Vogliamo veramente aiutare coloro che non riescono ad avere figli?

La Stampa di domenica, con i due soliti paginoni allarmistici e propagandistici, spiega che le coppie italiane vanno ormai continuamente all’estero per avere i figli che con la legge 40 non riescono ad ottenere. E’ la solita strategia che spinge tutti coloro che hanno conosciuto l’esperienza della delusione post fecondazione artificiale, a dare la colpa all’Italia e a partire per mete lontane. In verità la Stampa, come tutti i grandi giornali, omette di spiegare che quella piccolissima percentuale di gravidanze in meno, circa il 3%, è ben ripagata: ora in Italia c’è qualche bimbo concepito in vitro in meno, ma ci sono anche meno parti trigemini, pericolosissimi per la salute della madre e dei bimbi; meno o minori iperstimolazioni ovariche sulle donne, con conseguente diminuizione del rischio di tumore per le stesse; meno embrioni congelati, che una volta impiantati, qualora portino ad una gravidanza, determinano bambini meno sani…

La domanda che sorge spontanea è questa: possibile che i giornali che si schierano sempre a favore dell’aborto, piangano con tanto ardore qualche bimbo in meno da fiv? Hanno veramente a cuore la sorte di coloro che tanto bramano avere figli? In verità sappiamo che questi stessi giornali non hanno mai fatto nulla per stimolare la ricerca per rimuovere le cause della sterilità, che porterebbe ad un analogo numero di nascite, senza rischi. Inoltre omettono sempre di spiegare che uno dei modi per risolvere il problema figli sarebbe quello spiegato da Fernando Santosuosso, già presidente di sezione della Corte suprema di Cassazione, in un libro del lontano 1961, intitolato appunto “La fecondazione artificiale nella donna”. Nel 1984 per l’editore di testi giuridici Giuffrè Santosuosso ha approfondito i suoi studi, raccogliendoli in un volume dal titolo “La fecondazione artificiale umana”. Si tratta di un’opera molto specifica sul diritto di famiglia e le eventuali conseguenze giuridiche derivanti ad esempio dalla fecondazione eterologa, o da altre pratiche allora in fase sperimentale. Se ne ricavano anche interessantissimi aneddoti su alcune vicende di quegli anni. Si apprende, ad esempio, che il dottor Carl Wood, il primo medico a far nascere un bambino da un embrione crioconservato, in Australia nel 1984, proponeva “la possibilità di influenzare geneticamente le caratteristiche psicofisiche dei neonati, eliminando ad esempio l’istinto maschile dell’aggressività mediante iniezioni di ormoni femminili negli embrioni maschili” (p.2). Altre istruttive notizie sono quelle sui tentativi di “innestare embrioni umani in animali per evitare di pagare donne portatrici”, o sugli “esperimenti di gravidanze addominali ottenute artificialmente con l’inserimento di embrioni fecondati in vitro nell’addome di transessuali, collegati ad un’arteria ed estratti dopo alcuni mesi per proseguire lo sviluppo in incubatrice”.

Ma quello che mi sembra più interessante nel volume in questione è una proposta concretissima, quasi a conclusione del libro, e che purtroppo è rimasta a tutt’oggi lettera morta. Santosuosso parte da una constatazione banale. Vi sono ogni anno in Italia centinaia di migliaia di coppie che eliminano il loro bambino tramite l’aborto, per una serie di motivi che ora è inutile analizzare, e, contemporaneamente, centinaia e centinaia di coppie che non riescono ad avere i figli desiderati, per motivi di sterilità. Ebbene, anche senza limitare in nessun modo la possibilità di scelta della donna riguardo al concepito, senza cioè minimamente mutare lo spirito della legge 194, basterebbe “proporre una modifica legislativa che preveda l’offerta alla donna in stato di gravidanza dell’alternativa tra l’aborto o la scelta di essere liberata dal bambino appena nato ricevendo anche in questo secondo caso tutta l’assistenza prevista dalla legge, e garantendosi l’anonimato, se questo venga richiesto. Tale scelta sarebbe revocabile fino al momento della nascita, nel senso che la donna subito dopo il parto potrebbe ancora manifestare la volontà di tenere per sé il bambino. Altrimenti, si opererebbero gli stessi effetti che discendono, secondo la legge vigente, dalla declaratoria di stato di adottabilità. Non si tratterebbe, quindi, dal punto di vista giuridico, di una vendita di un figlio, né di un atto con causa illecita, costituendo invece una decisione da cui deriva la tutela della vita umana e la felicità di coppie sterili; decisione presa per motivi personali e sociali che la legge considera giustificatori persino dell’interruzione volontaria di gravidanza, e cioè di una realtà che è sostanzialmente ben più grave dell’abbandono di un bambino perché sia adottato da altri”. Sembra incredibile che una proposta così semplice e comprensibile non sia mai stata portata avanti in modo incisivo e con successo. Se il problema sentito dal legislatore fosse veramente quello del bene comune, e non la difesa di idee astratte o di moralismi al contrario, l’operazione sarebbe semplicissima: il medico o chi per lui, invece di indirizzare con estrema superficialità la donna all’aborto, con totale noncuranza per i gravi effetti collaterali collegati ad ognuno di questi interventi, proporrebbe alla donna la possibilità di partorire il figlio per poi disconoscerlo. Di conseguenza un bambino piccolo, e quindi molto più facilmente gestibile ed integrabile all’interno di una coppia adulta, troverebbe immediatamente due genitori sterili pronti ad adottarlo.

In molti casi si impedirebbe così alla donna, è opportuno ripeterlo, il dramma dell’aborto, e delle sindromi post abortive, e alle coppie sterili il calvario della provetta, con i connessi costi in termini di denaro, stress psicologico, scarse probabilità di risultato e alta percentuale di complicanze. Ci sarà qualcuno pronto a portare avanti una simile proposta? Non potrebbe almeno lo Stato, nelle sue mille campagne informative, dette “pubblicità progresso”, e attraverso i consultori, inserire anche un annuncio, per le donne decise ad abortire, sulla possibilità di disconoscere un eventuale figlio non desiderato, rendendolo così disponibile per altri?

Concludo allegando un vecchio articolo in cui spiegavo i passaggi dell fiv, con i relativi pericoli.

La fecondazione artificiale, per comune ammissione, porta con sé circa l’85% degli insuccessi, il 50 % di tagli cesarei, un’alta mortalità embrionaria, il 22% di aborti spontanei, il 5% di gravidanze tubariche, il 27% di gravidanze multiple (con relative morti o malformazioni), il 29% di parti pre-termine, il 36% di nati con basso peso, il rischio di anomalie genetiche o malattie degenerative, oltre ad una preoccupante mortalità e morbilità neonatale (Serra e Flamigni). Decine di storie raccontate sui giornali testimoniano la verità di queste conclusioni, alle quali sarebbe possibile giungere con il semplice ragionamento, analizzando le tecniche altamente artificiose e puramente sperimentali della Fiv.

Anzitutto, infatti, i gameti femminili sono prodotti in alto numero, non per via naturale, ma con iperstimolazione ovarica, utilizzando “una vasta gamma di farmaci” (Flamigni), in particolare ormoni. Ne consegue, oltre ai danni per la donna, che già il 40/50% degli oociti così ottenuti abbiano cariotipo alterato. Il seme maschile non può essere usato così come è, e va quindi “purificato” (centrifugazioni). A questo punto gli oociti vengono spesso sottoposti a manipolazioni invasive che consentano allo spermatozoo di penetrare: PDZ (parziale dissezione della membrana pellucida dell’oocita, tramite laser o sostanze chimiche); SUZI (iniezione dello spermatozoo sotto la zona pellucida); ICSI (iniezione dello spermatozoo tramite siringa)…

Cosa significa tutto ciò: che le membrane dell’oocita avrebbero il compito, in natura, di selezionare, tra milioni, lo spermatozoo più vitale, migliore, più sano, facendo penetrare solo lui ed escludendo gli altri; invece con tali tecniche, essendo la mobilità e la sanità dello spermatozoo scarsa, se ne determina dall’esterno la penetrazione, ferendo la membrana e eliminandone la funzione naturale di barriera. Con l’Icsi, inoltre, vi è un intervento ancora più intrusivo, perché uno spermatozoo a caso, non selezionato (non è possibile farlo), probabile portatore di anomalie cromosomiche, viene iniettato con un microago nell’ovulo, compiendo una operazione traumatica di cui non si conoscono ancora gli effetti, eccetto i più intuibili: “il rischio che i bambini siano sterili come il padre” (Testart); il rischio “di malattie degenerative riguardanti il sistema nervoso o i muscoli” (Flamigni).

Poi i gameti vengono deposti nella provetta, mezzo di coltura che ha l’ingrato compito di riprodurre la tuba: il problema è che si tratta di una riproduzione tanto incerta da variare col variare dei medici e degli anni (Flamigni), accusata di “provocare un cambiamento nell’espressione dei geni”. Per questo molti embrioni coltivati in vitro muoiono precocemente. Nei mezzi di coltura inoltre “il metabolismo dell’embrione e il suo sviluppo risultano notevolmente rallentati”(Carbone). Salta, infine, il cosiddetto “colloquio crociato”, che è il continuo scambio di messaggi ormonali con cui l’embrione e la mamma comunicano tra loro, e attraverso cui avviene la produzione da ambedue le parti di proteine necessarie al regolare sviluppo dell’embrione fino all’impianto. A questo punto gli embrioni sopravvissuti, se non necessitano di un’ ulteriore manipolazione (con annesse controindicazioni) che faciliti l’annidamento, possono essere impiantati in utero (avendo saltato il naturale passaggio in tuba). Occorre però più di un embrione, per avere qualche possibilità di successo. Perché? Lo abbiamo visto: oociti con cariotipo alterato, seme maschile non selezionato dalla natura, manipolazioni invasive, colloquio crociato assente, mucosa dell’endometrio uterino che non ha potuto svilupparsi in sincronia con l’embrione, metabolismo rallentato…

Sintetizzando: la “ridotta vitalità dell’embrione e la scarsa recettività dell’utero” determineranno, spesso, il non attecchimento, gli aborti spontanei, la mortalità perinatale e neonatale, uno sviluppo anomalo; nel 15% circa dei casi nascerà un bambino, quasi un “sopravvissuto”: in che modo e con quali conseguenze fisiche e psicologiche? Alle difficoltà elencate, si aggiungano una serie di variabili, quali gli eventuali errori del medico nel dosaggio degli ormoni, nel tempo scelto per il prelievo degli oociti, nelle manipolazioni, nell’evitare sbalzi di temperatura nella fase di transfer degli embrioni…Va infine ricordato che la crioconservazione degli embrioni aggiungerebbe ulteriori fattori di rischio, in quanto nella fase di scongelamento circa il 30% muore, mentre i rimanenti, destinati all’ impianto, presentano, come è ovvio, perdita di vitalità e cellule danneggiate (fonti: Carbone, “La fecondazione extracorporea”, ESD, ottimo per sinteticità e completezza; Flamigni, “La procreazione assistita”, Il Mulino; Serra, “L’uomo-embrione”, Cantagalli).

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Autore: Francesco Agnoli

Laureato in Lettere classiche, insegna Filosofia e Storia presso i Licei di Trento, Storia della stampa e dell’editoria alla Trentino Art Academy. Collabora con UPRA, ateneo pontificio romano, sui temi della scienza. Scrive su Avvenire, Il Foglio, La Verità, l’Adige, Il Timone, La Nuova Bussola Quotidiano. Autore di numerosi saggi su storia, scienza e Fede, ha ricevuto nel 2013 il premio Una penna per la vita dalla facoltà di Bioetica dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, in collaborazione tra gli altri con la FNSI (Federazione Nazionale Stampa Italiana) e l’Ucsi (Unione Cattolica Stampa Italiana). Annovera interviste a scienziati come  Federico Faggin, Enrico Bombieri, Piero Benvenuti. Segnaliamo l’ultima pubblicazione: L’anima c’è e si vede. 18 prove che l’uomo non è solo materia, ED. Il Timone, 2023.