I pro-life e la battaglia più antica: quella in difesa della vita

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La storia, si sa è fatta di corsi e ricorsi, un susseguirsi di  eventi, meccanismi, idee e  battaglie sempre uguali o quasi. È questo il caso della lotta, ormai epocale che si sta combattendo oggi sul terreno della vita e della famiglia. Non passa giorno in cui la cronaca non ci consegni virulenti attacchi ai “pro-life” per le ragioni più disparate. Ma cosa affermano di così scandaloso i gruppi pro-life sparsi per il globo per meritarsi tanto disprezzo o, peggio, odio? Semplicemente sostengono la difesa della vita fin dal momento del concepimento, della famiglia naturale e della biologia antropologica. In fondo quello che gruppi pro-life (per la maggior parte cristiani, ma non solo!)  cercano di fare è difendere l’uomo che si affaccia alla vita, il più innocente, quello che per Giovanni Paolo II “è debole, inerme, al punto di essere privo anche di quella minima forma di difesa che è costituita dalla forza implorante dei gemiti e del pianto del neonato”. Tanto basta questo a sollevare tutta lo sdegno di chi ha scambiato la vita con la morte, la dignità con il sopruso, il rispetto dell’altro con l’egoismo. Ovviamente in nome dei diritti di qualcun altro, mai del bambino. Ma è storia nota. Nel mondo antico mentre le leggi vietavano e punivano severamente il parricidio, quasi si ignorava l’infanticidio, di norma anzi tollerato. “A Sparta – scrive Francesco Agnoli in “Indagine sul Cristianesimo” – i bambini venivano portati davanti agli anziani che decidevano se dovessero vivere o meno”. Stessa sorte toccava ai bambini greci e romani  che venivano  “esposti“, ovvero non accettati dal padre (se questi erano malformati, frutto di una relazione illecita, frutto di cattivo presagio,….) e quindi condannati all’abbandono e alla morte. È l’eminente sociologo delle religioni Rodney Stark ad informarci sul destino di migliaia di bambini nell’antica Roma. “Seneca –  scrive –  riteneva l’annegamento dei bambini alla nascita un evento ordinario e ragionevole. Tacito puntava il dito contro i giudei ai quali «è proibito sopprimere uno dei figli dopo il primogenito», ritenendola un’altra delle loro usanze «sinistre e laide»”. Oggi come allora i difensori della vita vengono bistrattati e calunniati, ritenuti infidi perché trattano i bambini da persone. Seneca scriveva ancora: “Uccidiamo i cani idrofobi con un colpo alla testa […]; distruggiamo la progenie snaturata; affoghiamo anche i bambini che al momento della nascita  siano deboli o anormali. Non è la rabbia, ma la ragione, che separa il nocivo dal sano”.  Par di leggere le parole di Hitler nel Mein Kampf: “la domanda che ai minorati mentali sia impedito di propagare una discendenza col medesimo difetto – scriveva – è della più lampante ragionevolezza, e se attuata sistematicamente rappresenta il più umano degli atti di umanità. Esso risparmierà immeritate sofferenze a milioni di sventurati, portando così a un crescente miglioramento della salute generale”. Allora (come oggi d’altronde, mutatis mutandis) uno dei problemi maggiori dell’Impero Romano era proprio la denatalità (che sarà anche una delle cause della sua rovina) ed è evidente, anche sul piano sociologico oltre che morale, come la battaglia per la vita condotta dai primi cristiani sia stata una conquista dell’umanità, che ha permesso non solo di educare le generazioni al rispetto dell’essere umano,  ma, insieme alle conversioni, di superare il paganesimo. Si legge nella Didachè, un documento della Chiesa del I secolo: “Tu non ucciderai con l’aborto il frutto del tuo grembo, né farai perire il bambino già nato”. Non c’è dubbio, per la gran parte degli storici, che il cambiamento apportato dal Cristianesimo è stato, in questo ambito, non solo vitale ma anche radicalmente nuovo. Non solo si inizia a concepire il rispetto della vita dal suo concepimento, ma si esalta il valore di qualsiasi esistenza, anche e sopratutto quella segnata dalla malattia e dalla sofferenza, considerata dai cultori della morte oggi come allora, scarto da eliminare, imperferzione da superare. Il desiderio prometeico dell’uomo d’un tratto trova un nuovo avversario, un “nemico” da combattere che ricorda loro che ogni vita umana è destinata alla perfezione, alla “divinizzazione” e lo fa, non chiedendo solamente l’adesione a precetti scritturali, ma vivendo con l’esempio di un Dio che non ha pretesto sacrifici (come la nostra società impone all’uomo “imperfetto”) ma che Egli stesso, ribaltando qualsiasi logica umana, si è sacrificato per innalzare l’uomo e per metterlo nella condizione di essere perdonato e redento. Oggi certe condizioni sociali sembrano le medesime del mondo pagano greco e romano ed è quanto meno plausibile (oltre che conveniente)  pensare che il futuro di un Paese sia affidato a coloro che difendono la vita e mettono al mondo figli. Si potrebbe dire che in fondo nella storia si combatte da sempre la stessa battaglia, quella in difesa della vita i cui detrattori cambiano colore della casacca ma non l’ideologia mortifera ed individualista che li anima.

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