di Stefano Fontana.
In queste settimane di crisi politica si sta abusando molto del concetto di “responsabilità”, applicato alla necessità di fare un governo e presto per fronteggiare l’emergenza. Ma non è la formula di governo a decidere sulla responsabilità, quanto dal bene che si fa, dai fini buoni che si perseguono.
È il momento della responsabilità politica… Certo, ma cos’è la responsabilità politica? Nel mezzo della crisi di governo, mentre la vecchia maggioranza non è riuscita a far quadrare il cerchio nemmeno dopo la perlustrazione parlamentare del presidente Fico, e nella nuova prospettiva dell’incarico a Mario Draghi, sono in molti ad invocarla, ma su cosa essa sia non ci sono idee chiare.
Max Weber riteneva di aver chiarito cosa fosse la responsabilità (politica). Egli distingueva l’etica “della convinzione” dall’etica “della responsabilità”. La prima consiste nell’aderire a principi e valori, che per lui non esistevano perché ognuno ha i propri che valgono quanto quelli degli altri; la seconda consiste nell’etica, appunto, della responsabilità, che secondo lui consisteva nel tenere conto delle conseguenze misurandole concretamente con la ragione. Credeva di aver risolto il problema, ma così non era: come misurare le conseguenze concrete se non alla luce di valori? Senza di essi si misura il fare, ma non il fare bene (o male).
Il richiamo a Max Weber può essere utile – in negativo – per orientarci nella situazione politica di questi momenti e capire cosa significhi la responsabilità politica. Il punto decisivo sembra questo: la responsabilità politica è segnata dal bene che si fa, dai fini buoni che si perseguono con le scelte politiche che si compiono, dai contenuti dell’agire politico e non dalle formule né dalle procedure.
Per esempio, fare in fretta non è un valido esempio di responsabilità politica perché per fare in fretta si può anche fare male. Certo, l’emergenza c’è, ma come non è segno di responsabilità politica tenere in vita un governo incapace con la scusa della necessità di fare in fretta, non lo è nemmeno farne in fretta uno nuovo per poter operare in fretta.
Operare cosa, e perché? Questo è il punto.
Non si può fondare un’etica politica della responsabilità nemmeno sul “pensare alle cose da fare” piuttosto che porre questioni sul senso di quel fare, come se criticare i governi in epoche di emergenza significasse boicottare le soluzioni. La maggioranza ora in crisi ha giocato molto su queste motivazioni, ma era solo per non essere messa in discussione e poter rimanere in sella. Quella maggioranza ha invocato spesso la protezione dell’epidemia e l’ha anche a lungo ottenuta, ma non era senso di responsabilità politica. Ma anche l’incarico a Draghi è sotto tutela della pandemia.
Molti pensano che partecipare a soluzioni come una maggioranza allargata, oppure un governo di solidarietà nazionale, oppure un governo istituzionale possano essere esempi di responsabilità politica in questo grave momento. Così, però, non è detto che sia.
Maggioranza allargata … per fare cosa? Che a fare le cose si sia in cinque anziché in tre cosa cambia dal punto di vista qualitativo? In cinque si potrà forse fare meglio, ma non perché si è in cinque, quanto piuttosto perché si fa meglio. E il meglio non lo si può valutare se non alla luce di alcuni valori, nonostante quanto sostenesse Weber.
Anche allargando la partecipazione a tutte le forze politiche in campo – come capiterebbe in un governo di solidarietà nazionale – cosa garantirebbe da parte di queste una vera responsabilità politica? Lo stesso si dica di un governo del Presidente, come potrebbe essere un Draghi-1 o un governo istituzionale: anche in questi casi la domanda rimane la stessa: per fare cosa? È il bene che fonda la responsabilità politica, non è la responsabilità politica a fondare il bene, come voleva Kant (e il suo seguace Weber).
Alcune forze politiche in questo momento rimangono all’opposizione. Esse vengono accusate di mancanza di senso di responsabilità politica e di attenersi ad una weberiana etica della convinzione piuttosto astratta: invocano insistentemente elezioni che concretamente non sono politicamente possibili e quindi non tengono conto delle conseguenze. Anche in questo caso vale però lo stesso ragionamento: rimanere all’opposizione per cosa? Uscire dall’opposizione, del resto, per cosa? È questo che fa la differenza, non la posizione politica, ma i contenuti e i fini dell’agire politico.
Oggi sembra che le uniche due preoccupazioni siano l’utilizzo del Recovery Fund e il vaccino. Ma il bene del Paese non è mai riducibile ad alcune iniziative operative fine a se stesse. Se così fosse, basterebbe una formula politica nuova che facesse quelle due cose e la responsabilità si esaurirebbe nell’aderire a questa formula, sia essa la maggioranza allargata o il governo istituzionale.
Il bene del Paese ha dei contenuti morali, dei valori radicati nella realtà delle cose, dei fini espressione delle esigenze naturali di famiglie e gruppi sociali. Entrare in un nuovo governo di emergenza per partecipare all’utilizzo del Recovery Fund o alla gestione vaccini sapendo che questo governo porterà avanti la legge Zan e continuerà a discriminare la famiglia, continuando a farle portare il peso della recessione e della pandemia, non è segno di responsabilità.
A quel punto meglio attendere le elezioni, non per una astratta etica della convinzione, ma perché la politica è sì potere – “una relazione di potere di alcuni uomini su altri uomini” scriveva Weber – ma non è solo potere. Talvolta occorre staccarsi dal potere per fare politica, esprimendo proprio in questo modo una responsabilità politica.
Anche la nuova chance Draghi rientra in questo quadro della vera responsabilità politica.
Fonte: La nuova Bussola Quotidiana
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