L’esempio di San Benedetto una strategia per vivere la fede cristiana in un mondo ostile

rod-dreher

di Silvio Brachetta.

È stato recentemente tradotto in francese il libro dello statunitense Rod Dreher con il titolo “Comment être chrétien dans un monde qui ne l’est plus. Le pari bénédictin” (Artège, 2017) – “Come essere cristiani in un mondo che non lo è più. La scommessa benedettina”. La tesi è molto semplice: contro la crisi fuori e dentro la Chiesa, il cristiano di oggi farebbe bene a seguire l’esempio di San Benedetto da Norcia che, all’inizio del Medioevo, innescò il rifiorire del cristianesimo e la nuova edificazione della civiltà occidentale. L’ideale del monachesimo, proposto da Dreher, è un’«opzione» tra molte, in fondo – anche per via del titolo originale in inglese: “The Benedict Option”. E invece i francesi hanno scelto il vocabolo «pari», che significa «scommessa», forse per rendere il senso della necessità urgente di un’iniziativa cattolica.

Gli errori di Scoto e di Ockham

O meglio, non proprio cattolica. Rod Dreher, editore, scrittore e giornalista, trova la fede in gioventù, durante una visita alla Cattedrale di Chartres. Gli si apre un mondo. Scopre la Chiesa di Roma, la grazia, il mistero, il tesoro della sintesi medievale tra fede e ragione. Un sogno, che si disintegra però nel 2001, quando scoppia lo scandalo della pedofilia nel clero. Dreher ci resta molto male: rompe la comunione con Roma e aderisce al mondo dell’Ortodossia cristiana.
Nelle due interviste concesse al giornale cattolico francese “La Nef”, Dreher racconta di essersi convertito a Chartres, ma di una «conversione soprattutto intellettuale». Ritenne poi, nell’apprendere dello scandalo, di avere tutti gli anticorpi e gli «argomenti teorici» per resistere alla tremenda prova: «errore fatale» – dice – perché questo episodio «distrusse lentamente e dolorosamente la mia fede cattolica». Il dramma, tuttavia, sembrò provvidenziale, se non altro perché accese il lui il desiderio di escogitare un qualche rimedio ai mali che, fin dalla fondazione, accompagnano la vicenda storica della Chiesa di Gesù Cristo.
Nella migliore tradizione antimoderna, Dreher individua nel nominalismo di Ockham e nel principio di univocità di Scoto, l’origine di molte delle disgrazie della modernità. In fondo, per lo scrittore, alla fine del Medioevo l’umanità cadde nella trappola di un doppio errore, tutto sommato filosofico. Il primo – il nominalismo – è stato forse il più esposto alla critica di molti autori. Ma Dreher non si sofferma molto sul secondo errore che, a differenza dell’ockhamiano, non è sembrato destare troppe preoccupazioni tra i filosofi. Nel caso di Duns Scoto, invece, si è realizzata la distruzione sistematica dell’analogicità dell’essere, per cui tra immanente e trascendente è sorta una confusione (univocità) o una separazione (equivocità) tutta moderna e artificiale, che ha rimpiazzato l’unione distinta aristotelica (poiché l’essere si predica in modo analogo) dei diversi ambiti della realtà.
Sia come sia, Dreher afferma comunque che dopo Ockham e Scoto è sopraggiunto l’«abbandono del realismo metafisico», per cui «gli occidentali di oggi sono incapaci di vedere la natura iconica del mondo materiale e la sua unità metafisica con il Signore».

Cristianesimo e identità

Quanto la fede sia legata alla ragione lo si può intuire dal risultato di questa scissione. Annullare la relazione tra la realtà immanente con quella trascendente, in omaggio al nominalismo, o farne forme di una stessa realtà, in omaggio al principio di univocità, significa ritenere la ragione o insufficiente, o autosufficiente nei confronti della fede. Ne sono danneggiate entrambe: fede e ragione.
Il cristiano, allora, dovrebbe essere colui che, per primo, porta avanti un’istanza di ricostruzione del rapporto fede-ragione, perché è stato ampiamente dimenticato che la fede senza ragione è fideismo e la ragione senza fede è razionalismo, come spesso si tenta di far ricordare. Da qui l’idea di Dreher, secondo cui i cattolici e gli ortodossi farebbero bene a riunirsi in comunità ispirate al monachesimo, non perché i laici diventino monaci, ma perché alcuni punti della Regola di San Benedetto da Norcia sono adattabili alla vita dei laici contemporanei. Il laico, in altre parole, deve restare nel mondo, ma con una propria identità e seguendo un periodo continuato di formazione.
Nel dettaglio, l’autore definisce la scommessa benedettina come una «strategia per vivere la fede cristiana in un mondo ostile». Ostile non solo nel senso di ostile alla fede, ma anche alla ragione, essendosi perduto nel relativismo il concetto stesso di verità. Una tale opzione dovrebbe avere tutte le caratteristiche di una «resistenza» alle mode e ai miti moderni. Dreher, in particolare, propone tre «mezzi»: lo «studio approfondito della Bibbia e della teologia», le «pratiche cristiane tradizionali» (digiuno, novene, pellegrinaggi, ecc…) e la «costruzione di forti comunità di credenti che condividono gli stessi impegni». Molto importante è anche la formazione dei ragazzi: la «nostra priorità – osserva – è d’insegnare la verità ai nostri figli».
Sono poi da evitare due atteggiamenti opposti, molto diffusi nella cristianità odierna. Da una parte c’è la prassi delle Chiese istituzionali (la cattolica e l’ortodossa), dove c’è una certa penuria di «entusiasmo e zelo». Dall’altra ci sono, ad esempio, i gruppi pentecostali, dov’è presente entusiasmo e zelo, ma c’è carenza di contenuti. L’ideale sarebbe di rifuggire l’«emotivismo» sentimentale e, allo stesso tempo, una fede trasmessa senza militanza.

La “trappola del sentimentalismo”

Dreher, almeno nelle interviste, non fa cenno però al fatto che una certa parte del mondo cattolico si sta muovendo proprio nel senso che ha descritto. Da qualche decennio un qualche rinnovamento culturale e spirituale in seno alla Chiesa c’è stato. Sotto i pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI si sono andate formando comunità che, se non sotto l’egida diretta di San Benedetto, hanno ritenuto centrale l’impegno alla formazione, alla testimonianza e alla preghiera, spesso riunendo i tre aspetti. Si tratta ancora di numeri piccoli e di realtà spesso osteggiate.
È lo stesso scrittore che lamenta la ghettizzazione e il «martirio bianco» ai quali vengono sottoposti i più volenterosi tra i fedeli. Nella società, l’ostacolo maggiore proviene dalle suggestioni della sinistra post-sessantottina, che riunisce una galassia di gruppi solo in apparenza discordi tra loro: i gruppi, inevitabilmente, «finiscono per fondersi e hanno tutto il tempo di causare danni irreparabili». Si pensi solo al caso dei partiti liberals, in perenne competizione tra loro, ma unitissimi nel votare leggi contro la vita e la famiglia (aborto, divorzio, eutanasia). In questo clima di egemonia del radicalismo trionfante, il singolo fedele o il gruppuscolo cattolico più o meno zelante, viene sistematicamente stritolato, silenziato, azzerato. E questo avviene tanto negli USA, quanto in Francia o in altri paesi dell’Europa.
Ma l’ostracismo ad un cristianesimo di tipo identitario e schietto proviene anche dall’interno. Dreher parla, a proposito di una certa pastorale che va per la maggiore nelle Chiese, di «malattia mortale»: la si potrebbe definire la «trappola del sentimentalismo» e cioè la convinzione «che il mondo ci potrà amare solo se ci presenteremo gentili e discreti». È questo il caso, rivelatosi negli anni completamente infruttuoso, del ricorso al compromesso con gl’interlocutori, dove il dialogo è assolutizzato e diviene un pretesto per accomodare la verità della Rivelazione.

Le difficoltà della testimonianza

Lo scrittore ha difficoltà a parlare di «persecuzione» ai danni dei cristiani, se l’ambito è l’Occidente. È abbastanza chiaro che i cristiani orientali e mediorientali stanno subendo persecuzioni atroci, mediante un martirio non bianco, ma rosso sangue. In Occidente il cristiano può ancora sopravvivere benone, sempre che si limiti ad essere accomodante e non dia fastidio sui media oltre un certo limite.
Superato però quel limite, il fedele rischia di «essere trattato alla stessa maniera di un membro del Ku Klux Klan». Quanto alla società scristianizzata, molte vessazioni provengono dalle comunità LGBT, che hanno dichiarato guerra a chi critica le loro attività di pansessualizzazione. Negli USA – dice Dreher – «le organizzazioni cristiane sono ormai bandite dai campus universitari, se rifiutano di convalidare l’ideologia del gender». I media, in particolare, «stanno demonizzando sempre più i cristiani».
Non c’è dubbio che si tratti solo, per ora e in Occidente, di un martirio bianco. Sarebbe auspicabile che le cose non precipitassero a forza di odio e che il martirio restasse di questo colore anche in futuro.

Fonte

Print Friendly, PDF & Email
Se questo articolo ti è piaciuto, condividilo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

nove + 3 =