“INCHIESTA SUL DARWINISMO”

“Un libro che gli organizzatori dei Darwin Days non vorrebbero farti leggere”.
Questo slogan potrebbe forse essere il più ad effetto per il libro in uscita nei prossimi giorni e che sarà presentato in anteprima martedì 31 maggio a Palazzo Valentini, presso la sede della Provincia di Roma.
Ma, andando oltre gli slogan, possiamo dire che questo nuovo libro è un lavoro di indagine storica, un testo ricco di preziose informazioni e significativi documenti che gettano una nuova luce su quel fenomeno che genericamente va sotto il nome di “darwinismo”. Documenti che nessuno propone e che, proprio per il loro essere “politically uncorrect”, la “intellighenzia” probabilmente tenderà ad ignorare per lasciarli in quella desiderabile “damnatio memoriae” in cui sono stati relegati. ? la cosa più facile ed efficace.

Ma nel caso in cui dovesse invece verificarsi una sufficiente diffusione, una risonanza tale da rendere inevitabile una certa attenzione, è facile prevedere che questa pubblicazione raccoglierà la sua parte di veleno, e probabilmente, una piccola o grande messe di insulti: è questo quello che accade a chi vuole mostrare una faccia nascosta del pensiero dominante.

“Mostrare” è un termine consapevolmente scelto perché indica un’operazione che non si basa su un’opinione personale, che non si affida a dei ragionamenti pro o contro qualcosa, ma che si riferisce ad una raccolta di documenti, fatti e testimonianze la maggior parte dei quali da tutti facilmente verificabili sulle fonti originali. “Mostrare” è un termine che pone l’attenzione prevalentemente sui risultati di un’inchiesta e non sull’opinione dell’autore che da parte sua lascia parlare documenti e protagonisti.

Per capire cosa sia veramente quello che, con una insufficiente semplificazione, viene indicato col termine “darwinismo”, bisogna uscire dai limiti del puro dibattito scientifico, bisogna studiarne la fenomenologia in relazione al contesto ambientale, culturale e, soprattutto politico, nel quale la teoria venne formulata e si affermò.

Dalla quarta di copertina:
La cronaca e l’attualità mostrano che nel mondo contemporaneo la scienza ha assunto la funzione di legittimare il potere, molte delle scelte più importanti non possono infatti essere compiute senza il sostegno di questa autorità, l’unica in grado di generare un consenso unanime. Questo stato di cose ebbe inizio nel ‘600 quando in Inghilterra si fece strada l’idea di uno Stato legittimato da una classe di scienziati: fu Francis Bacon a proporlo nella Nuova Atlantide. Da quell’idea nacque la Royal Society, la “casta sacerdotale” di scienziati che avrebbe supportato l’Impero Britannico. Tuttavia fu ben presto evidente che quella casta aveva bisogno di un testo di riferimento, di una nuova “Bibbia” capace di offrire una nuova visione del mondo: l’occasione buona sarebbe giunta nel 1859 quando Charles Darwin pubblicò l’Origine delle specie. Era una teoria che si prestava a divenire una sorta di seducente mito della creazione moderno, un mito basato sulle idee classiste dell’economista Thomas Robert Malthus; da allora quelle idee si sono affermate come verità di natura, giungendo ad orientare le politiche degli stati occidentali e delle Organizzazioni Internazionali non esclusa l’ONU.
Una vicenda di cui questo libro vuole essere il racconto.

Enzo Pennetta
INCHIESTA SUL DARWINISMO
Come si costruisce una teoria
Scienza e potere dall’imperialismo britannico alle politiche ONU
Ed. CANTAGALLI – € 15,50

Sito di Enzo Pennetta: www.enzopennetta.it

P.S. Catone il censore avrebbe detto: Ceterum censeo Carthaginem esse delendam,
allo stesso modo mi permetto di insistere sull’opportunità di una presa di distanza da parte del mondo della cultura dalle posizioni antidemocratiche e intolleranti dello scienziato Richard Dawkins: Ceterum censeo….
https://www.libertaepersona.org/dblog/articolo.asp?articolo=2224

Lo strano caso dell’evoluzione “casuale”

L’uomo non è un “prodotto casuale dell’evoluzione” ribadisce Benedetto XVI nell’omelia della Veglia Pasquale 2011, e subito qualche emulo dello scienziato ateologo Richard Dawkins si affretta a dire che il Papa è male informato, che nessuno ha mai detto che l’evoluzione è un processo casuale.

E adesso chi glielo dice al premio Nobel Jacques Monod che il suo best seller “Il caso e la necessità” che dal 1970 difende le ragioni del neodarwinismo è un titolo sbagliato? Chi glielo dice a Monod che lui, un premio Nobel per la medicina, non ha capito nulla di evoluzione? Ovviamente nessuno può dirglielo anche perché nel frattempo Monod non è più tra noi e questo ci priva della possibilità di far spiegare a Dawkins & C. che l’evoluzione darwiniana è proprio un processo governato dal caso. Ma per fortuna abbiamo il libro di Monod sul quale, a proposito dell’evoluzione, leggiamo: “Da un gioco completamente cieco, tutto può derivare…”.

Ma Monod era uno scienziato di un certo livello, se da lui passiamo al citato ateologo Richard Dawkins, troviamo invece dei giochi di parole che cercano di dimostrare che l’evoluzione darwiniana in realtà non è governata dal caso, possiamo infatti trovare in “L’illusione di Dio” la seguente affermazione: “solo chi non capisce la cosa più importante della selezione naturale crede che sia una teoria del caso fortuito, mentre è esattamente l’opposto”.

Ma perché secondo Dawkins la selezione naturale non sarebbe una teoria governata dal caso? Il nostro risponde che se è vero che il caso genera le mutazioni, sarà la selezione a determinare quali di esse si affermeranno e quindi il risultato finale è determinato dall’ambiente che seleziona. Ma il nostro Dawkins afferma anche che il nostro Universo, e quindi l’ambiente in cui avviene la selezione, in realtà è solo uno degli innumerevoli esistenti, infatti egli è anche un sostenitore della teoria del Multiverso, come affermato sempre in L’illusione di Dio, cioè dell’esistenza di un’infinità di universi ciascuno con “una pletora di serie alternative di leggi locali”.

Ma se la selezione agisce su delle mutazioni casuali mediante leggi casuali di uno degli infiniti universi alternativi, il ruolo del caso lungi dall’essere ridimensionato in realtà raddoppia! Per fare un paragone, secondo Dawkins e i suoi seguaci quindi il fatto di vincere al Superenalotto non sarebbe un frutto cieco del caso, infatti, secondo la loro logica, se è vero che i numeri vengono giocati a caso, la vincita dipende dai numeri che verranno indicati come vincenti, trascurando il fatto che sono stati estratti a caso anch’essi!

Questi sono dunque gli argomenti di chi sostiene le idee di Dawkins, argomenti che vorrebbero convincerci che una vincita al lotto non dipende dal caso fortuito ma “è esattamente l’opposto”. Chiunque condivida questi ragionamenti potrà seguire il metodo sperimentale: provi a giocare al Superenalotto e convincersi che la vincita è “esattamente l’opposto” di un evento casuale. Buona fortuna.

P.S. Se qualche seguace delle idee di R. Dawkins volesse intervenire dovrebbe prima gentilmente rispondere alla proposta già formulata su questo sito e sempre valida: https://www.libertaepersona.org/dblog/articolo.asp?articolo=2224

Naturalismo, cavallo di Troia dei nuovi atei

di Roberto Timossi

 

Tra i tanti corsi e ricorsi storici della nostra epoca, assistiamo pure ad un rilancio del naturalismo in ambito evoluzionista ad opera soprattutto di scienziati e filosofi neodarwiniani e ultradarwiniani, i quali hanno lo scopo dichiarato di rendere inutile sul piano scientifico l’ipotesi dell’esistenza di Dio e di un Creatore intelligente. Leggi tutto “Naturalismo, cavallo di Troia dei nuovi atei”

“Ornitorinco UNO, Darwin ZERO”

 

Quale relazione ci può mai essere tra quel buffo animaletto che è l’ornitorinco e Charles Darwin? Per coloro che si interessano di darwinismo, neodarwinismo, evoluzione ed evoluzionismo,  l’interrogativo potrebbe apparire fin troppo banale se non già logoro e superato. Leggi tutto ““Ornitorinco UNO, Darwin ZERO””

UNA PROPOSTA AI DARWINISTI

Richard Dawkins, biologo evoluzionista e membro della Royal Society, è uno dei più affermati divulgatori del darwinismo. Nel suo libro “L’illusione di Dio” però trasforma impropriamente una teoria scientifica in un argomento contro le religioni e in particolare contro il cattolicesimo verso il quale usa parole che sconfinano nell’intolleranza. Ultimamente, proprio dalle pagine di Libertà e Persona, abbiamo da parte nostra evidenziato come il creazionismo sia non solo lontano dalle posizioni scientifiche autenticamente cattoliche ma come esso sia in realtà dannoso per i cattolici in quanto utilizzato per screditarli.
Dopo aver chiarito questo punto e aver preso le distanze dai creazionisti, chiediamo ai darwinisti di fare altrettanto con qualcosa di molto più grave: le posizioni fondamentaliste del biologo Richard Dawkins.

Chiediamo di prendere le distanze da un fomentatore di discriminazioni, da un autore che con le sue affermazioni pone le premesse di una persecuzione nei confronti dei credenti e in particolare dei cattolici. Dawkins è infatti il sostenitore della religiosità come malattia mentale, per lui un credente andrebbe quindi sottoposto a cure psichiatriche così come nell’Unione Sovietica si rinchiudevano negli ospedali psichiatrici gli oppositori del regime. Queste tesi sono evidenti fin dalle prime pagine del suo libro “L’illusione di Dio” (The God Delusion in inglese):

Il termine delusion che adopero nel titolo ha vari significati -illusione, errore, inganno, mania, allucinazione- ma, data la sua valenza psichiatrica, alcuni specialisti ne hanno contestato l’uso “profano”…. Il Penguin English Dictionary definisce delusion una “falsa credenza o impressione”. Curiosamente, per illustrare il concetto il dizionario cita una frase di Phillip E. Johnson: “Il darwinismo è la storia di come l’umanità si sia liberata dall’illusione che il suo destino sia controllato da un potere superiore”.”
Pag. 17 I

n confronto al delinquente psicotico dell’Antico Testamento, il Dio deista dell’illuminismo settecentesco è assai più nobile: degno della sua creazione cosmica, sprezzantemente incurante delle nostre vicende…
Pag. 45

Come ha osservato lo scienziato americano Steven Weinberg, premio Nobel per la fisica: “La religione rappresenta un insulto alla dignità umana.”
Pag. 246

Hartung si diverte ad analizzare l’Apocalisse… “se le lettere ci danno un Giovanni fatto di marijuana, l’Apocalisse ci dà un Giovanni fatto di allucinogeni”.
Pag. 255

(la religione) …un asse portante del male nel mondo.
Pag. 259

Per Dawkins quindi il darwinismo va ben oltre il campo scientifico e diventa lo strumento col quale si dimostra che la credenza in un essere superiore sia un fenomeno psichiatrico, la tesi viene sviluppata dalle prime alle ultime pagine, conseguentemente a queste premesse insegnare il catechismo dovrebbe essere un reato:

La fede è molto, molto pericolosa, e imbottire dei suoi principi il cranio vulnerabile di un bambino innocente è una grave colpa.”
Pag. 304

E poi: “l‘abuso sessuale, per quanto orribile, produce forse un danno inferiore al danno psicologico permanente recato al bambino da un’educazione cattolica.”
Pag. 310

E ancora: “Jill Mytton è stata educata al terrore dell’inferno. Da adulta ha abbandonato il cristianesimo e adesso fa la terapeuta, aiutando altre vittime dei traumi religiosi e infantili.”
Pag. 316

Dawkins è quindi fautore di istanze che ricalcano nei toni quelle degli integralisti religiosi che dice di combattere, è intollerante verso la religione perché in realtà propone un credo materialista intollerante della diversità di pensiero, chi la pensa diversamente da lui è un malato psichiatrico. Il testo originale è stato pubblicato nel 2006, ma perché in questi quattro anni da parte del mondo scientifico non si è levata nessuna voce critica nei confronti di Dawkins? Perché nessuno si è dissociato dai proclami “jihadisti” dell’etologo inglese? Se questo appello giungerà alle orecchie di personaggi come Telmo Pievani, Margherita Hack, Edoardo Boncinelli, o dei i fisici firmatari dell’appello contro il discorso di Benedetto XVI alla Sapienza o di altri esponenti del mondo scientifico e, perché no, a divulgatori come Piero Angela, sarebbe bello poter ricevere una loro adesione a questa richiesta di presa di distanze. Restiamo in fiduciosa attesa. Una raccolta critica di molti altri passaggi significativi del libro di Dawkins è disponibile sul sito:

http://www.insegnamentoscienze.it/falsi_storici.htm

Un nuovo libro di Umberto Fasol

Passato il tempo delle celebrazione per il bicentenario darwiniano si è affievolita la pubblicistica intorno ai temi legati all’evoluzione delle specie e dell’uomo in particolare. Il 2010 ha visto comunque la pubblicazione del testo di J. Fodor e M. Piattelli Palmarini (Feltrinelli ed.) che si sono soffermati sulla critica all’idea darwiniana che la selezione naturale sia il principale motore dell’evoluzione.

Questo è bastato per riaccendere le polemiche da parte delle vestali dell’evoluzione che non vogliono mai sentire parlare di critiche. Figuriamoci quando si metta in discussione la selezione naturale che, col caso, reggono l’impianto evoluzionista.

 La fine del 2010 vede la pubblicazione di un’agile testo del prof. Umberto Fasol, biologo, docente di Scienze Naturali nel Liceo Alle Stimate di Verona, di cui è Preside, non nuovo a pubblicazioni su questi temi; infatti, nel 2007 per le edizioni Fede & Cultura pubblicò La creazione della vita, andato subito esaurito nel giro di pochi mesi; ecco che Fede & Cultura in questi giorni ci propone Evoluzione o Complessita? La nuova sfida della scienza moderna (pagg.90, € 7,00).

C’era proprio bisogno di un altro volume sull’evoluzione e l’evoluzionismo? Non ne sappiamo già abbastanza? No. Qualche settimana fa sull’inserto domenicale de Il Sole 24 Ore un illustre collaboratore invitava i medici a riflettere sulla prova dell’evoluzione data dai batteri che diventano resistenti agli antibiotici! Ora basta poco per comprendere che i batteri acquisiscono una resistenza, ma batteri rimangono, più aggressivi, ma sempre batteri. Altro che prova dell’evoluzione!

Quindi il breve saggio di Fasol è utile e si rivolge a quanti sono interessati ad aggiornare e approfondire le loro conoscenze privilegiando l’analisi e la riflessione critica che, solitamente, è assente. La brevità dei paragrafi con altrettanto brevi interrogativi e risposte, lo fanno un testo utile per gli studenti, ma anche per gli educatori. La semplicità è, in questo caso, sinonimo di chiarezza, non troverete le frasi fumose, incomprensibili che fanno molto “scienziato”, ma lasciano senza risposta le domande fondamentali e poi, quando non ci sono risposte si lascia aperto il campo alla ricerca e all’approfondimento scientifico che verrà. Non è vero che è tutto chiaro e dimostrato scientificamente e Fasol riporta alla realtà dei fatti che è complessità sia dell’informazione che delle finalità.

E come l’informazione sia complessa lo si deduce leggendo le parti che riguardano il Dna e il mistero che ancora lo avvolge: “è una molecola semantica, ovvero dotata di significato”, ma come è nata e come è nato questo significato. Questa è la sfida della biologia moderna. Il volume si chiude con una riflessione, a cura del dott. Andrea Bartelloni dell’Osservatorio Permanente sull’Editoria e i Libri di Testo, su come il dibattito scientifico sull’evoluzione sia assente nella manualistica scolastica anche la più aggiornata, a seguire un’appendice teologica sulla posizione della Chiesa Cattolica sulla creazione del mondo e la comparsa dell’uomo. Andrea Bartelloni

Critiche al darwinismo e “libertà di stampa”

Chi segue il dibattito sull’evoluzione sa come sia difficile avere un confronto sereno e serio su tale argomento. I termini che vengono usati per commentare qualsiasi intervento che sia, anche solo sospettato, di essere critico nei confronti del darwinismo sono spesso improntati al pregiudizio e alla derisione, fino a giungere, a volte oltrepassandolo, il limite dell’insulto.

Questo atteggiamento affonda le sue radici in un clima di scontro che trova alimento nella falsa alternativa evoluzione/creazionismo. In poche parole ogni critica al darwinismo comporta automaticamente l’attribuzione di una “etichetta” di creazionista. Questo tipo di meccanismo è riconducibile alla “Reductio ad Hitlerum”, termine coniato negli anni ’50 da Leo Strauss, che, per usare la definizione che tutti possono trovare su Wikipedia, consiste in “una tattica dialettica di uso in politica, mirante a squalificare un interlocutore comparandolo a un personaggio malvagio (nel caso estremo, Adolf Hitler).

Per squalificare qualunque critica alla teoria evoluzionistica darwiniana (termine col quale si intende indicare  la “Sintesi moderna”) si vede troppo spesso mettere in atto questa “Reductio ad creazionistam”, per cui la critica rivolta non viene neanche analizzata e finisce direttamente incasellata tra gli argomenti creazionisti. La gravità di questo meccanismo sfugge ai più, un’alterazione del confronto esercitata in questo modo veniva invece inserita da George Orwell tra le cose che minacciano la “libertàdi stampa”.

Per comprendere appieno cosa si intende può essere utile leggere quello che proprio George Orwell scriveva nella prefazione al suo celebre libro “La fattoria degli animali” pubblicato in Inghilterra nel 1945, gli anni in cui l’URSS era alleata della Gran Bretagna ed era quindi “sconveniente” parlare degli “errori” dello stalinismo. Il titolo originale della premessa è “Libertà di stampa” di cui si riporta di seguito un brano col quale si è voluto un po’ “giocare” sostituendo le parole sovietico con darwinismo e reazionari con creazionisti:

«Scritti antidarwiniani se ne producevano in quantità, ma partivano quasi tutti da un punto di vista creazionista, erano manifestamente disonesti, superati e dettati da motivazioni meschine. Dall’altra parte c’era una fiumana, altrettanto enorme e quasi altrettanto disonesta, di propaganda filodarwiniana, in pratica si registrava un boicottaggio verso chiunque tentasse di discutere in modo adulto questioni della massima importanza. Indubbiamente era possibile pubblicar libri antidarwiniani, ma chi lo faceva poteva stare certo che quasi tutta la stampa intellettuale avrebbe ignorato o mistificato le sue idee

È necessario aggiungere che la letteratura creazionista è inoltre una realtà specifica di paesi come gli USA e nulla ha a che vedere con la cultura italiana e cattolica e il cadere in questa trappola, di estendere alla nostra realtà quello che invece non le appartiene, può dare la misura di una forma di “colonialismo” e di una sudditanza che affligge il mondo della cultura e che porta chi ne è vittima ad assumere acriticamente atteggiamenti immotivati.

Un breve approfondimento sul falso dilemma creazionismo/evoluzione è possibile trovarlo in “CREAZIONISMO O EVOLUZIONE? LA TRAPPOLA DEL FALSO DILEMMA” al seguente link:
http://www.insegnamentoscienze.it/falsi_storici.htm

La fine del darwinismo

Una vistosa crepa si è ormai aperta nell’edificio del darwinismo, un sistema blindato nei confronti degli attacchi esterni è stato messo in crisi dall’interno, autori precedentemente accreditati e dichiarati autorevoli non hanno potuto essere liquidati all’improvviso come incompetenti. Stiamo parlando della pubblicazione del saggio “Gli errori di Darwin” di J. Fodor e M. Piattelli Palmarini che riporta nelle pagine iniziali la seguente frase: "…c’è qualcosa di sbagliato – molto probabilmente di fatalmente sbagliato – nella teoria delle selezione naturale…" (1).

In mancanza di smentite convincenti (e per il momento non se ne vedono) la conseguenza logica di questa affermazione dovrebbe essere un rapido sgretolamento della costruzione darwiniana e la conseguente ricerca di una teoria più adeguata.
Ma il darwinismo non è una teoria come le altre.
Nei testi scolastici viene in genere taciuto il fatto che già in passato il darwinismo era crollato sotto il peso delle sue contraddizioni e delle sue inadeguatezze, infatti nel 1923, nella sua Storia delle biologia, Erik Nordenskiöld poteva affermare: "I critici moderni si sono spesso chiesti come sia potuto succedere che un’ipotesi come quella di Darwin, basata su così deboli fondamenta, abbia potuto conquistare improvvisamente la maggior parte dell’opinione scientifica contemporanea… I fattori che hanno determinato la vittoria del darwinismo rappresentano in tal modo un problema della più grande importanza, non solo nella storia della biologia, ma anche in quella della cultura in generale" (2).

Un’altra testimonianza viene fornita dal carteggio tra il biologo Umberto D’Ancona (1896–1964) e il matematico Vito Volterra (1860–1940), quello che segue è un brano tratto da una lettera inviata dal biologo nel 1935: "In merito all’evoluzione non credo che oggi nessuno zoologo possa obbiettivamente dire di essere darwinista. Oramai questa è una fase superata. Si può essere evoluzionista, ma non più darwinista" (3).

Di fondamentale importanza questa ultima precisazione: si può essere evoluzionisti senza essere darwinisti. Sulla confusione tra evoluzione (un fatto certo testimoniato dai reperti fossili) e darwinismo (una delle possibili spiegazioni dell’evoluzione) si opera spesso una scorretta confusione finalizzata a screditare qualsiasi critica al meccanismo darwiniano basato sul caso.
Lo sforzo di recuperare la teoria di Darwin fu compiuto tra gli anni trenta e quaranta, fu necessario un complesso lavoro di riunificazione tra darwinismo e genetica classica al termine del quale, come la leggendaria Fenice, la teoria riemerse dalle proprie ceneri sotto la forma di neo-darwinismo. Ma anche allora sorsero delle contestazioni che sarebbero state rilanciate nel corso dei successivi decenni, si levarono le voci critiche di scienziati come George Gaylord Simpson, Richard Goldschmidt, Otto Schindewolf, Stephen Jay Gould e Niles Eldredge, anche dall’Italia all’inizio degli anni ’80 si levarono voci autorevoli, nomi di grande spessore come quello del genetista Giuseppe Sermonti e del paleontologo Roberto Fondi.
Tutti questi nomi, in diversa misura, pagarono la loro opposizione al paradigma neodarwiniano, qualcuno intimidito rientrò tra i ranghi, altri subirono un’ostilità spesso accompagnata da un ostracismo irrevocabile (4). Il darwinismo non è una teoria come le altre, dicevamo, tutte le teorie scientifiche si possono infatti contestare all’interno di un libero e lecito dibattito scientifico, tutte tranne questa.
Nella prima pagina del libro di Piattelli Palmarini si può leggere anche un’altra affermazione: "Bisogna scegliere tra fede in Dio e fede in Darwin… così ci dicono", ecco allora che il darwinismo appare nella sua valenza ideologica di “fede” anziché di scienza, una fede supportata da una sua “Inquisizione” molto più efficiente e ottusa di quella che viene proposta nei cliché dei “secoli bui”.
In un suo libro di successo, Il gene egoista, il massimo predicatore contemporaneo del neodarwinismo, l’etologo Richard Dawkins, paragona la teoria di Darwin al sistema copernicano, ma non si accorge che invece essa, ogni giorno che passa, finisce per assomigliare sempre più al sistema tolemaico, in particolare a quello dei tempi in cui si approssimava il tramonto.
È ancora Piattelli Palmarini a fornire un elemento utile in tal senso, quando rivolgendosi a Telmo Pievani (epistemologo, membro di una sorta di congregazione italiana per la difesa della dottrina darwiniana riunita intorno alla rivista Micro Mega) afferma: "Il disaccordo con Pigliucci e con l’ugualmente da me stimato filosofo della biologia italiano Telmo Pievani… consiste appunto nella loro (per me) incomprensibile reticenza, nel voler cioè, in qualche modo salvare il neo-darwinismo, allargandolo fino, mi sembra, a farlo scoppiare, ma senza ammetterlo" (5).

Il neo-darwinismo per resistere al peso della sua stessa incoerenza deve dunque “allargarsi” nel tentativo di inglobare i fatti contrari per neutralizzarli. Ma la stessa cosa era avvenuta proprio per la teoria geocentrica nel periodo di circa cinque secoli tra Aristotele e Tolomeo, quando erano state introdotte delle modifiche nel tentativo di superare le prove contrarie delle osservazioni. Allo stesso modo con la sintesi moderna si iniziò ad “allargare” la teoria di Darwin. Seguirono poi le critiche di S.J.Gould, N.Eldredge, G.Sermonti e R.Fondi, fino ad oggi, a quest’ultimo lavoro di Piattelli Palmarini, che il neo-darwinismo probabilmente cercherà ancora una volta di inglobare.
Ma così come il sistema tolemaico fu infine superato con la forza delle evidenze sperimentali (anche se si dovette attendere gli esperimenti di Guglielmini – 1791, e Foucault – 1851), in un tempo che si spera molto più breve, anche la spiegazione darwiniana dell’evoluzione, prima o poi, diventerà una pagina del passato.
Come abbiamo però visto quel giorno, in realtà, avrebbe dovuto essere già arrivato all’inizio del ‘900. L’appuntamento come sappiamo si è poi riproposto nuovamente più volte nel corso del XX secolo, per riaffacciarsi infine oggi, ma, come già detto, il darwinismo non è una teoria come le altre.
La “fede in Darwin” come la chiama Piattelli Palmarini, è una delle più assolute mai apparse sulla Terra, essa è inserita in una educazione scientifica che, usando le parole del filosofo della scienza T.S.Kuhn, è: "…rigida e limitata, forse più rigida e limitata di ogni altro tipo di educazione, fatta eccezione per la teologia ortodossa" (6). 
Forse un giorno qualcuno scriverà di questo ‘secolo buio’ nel quale una casta sacerdotale convinta di detenere la verità scomunicava gli eretici con l’accusa di non avere del mondo una concezione realmente scientifica (7).
Ma quel giorno bisognerà anche spiegare per quale motivo il darwinismo ebbe tanto sostegno.

Note:

1 M.Piattelli Palmarini, J.Fodor – Gli errori di Darwin, pag. 11

[2]L. Geymonat – Storia della filosofia e del pensiero scientifico,  Vol V pag. 372-373

[3] Lettere riportate da Giorgio Israel – http://gisrael.blogspot.com/2005/09/su-darwinismo-ed-evoluzionismo.htm

[4] La storia di questi scienziati è riferita in libri come “Ripensare Darwin. Il dibattito alla tavola alta dell’evoluzione” di Niles Eldredge

[5] M.Piattelli Palmarini, J.Fodor, op cit. pag. 232

[6] T.S.Kuhn, Le rivoluzioni scientifiche

[7] M.Piattelli Palmarini, J.Fodor, op cit. pag. 11

 

 

Ancora una critica al darwinismo,da una fonte autorevolissima (comunque “atea, assolutamente atea”)

Nel nostro corpo si stima in 90.000 km. la lunghezza del sistema circolatorio, fatto di arterie, di vene, ma anche e soprattutto di una miriade di capillari che raggiungono ogni distretto cellulare, grazie al loro diametro di pochi micron (millesimi di millimetro). Questi numeri, la lunghezza della rete distributiva e il diametro dei capillari, sono il risultato di due super-vincoli di sistema: 1. la massimizzazione delle superfici di scambio; 2. la minimalizzazione del percorso di trasporto, ovvero la distanza tra il punto di produzione e il punto di consumo. Nel concreto: le molecole del nostro pranzo, assorbite dai villi intestinali, devono raggiungere in breve tempo tutte le cellule del corpo, da quelle della testa a quelle dei piedi. Il sangue costituisce il mezzo di trasporto e il sistema circolatorio rappresenta la rete autostradale. Più la rete è capillare, più immediato sarà il contatto tra la merce e il suo consumatore. Ovvio, si dice.

Non è così scontato secondo gli Autori di questo libro. Questi due criteri di ottimizzazione dei risultati non dipendono né dal codice genetico, né dal metabolismo biochimico cellulare, né dai percorsi dello sviluppo embrionale, né tanto meno dalla selezione naturale. Che cosa c’entra la corrispondenza tra una tripletta di basi azotate del DNA e il suo amminoacido con questa mirabile struttura anatomo-fisiologica tridimensionale a dinamica continua? Ma soprattutto: perché la selezione naturale avrebbe dovuto premiare questa configurazione speciale ottimizzata ogni volta che si è formato un sistema circolatorio, in tutti gli ambienti diversi tra loro e in tutti i tipi di animali diversi tra loro? Infatti, ovunque c’è vita, si riscontra questo tipo di ottimizzazione. Eppure, non è compresa nel prezzo!

Le possibilità sono ed erano infinite; se dunque ogni organismo ha scelto questo tipo di distribuzione su questa rete di trasporto, significa che ha dovuto obbedire a precisi vincoli interni (o endogeni) preesistenti all’ambiente stesso. Leggiamo le parole di Palmarini & Fodor: “il codice genetico, la biochimica cellulare, le leggi dello sviluppo e la stessa selezione naturale non hanno avuto alcuna scelta, se non sfruttare questi vincoli endogeni e lasciarsene orientare.” (pag.97). E’ un libro molto interessante e soprattutto molto coraggioso sia nel titolo che in tutto il suo procedere, capitolo dopo capitolo, nel duplice tentativo di ridimensionare da una parte il ruolo della selezione naturale (considerata da Darwin “l’unico motore dell’evoluzione”) e di sottolineare dall’altra il ruolo delle “leggi della forma” quali binari fissi già tracciati, che l’evoluzione biologica e perfino quella culturale non può che assecondare.

La tesi sostenuta dai due autorevolissimi e blasonati scienziati cognitivi è perciò in linea con la modernissima versione della teoria dell’evoluzione che va sotto l’acronimo “evo-devo” (evolutionary developmental biology), secondo la quale le trasformazioni che spiegano le diverse forme di vita apparse sulla Terra devono essere ricercate non tanto nelle mutazioni casuali e nell’ambiente ma piuttosto nei piani di sviluppo e nelle loro leggi, che filtrano di continuo le infinite possibilità incanalando ogni singola morfogenesi solo all’interno di percorsi predefiniti. Geni master ben conservati in diversi gruppi di animali e a notevole distanza temporale confermano questa idea innovativa di “vincoli epigenetici” (=che risiedono al di fuori dei geni) allo sviluppo e quindi anche all’evoluzione.

Accade all’embrione in via di sviluppo la stessa cosa che accade alle figure del gioco degli scacchi: solo alcuni precisi movimenti tra i molti possibili sono loro concessi. Non è che il vivente si adatti all’ambiente in cui si trova, come ci fanno credere tutti i libri scolastici di biologia, ma piuttosto il vivente si inserisce nel mondo assecondando dei vincoli ben precisi, imposti dalla gravità, dalla fisica dell’Universo, dalla chimica e dalla stessa biologia. Il ruolo dell’ambiente e della sua selezione è dunque “di rifinitura microevolutiva” , non certo di “generatore di forme”. E’ molto innovativa a questo proposito anche la critica che i due Autori muovono al concetto di “ex-aptation” inventato da Lewontin e da Gould nel tentativo di estendere il ruolo della selezione naturale anche a organi o a dettagli dell’organismo sorti inizialmente per scopi diversi. Ispirati dai “pennacchi” della cupola della Basilica di S.Marco a Venezia, che sono strutture architettoniche necessarie per farla sostenere da una base quadrata, i due biologi evoluzionisti ritengono che molti dettagli di un organismo non siano nati per la funzione che oggi esplicano, ma siano stati “trascinati a rimorchio” (free riders) dalla selezione naturale che invece aveva agito su un altro obiettivo.

Come i pennacchi si ritrovano di fatto solo perché agli architetti interessava la cupola (e non viceversa), così tante parti di un organismo nate per scopi diversi, si ritrovano a rimorchio della selezione naturale all’interno di nuovi percorsi. Il testo si dilunga, per la verità a tratti in modo anche un po’ morboso, per spiegare come questa interpretazione, ormai diventata un classico della teoria dell’evoluzione, non sia corretta. E’ possibile realizzare una cupola su una base quadrata senza la progettazione di relativi “pennacchi” di sostegno? Se la risposta è no, come effettivamente ci si attende, significa che anche i pennacchi devono essere pensati nel momento in cui ci si interessa alla cupola. I pennacchi non sono a rimorchio, ma sono parte integrante del progetto (anche se gli Autori evitano di usare termini così finalistici).

Se mi è consentita a questo punto un’appendice personale, trovo che questa moderna prospettiva di studio sia di grande aiuto alla ricerca della verità sulla natura e sull’origine dei viventi. Mi permetto quindi di spingere la critica al darwinismo ad un livello più radicale di quanto faccia questo testo, ovviamente senza più nulla attribuire alla responsabilità dei suoi Autori. Palmarini e Fodor hanno riportato l’esempio del sistema circolatorio, con i suoi 90.000 km. di lunghezza; hanno raccontato di come siano “perfette” le superfici delle foglie per garantire l’equilibrio tra l’evaporazione e l’assorbimento radicale dell’acqua; hanno descritto il “colpo d’ala perfetto” degli insetti ed altro ancora, ma, si sono limitati ad esempi di dettaglio. Mi spiego: se appare ottimizzato il singolo organo o il singolo apparato, perché non dovrebbe esserlo ancora di più l’organismo intero, nella fattispecie il corpo umano?

E’ il corpo intero, in tutta la sua esistenza, con i suoi tre assi di sviluppo, con la sua organizzazione integrata di tutti gli apparati e di tutti gli organi, che rivela una “formattazione” previa di tutto il genoma dello zigote, perché si sviluppi in queste direzioni, a prescindere dal suo contenitore ambientale. In poche parole: l’uomo obbedisce certamente alle leggi della chimica, della fisica e della biologia, ma non ne viene spiegato. E’ il concetto di “complessità irriducibile” di Michael Behe. L’ esistenza dei viventi è dovuta ad un surplus d’informazione previa, capace di canalizzare lo sviluppo della materia nella direzione che di fatto prende, scartando tutte le altre infinite possibilità. E la selezione naturale cosa fa? Osserva, nutre, ospita, a volte anche elimina, certamente, ma non crea nulla di nuovo. Il ruolo dell’ambiente ricorda un po’ quello dell’utero di una mamma: dorma o vegli, il bambino vi si sviluppa da solo, per forze endogene. Nell’arco di quaranta settimane l’uovo fecondato passa dalla simmetria sferica a quella bilaterale, con un asse cefalo-caudale, un asse dorso-ventrale, un asse contro laterale.

Contemporaneamente la cellula staminale originale dà origine ad oltre duecento tipi cellulari, passando dalla consistenza acquosa indifferenziata alla struttura dell’osso, della cartilagine, dei tendini, dei denti, dell’umor vitreo, della retina, del sangue, del cuore, delle valvole,… E l’ambiente? Di quale di queste meraviglie può essere ritenuta responsabile la selezione naturale? E ancora: che cosa c’entra la selezione naturale con il perfetto equilibrio esistente in natura tra la reazione della fotosintesi e il suo contrario, ovvero la respirazione? Che cosa c’entra l’ambiente con le reazioni della glicolisi o con quelle del metabolismo dei grassi? Che cosa c’entra l’ambiente con la formazione di due individui di sesso diverso, nelle cui ghiandole avviene il processo di dimezzamento del numero di cromosomi per realizzare la fecondazione?

Grandissimo è dunque il merito di Palmarini & Fodor, che rilanciano la palla con un calcio vigoroso a chi credeva di aver spiegato il mistero della vita in termini di mutazioni e di selezione naturale, relegando le leggi della forma dietro le quinte del palcoscenico in cui si gioca l’anatomia e la fisiologia degli esseri viventi. Concludo ora con un’amara considerazione. Spiace certamente dover leggere nelle “Condizioni d’ingaggio” che per legittimare il loro lavoro scientifico, i due Autori premettono con un solenne giuramento, non richiesto, di “essere atei, completamente, ufficialmente, fino all’osso e irriducibilmente atei”.

E’ vero che il loro intento dichiarato è quello di aggiungere credibilità alla loro critica al darwinismo, tuttavia questo giuramento lascia l’amaro in bocca. “Excusatio non petita, accusatio manifesta”, dicevano i saggi Latini: si potrebbe anche dire che i Nostri temono che da un lavoro scientifico, fatto di scienza e per la scienza, per mano di scienziati, qualche scellerato lettore possa, in preda alla follia, sospettare l’esistenza di un Creatore, responsabile ultimo di quei “vincoli endogeni” che tanta parte hanno nel plasmare la vita? Quale danno farebbero alla scienza e soprattutto a se stessi, questi scellerati?

Due cognitivisti atei criticano il darwinismo

Esiste una particolare specie di vespa (Ampulex compressa) che usa un cocktail di veleni per manipolare il comportamento della sua preda, uno scarafaggio.

La vespa femmina paralizza lo scarafaggio senza ucciderlo, poi lo trasporta nel suo nido e deposita le sue uova nel ventre della preda, in modo che i neonati possano nutrirsi del corpo vivente dello scarafaggio. Mediante due punture consecutive, separate da un intervallo temporale molto preciso e in due parti diverse del sistema nervoso dello scarafaggio, la vespa riesce letteralmente a «guidare» nel suo nido già predisposto la preda trasformata in uno «zombie». La prima puntura nel torace provoca una paralisi momentanea delle zampe anteriori, che dura qualche minuto, bloccando alcuni comportamenti ma non altri. La seconda puntura, parecchi minuti più tardi, è direttamente sul capo. La vespa dunque non deve trascinare fisicamente lo scarafaggio nel suo rifugio, perché può manipolare le antenne della preda, o letteralmente cavalcarla, dirigendola come se fosse un cane al guinzaglio o un cavallo alla briglia.

Il risultato è che la vespa può afferrare una delle antenne dello scarafaggio e farlo andare fino al luogo adatto all’ovodeposizione. Lo scarafaggio segue la vespa docilmente come un cane al guinzaglio. Pochi giorni più tardi, lo scarafaggio, immobilizzato, funge da fonte di cibo fresco per la prole della vespa.

Questa macabra ma illuminante storia entomologica è presentata dai cognitivisti Jerry Fodor e Massimo Piattelli Palmarini nel libro, appena stampato da Feltrinelli, Gli errori di Darwin, come uno degli argomenti più efficaci per confutare l’evoluzionismo darwiniano secondo cui gli organismi viventi traggono la loro origine da una «casuale» selezione naturale.

Nel simile comportamento delle vespe, infatti, molte cose avrebbero potuto andare in altro modo. «La natura biochimica del cocktail di veleni – osservano gli autori – avrebbe potuto essere molto diversa, risultando o del tutto inefficace o, per eccesso, letale per la preda. La scelta del momento e dei punti in cui pungere avrebbe potuto essere sbagliata in molti modi, per esempio consentendo allo scarafaggio di riprendersi e di uccidere la vespa, di lui molto più piccola. La vespa avrebbe potuto non “capire” che la preda può essere guidata al guinzaglio, dopo le due magistrali punture, e avrebbe potuto tentare di trascinare faticosamente il corpo piuttosto voluminoso nel suo nido. E via di questo passo. I modi in cui questa sequenza comportamentale avrebbe potuto uscire di strada sono in effetti innumerevoli. Neanche il più convinto fra gli adattamentisti neo-darwinisti suppone che gli antenati della vespa abbiano tentato alla cieca tutti i tipi di alternative e che siano state progressivamente selezionate soluzioni sempre più valide, fino a che non è stata trovata la soluzione ottimale, che è stata conservata e codificata nei geni» (p. 108).

Per quanto lungo possa essere il tempo in cui le vespe sono in circolazione, non è possibile immaginare l’emergere «a casaccio» di un comportamento così complesso, sequenziale, rigidamente pre-programmato. «E allora? Nessuno lo sa, al momento. Simili casi di programmi comportamentali innati complessi (raffinate ragnatele, procacciamento del cibo nelle api come abbiamo visto prima, e molti altri) non possono essere spiegati direttamente mediante fattori ottimizzanti fisico-chimici o geometrici. Ma non possono essere spiegati nemmeno dall’adattamento gradualistico. È corretto ammettere che, anche se siamo disposti a scommettere che un giorno si troverà una spiegazione naturalistica, per il momento non ne abbiamo nessuna. E se insistiamo che la selezione naturale è l’unica via da esplorare, non ne avremo mai una» (p. 109).

Per i darwinisti tutto ciò che esiste è «imperfetto», perché in continua evoluzione. La selezione naturale non «ottimizza» mai, ma si limita a trovare soluzioni localmente soddisfacenti. Fodor e Piattelli Palmarini, invece, dimostrano l’esistenza di casi di soluzioni ottimali che smentiscono la tesi darwiniana.

«Quando morfologie specifiche simili si osservano nelle nebulose a spirale, nella disposizione geometrica di goccioline magnetizzate sulla superficie di un liquido, nelle conchiglie marine, nell’alternarsi delle foglie sui fusti delle piante e nella disposizione dei semi in un girasole – scrivono i nostri due autori – è molto improbabile che ne sia responsabile la selezione naturale» (pp. 88-89).

Fodor e Piattelli Palmarini non vogliono avere niente a che fare con il «disegno intelligente», ma il loro libro va letto accanto a quello di Michael J. Behe, La scatola nera di Darwin. La sfida biochimica all’evoluzione (Alfa & Omega, 2007).

Professore di biologia alla Lehigh University in Pennsylvania, Behe ha dimostrato come l’evoluzionismo non è in grado di spiegare strutture e processi «irriducibilmente complessi» come quelli esemplificati dalla biochimica degli organismi viventi. La complessità biochimica di un microbo non è inferiore a quella di una pianta o di un animale. L’evoluzionismo suppone che le specie viventi siano state precedute da strutture imperfette e incompiute, progressivamente trasformatesi nelle attuali. Tanto i reperti paleontologi quanto le specie viventi provano invece l’esistenza di specie tra loro distinte con strutture in sé compiute.

Nella scala dei viventi e nella gerarchia delle specie esistono evidentemente gradi di perfezione diversi. Ogni specie tuttavia può definirsi perfetta nella sua struttura e nessun organismo in natura mostra di essere in evoluzione verso una complessità maggiore. Tutti gli animali a noi noti, a cominciare dall’uomo, sono «produzioni high tech», ha osservato il biologo Pierre Rabischong (in Evoluzionismo: il tramonto di una ipotesi, Cantagalli, 2009, pp. 177-194, a mia cura). Dove si deve cercare la soluzione? Esistono «regole», «norme», «vincoli alla stabilità» che Peter Timothy Saunders ha chiamato «leggi della forma» (An Introduction to Catastrophe Theory, Cambridge, 1980), riecheggiando quanto già Sir D’Arcy Wentworth Thompson sosteneva nel 1917 nel suo Growth and Form.

Fodor e Palmarini ricordano anche la successione del matematico pisano Fibonacci, secondo cui ogni termine è uguale alla somma dei due precedenti. È la nota «sezione aurea» o «proporzione divina», che si riscontra nelle leggi armoniche della fisica, della chimica, della biologia, della mineralogia e che disturba non poco i teorici dell’evoluzionismo. Tutto ciò che è vivente ha una sua struttura biologica e si presenta come espressione di una «forma» che va oltre le sue componenti materiali. La forma è la perfezione prima di quanto esiste, ciò che determina la differenza di un essere dall’altro, determinandone la sua originalità. La forma rinvia alla specie, che prima di essere l’unità di base della classificazione tassonomica degli esseri viventi, è una categoria logica che ha un fondamento nelle cose.

Nella filosofia tradizionale la specie di ogni cosa deriva da quella forma che la rende una cosa concreta, con un’essenza specifica. Nella riflessione filosofica, infatti, è il principio che determina l’essenza e la struttura dell’essere come tale (Aristotele, Fisica, III, 2, 194 b 26; Metafisica, V, 2, 1013 b 23). L’evoluzionismo, come già osservava Etienne Gilson, è un ibrido connubio fra una teoria filosofica e una teoria scientifica, che è impossibile dissociare. La posizione di Fodor e Piattelli Palmarini capovolge quella dei cosiddetti «teo-evoluzionisti».

Questi ultimi rifiutano la concezione filosofica di Darwin, ma ne salvano la teoria scientifica, cercando di conciliarla con il «creazionismo». Fodor e Piattelli Palmarini mettono in discussione l’ipotesi scientifica della selezione naturale, ma riaffermano la loro fede filosofica nell’ateismo evoluzionista. Per criticare Darwin, l’Accademia esige infatti una professione pubblica di «anticreazionismo». Gli autori del saggio che abbiamo presentato ribadiscono di voler essere iscritti all’albo degli «umanisti ufficialmente laici». «In effetti – scrivono – entrambi ci proclamiamo atei, completamente, ufficialmente, fino all’osso e irriducibilmente atei» (p. 11). È questo il prezzo pagato per ammettere candidamente che «non sappiamo molto bene come funzioni l’evoluzione» (p. 12). C’è bisogno di proclamarsi «cattolici, completamente, ufficialmente, fino all’osso e irrimediabilmente cattolici», per spiegare che la macroevoluzione non funziona semplicemente perché è una teoria, filosofica e scientifica, falsa e infondata?

Roberto De Mattei, *Vicepresidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche, il Giornale 3 aprile

CONTRO DARWIN EI SUOI APOSTOLI

NEW YORK Professore, ma come si faa intitolare un libro Gli errori di Darwin, oggi, qui in America, in piena polemica creazionista? E si figuri che cosa succederà in Italia. Lei dice che è una lettura laica e scientifica: ma non teme di finire strumentalizzato? «Guardi, basta con questa storia che a dire la verità si fa il gioco dell’ opposizione…». Ce ne freghiamo del politicamente corretto: questo si può dire? «Magari in un modo un pochino più garbato». In modo garbato, Massimo Piattelli-Palmarini, fisico e biologo, uno dei più grandi cognitivisti del mondo, professore all’ Università dell’ Arizona, e Jerry Fodor, il filosofo e studioso del linguaggio, hanno fatto a pezzi la selezione naturale nelle 264 pagine di What Darwin Got Wrong, il libro che a metà aprile Feltrinelli tradurrà appunto con Gli errori di Darwin e che dalla Boston Review al Guardianè già un caso mondiale. Perché se crolla la selezione naturale crollano anche le traduzioni culturali del darwinismo. «Proprio quello che ci ha spinto a scrivere questo libro. Il fastidio enorme provato per anni verso i neodarwiniani in psicologia, in sociologia, nella filosofia del linguaggio, della mente: in tuttii settori delle scienze umane».
 
Facciamo dei nomi. «La sacra triade. Daniel Dennett, filosofo americano. Richard Dawkins, biologo inglese. Steven Pinker, canadese, psicologo ad Harward. I tre corifei del neodarwinismo».
 
Che cos’ è che non va nell’ evoluzione? «Per carità: l’ evoluzione è un fatto. Non è più un ipotesi ma è un dato acquisito. Il problema sono i neodarwiniani che con la selezione naturale pensano di poter spiegare tutto». Riproviamoci: cosa c’ è che non va nella selezione naturale… «Primo. I cosiddetti vincoli interni. Come avviene l’ evoluzione biologica? L’ evo-devo ha scoperto che i geni sono sostanzialmente quasi sempre gli stessi da centinaia di milioni di anni. Altro che babbuini: dividiamo tutto con i moscerini e i topi. Naturalmente maggiori sono i vincoli interni e maggiore è la struttura genetica che condiziona lo sviluppo. Minore è quindi l’ importanza della selezione naturale».
 
Punto due. «Fisica e chimica ci dicono che i principi di autorganizzazione comuni a tante specie non hanno niente a che fare con la selezione naturale. La legge di gravitazione, per esempio: è una legge della fisica. C’ è una storiella che spiega bene l’ atteggiamento dei neodarwiniani che non si arrendono. Il bambino chiede al babbo: come mai, quando li si lascia andare, gli oggetti cadono a terra? E il babbo neodarwiniano: perché quelli che tendevano a volare in alto sono stati persi dalla selezione naturale».
 
Punto tre. «Due grandi evoluzionisti come Jay Gould e Richard Lewontin l’ hanno chiarito da tempo: tratti tra loro molto diversi spesso si sviluppano insieme. Impossibile dire quale è stato selezionato e quale si è solo accompagnato». Allora questa selezione naturale non spiega un bel niente? «Attenzione: ogni anno ci dobbiamo rivaccinare perché i virus mutano, e mutano a loro vantaggio e non a nostro. La selezione naturale è una realtà: ma non è il motore delle specie nuove».
 
Riassunto: l’ evoluzione è un dato di fatto, la selezione naturale esiste, ma non è il motore dell’ evoluzione. «Non è il motore della speciazione: della creazione di specie nuove. L’ affinamento delle specie sì. La creazione di sottospecie sì. Gli unici esperimenti di evoluzione per selezione naturale hanno portato alla creazione di sottospecie. Da un tipo di moscerino della frutta viene creata la sottospecie di moscerini della frutta. Da un tipo di ranocchio un sottotipo. Ma sempre di ranocchie e moscerini si tratta». Quindi la selezione naturale non spiega il principio ultimo? «Non spiega l’ evoluzione biologica. Non spiega la creazione delle specie. Noi usiamo una metafora: la selezione naturale è l’ accordatore di pianoforti ma non il compositore di sinfonie». Scusi, e il compositore chi sarebbe? «Tanti. Via la selezione naturale non è che c’ è un solo altro principio che lo sostituisce: i meccanismi sono molteplici». E invece i neodarwiniani continuano ad applicare quel concetto onnicomprensivo al resto della scienza. «Prenda la semantica. Daniel Dennett spiega il linguaggio con l’ adattamento, i bisogni essenziali, la riproduzione, il cibo. Una balla enorme».
 
Richard Dawkins? « The God Delusion è un libro infausto. Io sono ateo, integralmente ateo. Ma sbeffeggiare la religione nel nome di Darwin è una cosa infame». E Steven Pinker? «Il campione della psicologia neodarwiniana. Spiega tutto con i geni: dall’ omicidio alla gelosia». Professore, lei vive in America e sa bene che i giornali sono pieni di questo tipo di interpretazioni scientifiche. Così ci smonta tutto. «Ma se io le offro una teoria neordarwiniana, che posso dire?, della omosessualità, è chiaro che il giorno dopo ho la prima pagina del New York Times. Se invece le dico, vattelapesca, fattori molteplici, eccetera, io non vado né in prima, né in seconda, né in trentesima pagina». Che peccato. «Altro caso famoso. Le violenze all’ interno della coppia, delle famiglie. La violenze dei padri sulle figlie adottive. La storia darwiniana spiega tutto. Gene contro gene…».
 
E che cosa cambia quando spostiamo la selezione naturale dal piedistallo? «Si reintroducono le scienze sociali: la filosofia, la filosofia del diritto, dell’ estetica. Si reintroducono quei grandi temi che per fortuna non sono mai morti». Non la perdoneranno mai. «Le faccio già un nome. Giorgio Bertorelle è il presidente della Società italiana di Biologia evoluzionista. Qualche anno fa tentò di far firmare un manifesto agli scienziati di mezzo mondo. Contro di me. Arrivò al mio amico Richard Lewontin. E lui: ma siete completamente matti?».
Figuriamoci adesso che se la prende direttamente con Darwin. «Un genio, per carità, e forse è un pochettino disonesto criticarlo così, dopo 150 anni. Ma in fondo lo diceva lui stesso che ci sono tante cose che la sua teoria non arrivava a spiegare». Sta dicendo che a Darwin il suo libro sarebbe piaciuto? «Beh, sicuramente lui avrebbe capito». – ANGELO AQUARO