L’indignazione, in queste ore lievemente scemata, esplosa in casa Pd a seguito dell’acclarata assenza di ministri donna nell’esecutivo di Mario Draghi, mi ha fatto sorridere. Non solo perché la responsabilità, qui, è tutta politica e tutta della sinistra – a destra, sul ruolo femminile, alle chiacchiere preferiscono i fatti: tre ministeri in questo governo, più Giorgia Meloni unica leader donna di un grande partito -, ma perché si ha come l’impressione che, per i progressisti, la storia dell’avanzata delle donne si stia scrivendo qui e ora. Mi si permetta di avere dei dubbi.
Dubbi alimentati, in questi giorni, dalla lettura di un testo molto stimolante: Donne che hanno fatto la storia (Gondolin, 2020) di Francesco Agnoli e Maria Cristina Del Poggetto. Appoggiandosi ad una base bibliografica notevole, i due autori tra le altre cose evidenziano che, se «le “donne di potere”, nella storia, sono certamente molto meno numerose rispetto agli uomini», la musica cambia con il cristianesimo e in particolare con il Medioevo, fase che «contempla un numero crescente di donne al potere: imperatrici, regine, principesse, badesse» (p.122). Seguono pagine di elenchi di nomi di sovrane e donne di forte fede cristiana.
Non solo. Anche nell’Ottocento le donne si fanno largo come «fondatrici di famiglie religiose» e «laiche impegnate» (p.161). E sono, appunto, quasi sempre religiose. Dai forti valori religiosi, ricorda questo libro – di cui consiglio vivamente la lettura -, sono anche due tra le massime pensatrici del ‘900, le filosofe tedesche, entrambe ebree, Hannah Arendt ed Edith Stein: la prima prese «le distanze rispetto ad alcuni tratti del femminismo del suo tempo» (p.205), mentre per seconda «la donna tende per natura a essere “sposa e madre”» (p.208): ambedue verrebbero dunque oggi tacciate di essere collaborazioniste del patriarcato. Ma sarebbero in buona compagnia.
Nel libro di Agnoli e Del Poggetto si ricorda infatti che «tra il 1890 e il 1920 circa, la maggior parte delle femministe, di qualsiasi colore politico, ritiene il lavoro domestico e la cura dei figli un compito primariamente femminile, rivendicando il riconoscimento di maggior dignità al lavoro di madre e di casalinga», con pure femministe laiche e progressiste in campo per una «difesa della maternità, che comprende spesso anche la condanna dell’aborto» (p.240). Che dire, in pochi decenni le cose non sono affatto peggiorate: sono semplicemente precipitate.
A meno che non si consideri il passaggio dalle grandi regine medievali, dalla Arendt e dalla Stein e dalle battaglie del primo femminismo a questo mesto presente, fatto di #MeToo, Kamale Harris, Emme Bonino ed esponenti del Pd convinte di scrivere la storia. Che pena. Fortuna che ci sono volumi come quello di Agnoli e Del Poggetto, capaci di acculturare e ricordare che l’avanzata femminile nella storia è molto più affascinante, luminosa e carica di valori di quella promossa oggi da certo femminismo, androfobo e puntualmente imbronciato. Sono due rette parallele, destinate a non incontrarsi mai.
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