Bentornato Fronte Impopolare

di Marcello Veneziani.

È nato il Fronte Impopolare. Antinazionale. Antielettorale. Eurobergogliano. Lungamente invocato dalla cooperativa Influencer Riuniti e dalla Consorteria Potentati interni e internazionali, è nato il fronte parlamentare che ha ben due ideali in comune: evitare il voto e distruggere Salvini. Due ideali strettamente intrecciati.

A lungo i complici di oggi avevano negato questa alleanza ma il supremo pericolo di una vittoria di Salvini decretata da quell’invadente ingombro che è il popolo sovrano, ha portato i populisti dell’AutoGrill, nel senso di grillini che badano a salvare solo se stessi, ad allearsi coi detestati nemici del giorno prima, la sinistra che ormai storicamente è schierata contro la plebe, il volgo, il popolaccio italiano. Ha senso indignarsi per l’inciucio? Magari sì, ma fino a un certo punto. La politica è una cosa cinica e losca di natura, in alcuni periodi degradati come il nostro è anche più sporca e miserabile, ma va così. E se le vai contro, rimetti semplicemente il potere ad altre sfere che sono più ciniche, sporche e losche della politica, perché rappresentano interessi privati, gruppi di potere e dominazioni economiche.

Evitiamo di commettere gli errori del Fronte Impopolare, evitiamo le demonizzazioni di ritorno. Gli altri non sono il male assoluto, il peggio: ci sono pessimi figuri dappertutto, in dosi abbastanza equivalenti, tutti mossi dalla ragion cinica, dall’opportunismo e dall’autoconservazione, che nei momenti favorevoli si chiama autoespansione. Quell’alleanza impopolare farà vomitare ma non è più ibrida e opportunistica di quella che l’ha preceduta, tra grillini e leghisti. L’unica vera differenza è che l’una fu a favore di popolo e questa invece è nonostante il giudizio popolare. Ma fu una forzatura, un contratto artificioso, più o meno come questo. È la realtà, signori, non facciamo gli Indignati.

Il centro-destra che si è profilato ha sicuramente più omogeneità, ma direi a livello di elettori, di popolo; assai meno a livello di partiti, di leadership. Non giurerei sulle intenzioni nobili di Berlusconi e dell’intesa con lui, non giurerei sull’affidabilità della tenuta e sulla durata. È tutto così imperfetto, provvisorio.

Gira e rigira, l’unica cosa vera in questo frangente è che gli italiani a maggioranza sono oggi con Salvini e un po’ con la Meloni, cioè sono sovranisti. Ovvero vogliono la guerra e il nazismo, come traduce un propagandista di sinistra finito in Vaticano con un incarico ancora non ben definito, oltre quello di commissario liquidatore della cristianità? No, i sovranisti vogliono più sicurezza dentro il paese e alle frontiere, chiedono di frenare i flussi migratori, di restituire sovranità e decisione alla politica rispetto all’economia e agli altri poteri forti, e alla nazione rispetto non all’Europa all’Eurocrazia. L’unico dato vero da cui partire è quello: gli italiani.

Però, anche qui lasciatemi essere sgradevole per amor di verità, e ricordarvi come i frati trappisti, una cosa amara: il consenso non è eterno, basta un niente per mutarlo, e basta il tempo che scorre. Da qui l’urgenza leghista di votare, per non veder mutare, col mutare del tempo, gli orientamenti della gente. Si crea un meccanismo inesorabile quando cominci a stancarti o quando non ottieni il risultato che aspettativi. Cominci a dire: però pure lui qui ha sbagliato, però ha esagerato, però non doveva accelerare, però non doveva allearsi, o il contrario, però non doveva centrare troppo su se stesso. Però però però; così comincia a incrinarsi il consenso. E le iene nazionali, gli eurosciacalli, stanno lì appostati ad aspettare quel momento: appena il paese avrà perso fiducia, allora magari si potrà pure andare a votare. Appena l’italiano si sarà rassegnato alla nuova situazione, avrà dimenticato, o verrà spostato su altre emergenze e altre paure, allora – zac!- entriamo noi e facciamo fuori il Tribuno della Plebe. Lo appendiamo metaforicamente a testa in giù.

Certo, fa ridere e insieme arrabbiare, lo spettacolino di media e partiti che accusano di dittatura chi vuole restituire la parola in libere elezioni al popolo sovrano, mentre a garantire la democrazia sarebbero coloro che la sospendono e la negano.

Ma non vale lamentarsi, non serve, come non serve farsi sorprendere. Che aspettavate, che si andava subito al voto come chiedeva Salvini, tutto liscio, senza intoppi, con tutti rassegnati alla sua vittoria?

Detto questo, c’è una partita tutta da giocare, ci sono alleanze da saldare, ci sono divergenze tra chi è saltato su quella barca, ci sono punti di forza in chi agisce a favore di popolo, cioè a favore di vento. La partita è aperta, niente è definitivo, ogni giro è solo un set.

Aggiungo solo una valutazione non politica: dal punto di vista economico, operativo, imprenditoriale, la linea perseguita dai leghisti e dai loro attuali alleati è molto più compatibile con un rilancio del nostro paese di quella grillina: un freno all’ipertassazione, un incentivo alla ripresa e alle opere pubbliche. Il pericolo numero uno da questo punto di vista erano i grillini, nemici ideologici e pratici di ogni sviluppo, di ogni impresa e opera pubblica, fautori di un’economia assistenziale, nemici di ogni detassazione che non riguardasse i redditi bassi. Ora li voglio vedere i grillini, senza il contrappeso dei leghisti, e magari con l’aiuto dei leucociti di sinistra (i Compagni di Leu), governare il paese con la sinistra dem. E voglio vedere l’economia, il rilancio, la sfida. Non è una magra consolazione ma una grassa disperazione.

MV, La Verità 15 agosto 2019

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