Tra Greta e il Sinodo, il gregge a San Pietro prega per la Chiesa

di Idefix.

Pregare per il bene dei politici al governo è cosa buona e giusta purché il governante sia gradito al politicamente corretto. Pregare perché un sinodo non si concluda con qualche apostasia è roba dell’altro mondo, viste le reazioni di sdegno suscitate da una iniziativa in tal senso del cardinale Burke e del vescovo Schneider (due preti che invitano a recitare il Rosario e a digiunare, non sia mai!). Pregare e operare per la conversione dei non cristiani è materia da processo canonico per direttissima per il reato di proselitismo. Ma visto che almeno per il Papa “tentato e assediato” è arrivato un sommo invito a invocare il Cielo, nessuno Oltretevere dovrebbe aversene a male alla notizia della convocazione di una preghiera pubblica per la Chiesa, a due passi da San Pietro, aperta ai fedeli di tutto il mondo. Anzi!

Non essendo “mainstream” come le manifestazioni di Greta Thunberg, la notizia viaggia perlopiù attraverso i canali spontanei della Rete, con il supporto di una pagina Facebook, l’attenzione di vaticanisti e blogger “controcorrente” in Italia e all’estero, e soprattutto il passaparola tra il gregge sofferente disperso da un angolo all’altro del pianeta. Ma è di quelle che vale la pena riportare, perché che se ne sappia è la prima volta in era moderna che senza capipopolo né sigle associative, senza organizzazioni né finalità specifiche, i fedeli si mobilitano dal basso e si danno appuntamento lì dove si effonde l’ombra del Cupolone e riposano le spoglie di Pietro per recitare tutti insieme un Rosario pubblico per amore della Chiesa. Tecnicamente una notizia, insomma, e pure di quelle grosse.

La data da segnare sul calendario è quella di sabato 5 ottobre, il luogo è largo Giovanni XXIII (all’inizio di via della Conciliazione), l’orario – le 14:30 – di quelli comodi per chi giunge da ogni dove per unirsi ai fratelli, dire una preghiera e rimettersi in cammino. Il fatto che il giorno prescelto coincida con la vigilia dell’apertura del sinodo sull’Amazzonia è difficilmente considerabile come una casualità. E del resto, in tempi di “Chiesa in uscita” e di “sinodalità”, nulla di più sinodale di una massa di fedeli che esce di casa per ritrovarsi in nome della Chiesa.

Nel manifesto che gli ideatori – “un gruppo di amici cattolici, laici e consacrati”, così si definiscono – hanno messo in circolazione per spiegare il senso dell’evento, non c’è traccia di polemiche personali né tantomeno di attacchi scomposti. Risalta invece, con grande nitore, l’affresco di uno stato di sofferenza. Soprattutto dalle intenzioni di preghiera esposte sotto forma di decalogo: dalla cessazione degli scandali sessuali ed economici (e della promozione di chi se ne è reso protagonista) a che “non venga adulterato il depusitum fidei”; dalla fine del continuo commissariamento delle comunità religiose tradizionaliste al recupero dell’esempio dei Santi in luogo di figure che nel passato o nel presente hanno operato per lacerare la Chiesa o per diffondere ideologie di morte; dal primato dell’annuncio cristiano sulle divagazioni sociologiche, politologiche, climatologiche, a una nuova centralità dei “princìpi non negoziabili”.

E ancora, fra i propositi enumerati nel documento tradotto in numerose lingue del mondo: la netta separazione tra l’amore per il Creato e “l’ecologismo pagano e panteista” e tra la misericordia di Dio e “il relativismo morale e l’indifferentismo religioso”; l’ascolto del grido di dolore della Chiesa africana contro l’ideologia immigrazionista e la svalutazione dell’idea di patria e di identità; la necessità che i cattolici cinesi non vengano sacrificati al regime comunista; l’urgenza “che i cristiani perseguitati nel mondo, che affrontano torture e morte in nome di Cristo, non debbano più sentir dire, da Roma, che Allah e Gesù Cristo sono il ‘medesimo Dio’”.

Insomma, una piattaforma tanto esente da invettive personali quanto esplicita nei contenuti. Forse anche per questo c’è da scommettere che sui giornaloni e nei media “mainstream”, prima del 5 ottobre, difficilmente se ne sentirà molto parlare. Dopo probabilmente sì, e magari varrà la pena poter dire “io c’ero”.

Fonte: l’Occidentale

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