Da Piazza Maggiore ai Benetton, la fine del sogno delle Sardine

di Petro De Leo.

C’è una foto che timbra meglio di altre l’essenza delle Sardine. No, non è l’assembramento di folla in Piazza Maggiore a Bologna lo scorso novembre, quando il movimento impattò l’opinione pubblica. Ma è l’immagine che ne ritrae i fondatori, tra cui il frontman pluri intervistato Mattia Santori, con Oliviero Toscani e Luciano Benetton, a seguito di una visita alla Fabrica. Trattasi di un centro di “sovversione culturale” che l’imprenditore e il fotografo-star hanno creato oltre venticinque anni fa. E’ una consacrazione, per le Sardine. Entrate a pieno titolo in quella dimensione dove marketing e valori ridotti a mere enunciazioni si mescolano, nel gran calderone del politicamente corretto. Oliviero Toscani ne è grande interprete. E le Sardine ne sono la declinazione impressa sulla generazione più giovane, nulla più.

A parte, ovviamente, la narrazione del Grande Nemico, che va esorcizzato ed evocato fino all’ossesso in modo da trarne alimento per la propria demagogia. In questo caso, il grande nemico è Matteo Salvini e, in via estesa, l’universo sovranista e conservatore. Questo è il povero consuntivo a due mesi dall’esordio sulla scena pubblica delle Sardine, accelerate dal propellente di un’enorme esposizione mediatica, carezzate con zelante ossequio da una sinistra politica oramai incapace di mobilitare e che ha trovato in questa nuova realtà un gancio per riportare la sua oramai anestetizzata gente in piazza e poi alle urne in una Emilia Romagna divenuta contendibile per la prima volta in cinquant’anni.

Una sinistra che si trova, per l’ennesima volta, intrappolata nella propria doppia morale: i suoi cantori accusano gli avversari di sloganismo puro e i relativi elettori di essere una sorta di ottenebrati da social (e dalla tv ai tempi di Berlusconi) ma poi pongono sugli altari un gruppo di trentenni senza particolare curriculum privi di un’idea che sia una sui problemi sociali da cui è afflitta l’Italia. Ancor più la generazione più giovane.  Non una parola sulla disoccupazione giovanile, sull’esodo degli under 35, sullo stato terminale del nostro sistema scolastico.

Nemmeno la lettera aperta a Conte su Repubblica ha, di fatto, costituito un’evoluzione: una paginetta di retorica sull’impegno e qualche riferimento generico sul sud e la sicurezza, ovviamente in antitesi ai decreti Salvini. E così il confronto politico va sempre nella stessa direzione: l’isteria contro il “nemico”, di cui si fa un culto al contrario, non celebrativo, ma distruttivo. Bret Easton Ellis, scrittore americano che in “Bianco” ha ben dipinto la psicosi liberal sulla vittoria di Donald Trump, dovrebbe farsi un giro in Italia, per radiografare con altrettanta puntualità i paradossi sardineschi. Partendo soprattutto dallo strame che fanno del valore della libertà. Enfatizzata nella loro –scontata- retorica antifascista, nell’esaltazione della Resistenza. Ma poi, di fatto, negata nell’enunciazione di quelle tesi che, finora, sono l’unica architettura politica che le Sardine sono riuscite a produrre. Nel loro manifesto, pubblicato su Facebook, negano ai “populisti” il “diritto ad essere ascoltati”. Un assunto molto grave, che marca nettamente il segno di questi tempi: dietro il volto bonario del politicamente corretto, che rivendica l’esclusiva sui valori buoni e belli e incontestabili (la tolleranza, la pace, il rispetto), si annida il germe dell’oscurantismo peggiore. Le Sardine ne sono l’ennesima espressione, che finirà per avvitarsi su se stessa come tutte le altre.

Fonte: l’Occidentale

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