Untore… di Stato

di Giuseppe Leonelli.

La storia si ripete e l’epidemia, come le grandi tragedie collettive, fa emergere grandiosi atti di coraggio, ma anche le derive peggiori del vivere sociale. Così, all’interno delle mura in cui ciascuno è confinato, vengono plasmati inconsapevolmente i mostri della paura e della caccia al colpevole, un colpevole che deve essere il più possibile vicino, fotografabile, a portata di mano. Con una camicia di lino, da malefico untore, sulla quale appiccicare con la colla del proprio rancore una lettera scarlatta, un runner con una casa da distruggere su cui ereggere un’altra infame colonna. Mostri irrazionali al punto da far gridare, da dietro le tende ingiallite delle proprie finestre, improperi a un ragazzo che esce di casa da solo per fare il giro dell’isolato.

Un colpevole che – nei momenti di paura vera – non viene visto invece in uno Stato inerme, incapace di garantire anche a quelli che chiama ‘eroi’, ‘in prima linea’, gli strumenti minimi di protezione individuale. Uno Stato incapace, anche nelle tanto produttive Regioni del Nord, di fare tamponi a casa a chi telefona con la febbre, disperato. Incapace anche di fare test a tutti medici, addirittura, è successo in Emilia Romagna, licenziando un documento (poi ritrattato) dove si permette loro di lavorare anche se positivi ma asintomatici. Uno Stato che si riempie la bocca di slogan e spot buonisti, ma che non riesce nemmeno a regalare mascherine ai dipendenti dei centri commerciali o ai camionisti o ai benzinai. Commessi costretti a camminare tra le corsie con pezzi di carta igienica sulla faccia.
E non è una metafora.

Uno Stato che sa gridare, sussurrare, intimare ‘State a casa…’ senza dire chiaramente che la tragedia umana e sociale alla quale stiamo assistendo è aggravata da decenni di tagli sulla sanità pubblica. Ricordiamo, dati 2017, che i 192mila posti letto disponibili negli ospedali italiani corrispondono a una media di circa 3,2 posti per 1.000 abitanti, sesto dato più basso d’Europa che ha una media di 5 posti letto su 1.000 abitanti con la Germania prima con 8 letti ogni 1000 cittadini. Nonostante una tassazione tra le più alte del mondo.

Perchè è vero, in casa bisogna starci oggi, necessariamente, ma se non si immaginano controlli a tappeto e non si iniziano a curare i malati ai primi sintomi costringendoli invece ad andare all’ospedale in condizioni spesso disperate, allora quello ‘stare a casa’ diventa un orizzonte sine die. Una resa.

Senza nemmeno pensare al capitolo economico. Che fa storia a sè e farà purtroppo dramma a sè. Anche in termini di vite umane.

Ma questo Stato che nasconde le sue colpe oggi è troppo distante per rappresentare lo sfogatoio delle  ansie e paure di tutti. La rabbia ha bisogno di un nemico vicino contro cui sputare sentenze e giudizi. I mostri hanno bisogno di capri espiatori, non di mulini a vento. Nello Stato ora si deve credere ciecamente e dello Stato – impersonato da militari che controllano con le armi impugnate anche chi passeggia per strada da solo – si ha rispetto, paura.

‘Non è il tempo delle polemiche…’ Ecco le parole che sopiscono ogni appunto e ogni critica. Sì, vero non è tempo delle polemiche, infatti è tempo delle liti tra poveri. Quelle vanno bene, perchè non destabilizzano. Come i capponi di Renzo, uno contro l’altro a misurare chi ha osato stare mezz’ora di più in giardino. Un cittadino contro l’altro, un sindaco contro l’altro per difendere il proprio ospedale, come se ci fosse già un muro tra due Comuni a 15 chilometri di distanza.
Concentrandosi sull’attimo senza alzare lo sguardo davanti a un mostro, il virus venuto dalla Cina, reso ancora più terribile, lo ripetiamo, da uno Stato che si è adoperato nel tagliare sull’unica arma che in questa guerra serviva: la sanità. Uno Stato che al di là di gesti eroici di cittadini veri e di tante buone azioni da copertina, rappresenta quello che siamo. E che in fondo meritiamo, mentre disperatamente cerchiamo protezione negli stessi mostri che rafforzano le sbarre delle nostre prigioni.

Fonte: l’Occidentale

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