La denuncia di Vaclav Klaus: “L’Europa è in una deriva dirigista”

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di Alessandra Nucci.

Molti aspetti dell’Unione europea ricordano il totalitarismo comunista nella sua fase finale, senza gulag: il trasferimento di potere da rappresentanti eletti alla burocrazia non eletta, la crescita esponenziale del controllo su ogni tipo di attività umana e le crociate vittoriose degli “ismi”, dal femminismo al genderismo, dal multiculturalismo all’ambientalismo estremista e soprattutto al “dirittumanismo” che ha sostituito la libertà e forma con gli altri “ismi” il pensiero unico denominato “politicamente corretto”

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La storia si ripete e chi non la studia è condannato a ripetere gli errori del passato. È quanto avverte l’ex-Presidente della Repubblica Ceca Václav Klaus, in Italia per ritirare il Premio Impegno Civico 2017 e la Medaglia d’onore dell’Accademia delle Scienze di Bologna. Non parla di un ritorno al comunismo, ma dell’affiorare di una radice comune precedente, che nel Novecento ha ispirato sia il nazismo sia il comunismo.

Ministro delle Finanze alla guida della transizione dal sistema comunista alla società di libero scambio, primo Premier della Repubblica Ceca indipendente nel 1992, Presidente della Repubblica dal 2003 al 2012, Václav Klaus ha attraversato da protagonista tutte le vicende drammatiche del suo Paese, acquisendo, dice, al pari dei suoi concittadini, una vista aguzza che permette di vedere la realtà politica ed economica europea per quella che è veramente. E la cui matrice non si trova nel marxismo ma nel giacobinismo della rivoluzione francese.

Klaus, nonostante abbia raggiunto i vertici del potere politico, è rimasto un dissidente dalla cultura imperante, che con il 1989 – esattamente duecento anni dopo la rivoluzione francese – ha risolto l’intimo dissidio fra liberté ed egalité spostando gradualmente l’attenzione dell’Occidente dalla libertà, garantita dalla Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo, all’affermazione dei diritti delle minoranze paternalisticamente definiti dall’alto.

Il comunismo si è sciolto, afferma lo statista ceco, non è stato sconfitto. Per questo la velocità della fine dell’impero sovietico ha avuto per conseguenza quella di addormentare le coscienze, talché i cittadini non prestano più la necessaria attenzione alla libertà e alla sua salvaguardia.

Per questo Vaclav Klaus, che da Ministro delle Finanze ha guidato il passaggio della Cecoslovacchia dal sistema comunista all’economia di mercato, e da Premier ha guidato la suddivisione di velluto fra Repubblica Ceca e Slovacchia, si sente in dovere di condividere l’esperienza che ha “aguzzato la vista” a coloro che hanno vissuto per quarant’anni sotto il regime totalitario.

A Bologna, in un discorso intitolato “Il comunismo sovietico è finito. E la libertà?” l’ex-Premier ha elencato infatti i segni del totalitarismo strisciante calato dall’alto che ha trasformato l’integrazione fra le nazioni europee dei Trattati di Roma nell’unificazione di tali nazioni disposta dal Trattato di Maastricht. Unione, sottolinea Klaus, è cosa molto diversa da integrazione.

Così, molti aspetti dell’Unione europea ricordano il totalitarismo comunista nella sua fase finale, senza gulag: il trasferimento di potere da rappresentanti eletti alla burocrazia non eletta, la crescita esponenziale del controllo su ogni tipo di attività umana e le crociate vittoriose degli “ismi”, dal femminismo al genderismo, dal multiculturalismo all’ambientalismo estremista e soprattutto al “dirittumanismo” che ha sostituito la libertà e forma con gli altri “ismi” il pensiero unico denominato “politicamente corretto”.

Fonte: Matchman news

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