Il monumento al migrante e i rider “fantasma”: miti e realtà dell’immigrazione di massa

di Eugenio Capozzi.

Due immagini, dalle cronache di questi giorni, si richiamano a vicenda e si contrappongono specularmente.

Da un lato, il “monumento ai migranti” inaugurato da papa Francesco domenica scorsa in piazza San Pietro e destinato a rimanere in loco: monumento intitolato significativamente Angeli inconsapevoli, che intende rappresentare, con pesante retorica echeggiante il realismo socialista d’altri tempi, tutti gli immigrati, senza distinzioni, come vittime ed eroi. Dall’altro, i “riders” delle agenzie di consegna del cibo a domicilio, oggetto di un’inchiesta della Procura di Milano sulle irregolarità delle loro condizioni di lavoro, e sulla cui situazione molti organi d’informazione hanno promosso in queste settimane inchieste foto, video e interviste.

Sono le due facce complementari del rapporto schizofrenico tra il nostro paese e l’immigrazione, che è stato peraltro uno dei temi principali intorno ai quali si è giocato tra agosto e settembre il drammatico passaggio dal governo Lega-5 Stelle – condizionato dall’atteggiamento di duro contrasto all’immigrazione clandestina da parte del ministro degli interni Matteo Salvini – a quello Pd-5 Stelle, programmaticamente intenzionato a riaprire, almeno in parte, le porte di accesso al flusso umano proveniente soprattutto dalla sponda Sud del Mediterraneo.

Di quel cambiamento radicale di linea, insistentemente sostenuto dal pontefice e dalla Conferenza episcopale italiana, il gruppo scultoreo firmato dall’artista canadese Timothy Schmaltz rappresenta l’ideale sintesi, e il durevole suggello, posto nel luogo massimamente simbolico della cristianità e nel centro della capitale italiana. Il fenomeno migratorio vi viene raffigurato mettendo insieme in un unico ammasso di corpi – emaciati, scarni, tristi – gli spostamenti di masse umane di qualsiasi tempo e luogo, senza distinzioni tra un contesto e l’altro, come un unico grande esodo biblico: rispetto al quale si dovrebbe affermare il dovere sempre identico e assoluto dell’”accoglienza”.

Accantonando del tutto le analisi sulla specificità della pressione migratoria che l’Italia e l’Europa stanno subendo in questi anni, i richiami alla legalità e ai limiti dell’integrazione su scala così ampia, le proposte sul sostegno necessario allo sviluppo dei paesi di provenienza, la Chiesa tende ormai sempre più a ridurre il problema ad una contrapposizione semplicistica (per non dire manichea) tra “buoni” e “cattivi” (ovviamente sovranisti), indicando l’accoglienza come una sorta di religione supplementare, con forti elementi ideologici. Similmente a quanto sta accadendo per l’ambientalismo, sposato dalla Chiesa con solennità nella sua forma più genericamente catastrofista/apocalittica, con sfumature di misticismo naturalista fino a poco tempo fa del tutto estranee a dottrina e pastorale cattoliche.

In tal senso il monumento agli “angeli inconsapevoli” fa idealmente il paio, sul piano “iconologico”, con la proiezione, assai fuori luogo, di piante e animali selvatici sulla facciata di San Pietro organizzata nel 2015 in occasione del giubileo.

Si può dire, peraltro, che con la commissione del gruppo scultoreo dedicato ai migranti la Chiesa oggi esprime al massimo grado simbolico la cultura dominante tra le élites italiane in materia, in ciò pienamente al seguito di quelle europee ed occidentali: il culto secolarista dell’”Altro”, il fastidio per la tradizione della civiltà occidentale, la fede radicalmente relativista nella società multiculturale, indicata come punto di arrivo necessario del progresso umano.

Ogni volta, però, che dall’informazione filtrano – spesso varcando pudori e censure “pedagogiche” addirittura esplicitamente rivendicate da quelle stesse élites – squarci di quella che è la realtà effettuale della società alle prese con un’immigrazione di massa illegale e in gran parte fuori controllo, il quadretto edificante offerto dall’”accoglientismo” laico ed ecclesiale si dissolve bruscamente, provocando un effetto alienante in chi osserva.

E’ appunto il caso del tema dei “riders” impiegati nelle multinazionali del food delivering, emerso nelle ultime settimane, che ci fornisce un quadro impietoso di come l’immigrazione clandestina si vada ad inserire organicamente in un meccanismo economico tipico di società di mercato “avanzate”, e sia addirittura essenziale per farlo funzionare. Come abbiamo appreso in questa occasione (ma purtroppo non era difficile immaginare) gran parte degli immigrati che lavorano in questo settore – quelli che si possono vedere raccogliersi nelle piazze delle nostre metropoli e poi sfrecciare con le loro biciclette per le consegne – sono irregolari. Essi ottengono il loro impiego utilizzando le identità di altri ai quali pagano una percentuale dei loro non lauti guadagni, vengono pagati in nero, operano in condizioni di quasi totale assenza di sicurezza e garanzie di qualsiasi tipo.

Il caso dei “riders” mostra insomma eloquentemente come il buonismo dell’”accoglienza” senza se e senza ma sia funzionale a tenere in piedi un sistema economico semi-schiavistico, che sfrutta fuori da ogni regola una manodopera scarsamente qualificata, esposta e ricattabile, e al contempo genera una concorrenza al ribasso a causa della quale le fasce socialmente più deboli della popolazione autoctona vengono escluse dal lavoro, o sono costrette per disperazione ad accettare standard mortificanti.

E’ un quadro in gran parte analogo a quello venuto alla ribalta recentemente grazie all’incauta affermazione del ministro dell’agricoltura Teresa Bellanova in una trasmissione televisiva, secondo cui le aziende agricole richiedono con insistenza cospicui flussi di immigrati, senza i quali non riuscirebbero a gestire il lavoro nei campi. E del resto chiunque conosca lo stato dell’agricoltura in larghe fasce del paese, e soprattutto nel Mezzogiorno, è al corrente delle condizioni raccapriccianti in cui vene impiegata manodopera straniera spesso priva di documenti e contratti regolari, che vive in insediamenti malsani e pericolosi dominati dalla criminalità locale o importata dai loro paesi di provenienza.

Ma, mentre le “anime morte” bracciantili dei nostri tempi rimangono per lo più lontane dai riflettori (salvo quando avvengono incidenti o delitti che li impongono alla pubblica attenzione), i “riders” operano nei centri delle grandi città, sotto gli occhi delle classi dirigenti buoniste, laiche e religiose, e non si può far finta di non vederli. Continuamente, giovani africani in bicicletta senza documenti passano a tutta velocità – a rischio proprio ed altrui – forse anche davanti al goffo monumento celebrativo agli “angeli inconsapevoli” in San Pietro. Inconsapevoli, appunto, del fatto che quella ed altre celebrazioni hanno contribuito a lastricare le strade dell’inferno in cui essi sono stati introdotti dai trafficanti di carne umana, ed in cui ora vengono usati senza scrupoli da Ong, cooperative, servizi sociali, aziende locali e multinazionali, organizzazioni mafiose.

Fonte: l’Occidentale

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