, è venuta a conoscenza della storia del rabbino grazie al figlio primogenito, seminarista a Roma. Da quel momento, nonostante il caso fosse tutt’altro che “politicamente corretto”, Judith ha scelto di compromettere il proprio buon nome -si fa per dire- e di riportare in vita la memoria di Zolli. Non a caso la Cabaud paragona il caso del rabbino a quello di un altro ebreo famoso, il filosofo Henri Bergson. Entrambi capiscono che “il cattolicesimo è la continuazione dell’ebraismo e che le due religioni si completano alla perfezione”. Entrambi attendono per il gran passo della conversione che il loro gesto non possa in alcun modo essere equivocato e scambiato per opportunismo. Bergson evita addirittura di ricevere il battesimo. Il perché lo spiega nel Testamento autografo: “Le mie riflessioni mi hanno portato sempre più vicino al cattolicesimo, nel quale vedo la realizzazione completa del giudaismo. Mi sarei convertito se non avessi visto prepararsi da anni (in gran parte, ahimè!, per colpa di un certo numero di ebrei interamente sprovvisti di senso morale) la formidabile ondata di antisemitismo che sta per scatenarsi nel mondo. Ho voluto restare tra coloro che saranno domani dei perseguitati. Ma spero che un prete cattolico vorrà, se il cardinale arcivescovo di Parigi lo autorizza, venire a dire delle preghiere sulle mie esequie”. Quanto a Zolli “non volle entrare nella chiesa in piena persecuzione contro gli ebrei, come se volesse sfuggire alla sorte che li aspettava”. Il drammatico Testamento di Bergson ci riporta all’indegna calunnia che ha circondato e circonda l’operato di Pio XII. Ecco cosa scrive Cabaud citando un testo recentemente comparso in difesa di papa Pacelli, composto dal gesuita padre Blet che ha avuto ampio accesso agli Archivi Vaticani: “Nel dicembre del 1942, papa Pio XII estende il suo messaggio di Natale ‘alle centinaia di migliaia di persone che, senza alcuna loro colpa, e talvolta per il solo fatto della loro appartenenza o della loro razza, sono state condannate alla morte o a un progressivo sterminio’. Sei mesi dopo, nel giugno del 1943, nell’allocuzione al Collegio dei Cardinali, Pio XII ricorda ancora le ingiustizie perpetrate contro gli ebrei e i cattolici diventati ostaggio del nazismo e spiega la sua prudenza: ‘Tutte le nostre parole rivolte a questo riguardo alle autorità competenti, come tutte le nostre dichiarazioni pubbliche, devono essere seriamente da Noi soppesate e misurate nell’interesse delle vittime, per non rendere contro le nostre intenzioni, più pesante e insopportabile la loro situazione”.

A cosa si riferisce il papa? All’esperienza della Chiesa olandese i cui vescovi hanno pubblicamente condannato le atrocità naziste. Chi accusa il pontefice di silenzio, scrive la Cabaud citando Anthony Rhodes, scorda volutamente il precedente dell’Olanda: “C’erano nei Paesi Bassi più ebrei battezzati cattolici che in tutto il resto d’Europa. Mentre venivano radunati e deportati in Polonia gli israeliti olandesi, gli ebrei battezzati non venivano importunati dalle forze di occupazione nazista. Nel luglio del 1942, la chiesa cattolica, insieme alla chiesa riformata d’Olanda, in un telegramma al Reichskommissar tedesco, protestò contro la deportazione degli ebrei olandesi e minacciò di renderla di pubblico dominio se non fosse cessata”. Per tutta risposata, commenta Cabaud, “i nazisti fecero sapere che se le chiese cessavano le loro proteste, essi avrebbero continuato a chiudere gli occhi a proposito degli ebrei battezzati, assimilati fino a quel momento ai cristiani. La chiesa riformata diede il suo assenso, mentre l’arcivescovo cattolico di Utrecht rifiutò e condannò apertamente e ufficialmente la persecuzione. La risposta fu immediata: tutti gli ebrei, anche quelli battezzati nella chiesa cattolica (ed Edith Stein, carmelitana, ed ora elevata agli altari, era tra di loro) furono deportati ad Auschwitz. Mentre gli ebrei battezzati nella chiesa protestante non furono toccati”. Cabaud ricorda anche le parole di Pio XII a don Pirro Scavizzi. Lo fa in modo incompleto e noi preferiamo ricorrere alla citazione integrale riportata da Mario Cervi nella prefazione a Pio XII. Il papa degli ebrei di Andrea Tornielli. Nel 1942, dunque, Scavizzi, “un cappellano italiano che percorreva l’Europa raccogliendo notizie sulle persecuzioni, viene ricevuto in udienza dal Papa e gli descrive la terribile situazione sia dei cattolici sia degli ebrei in Polonia. Il Papa si confidò con lui: ‘Dica che, più volte, avevo pensato a fulminare con scomunica il nazismo, a denunciare al mondo civile la bestialità dello sterminio degli ebrei… Ci sono giunte gravissime raccomandazioni, per diversi tramiti, perché la Santa Sede non assumesse un atteggiamento drastico. Dopo molte lacrime e molte preghiere, ho giudicato che la mia protesta non solo non avrebbe giovato a nessuno ma avrebbe suscitato le ire più feroci contro gli ebrei e moltiplicato gli atti di crudeltà perché sono indifesi. Forse la mia protesta avrebbe procurato a me una lode nel mondo civile, ma avrebbe procurato ai poveri ebrei una persecuzione anche più implacabile di quella che soffrono”. Lasciamo per un momento la lettura de Il rabbino che si arrese a Cristo per qualche ulteriore puntualizzazione, possibile grazie alla recente pubblicazione degli archivi dell’Oss (l’ufficio dei servizi strategici americani) studiati per più di due anni dallo storico Richard Breitman. Dall’analisi delle carte risulta in modo inconfutabile che americani ed inglesi sapevano “della politica di sterminio” applicata dal Terzo Reich fin dal 1941. Churchill e Roosevelt sapevano; eppure tacquero e non fecero nulla. L’Occidente non fece nulla quando Hitler, prima della soluzione finale, aveva previsto la deportazione degli ebrei in Madagascar. Inglesi ed americani impedirono anche il trasferimento in massa degli ebrei in America, in Inghilterra e in Palestina. Per non parlare del ruolo di rilievo avuto dal capitale ebraico nel finanziamento della campagna hitleriana per la conquista del potere. Si riferisce anche a questo Henry Bergson quando, nel Testamento, allude ad un “certo numero di ebrei interamente sprovvisti di senso morale”?

Scrive Vitaliano Mattioli in Gli ebrei e la chiesa citando il Sunday Times: “Churchill non solo bloccò il piano [di esodo verso la Palestina] ma per non irritare la popolazione araba di Palestina (‘l’immigrazione ebrea avrebbe preoccupato gli Stati arabi”), allora amministrata dalla Gran Bretagna (lo Stato d’Israele fu fondato solo nel 1948), promulgò una legge nella quale vietava agli ebrei di emigrare in Medio Oriente. Fu per questo che agli inizi del 1943 a 70.000 ebrei rumeni non fu permesso di espatriare in Palestina, destinandoli praticamente a morte sicura”. Dal 1939 la Gran Bretagna “aveva limitato a 75.000 il numero degli immigrati ebrei per i prossimi 5 anni”. Goebbels, il famigerato ministro della propaganda nazista, non ha torto quando nel 1943 scrive: “Quale sarà la soluzione del problema ebraico? Si creerà un giorno uno stato ebraico in qualche parte del mondo? E’ interessante notare che i paesi la cui opinione pubblica si agita in favore degli Ebrei, rifiutano costantemente di accoglierli. Dicono che sono i pionieri della civiltà, che sono i geni della filosofia e della creazione artistica ma quando si chiede loro di accettare questi geni, chiudono le frontiere e dicono che non sanno che farsene. E’ un caso unico nella storia questo rifiuto di accogliere in casa propria dei geni”. Per quanto riguarda Roma e l’Italia, dopo aver analizzato i documenti dell’Oss, Breitman racconta: “gli USA e l’Inghilterra seppero con qualche giorno di anticipo che l’Olocausto stava per colpire l’Italia. Se avessero informato la comunità ebraica di Roma, ne avrebbero evitato lo sterminio. Ma non lo fecero”. Ancora: alla fine del 1943 i bombardieri alleati stanziati in Puglia avrebbero potuto colpire le linee ferroviarie che portavano ai campi di concentramento polacchi. Fecero invece una diversa scelta ‘strategica’: preferirono concentrarsi sul bombardamento delle fabbriche di armi. Davvero appropriata è la domanda dello storico Emile Puolat: “Questo silenzio che il papa non avrebbe rotto, chi mai l’ha rotto? Quali sono i politici ‘democratici’ che allora protestarono? Quali sono le frontiere che si sono aperte per accogliere i perseguitati?”. La risposta oggi è nota: nessuno. E non per ignoranza. Tutti sapevano e tutti evitarono accuratamente di fare alcunché. Papa Pacelli agì: “Pinchas Lapide, ex console d’Israele in Italia, afferma: ‘Durante la guerra la Chiesa cattolica salvò più vite di ebrei di tutte le altre chiese, istituzioni religiose e organizzazioni benefiche messe insieme’. Esaminando le statistiche, Lapide mette in luce il divario considerevole tra il numero degli ebrei salvati dalla chiesa e tutte le realizzazioni della Croce Rossa Internazionale e delle democrazie occidentali. ‘La S. Sede, i nunzi e la chiesa cattolica nel suo insieme salvarono circa 400.000 ebrei da morte certa”. Anche Zolli sapeva, e bene, come stavano le cose. Ecco cosa testimonia: al momento dell’arresto degli ebrei di Roma e d’Italia “il Santo Padre mandò una lettera che doveva essere consegnata personalmente ai vescovi e con la quale disponeva di sospendere la clausura in vigore all’interno delle case religiose per metterle in condizioni di diventare un rifugio per gli ebrei. Conosco un convento dove le suore dormivano in cantina per lasciare ai rifugiati ebrei i loro letti”. Per salvare gli ebrei nessuno fece nulla. Eppure si continua a gettare la croce della colpevolezza sulle spalle di papa Pacelli. Sull’unico che fece tanto. Ci piace chiudere questo lungo articolo con una citazione dell’ex rabbino capo Zolli, ormai divenuto cristiano, risalente al 1948: “Sono convinto che dopo questa guerra, l’unico modo per resistere alle forze di distruzione e per intraprendere la ricostruzione dell’Europa sarà la diffusione del cristianesimo, cioè dell’idea di Dio e della fraternità umana come fu predicata da Cristo e non di una fraternità basata sulla razza dei superuomini; infatti, ‘non c’è più greco né giudeo, né schiavo né libero; siamo tutti uno in Cristo Gesù”.

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