Se queste sono le fondamenta della nuova Dottrina sociale…

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di Silvio Brachetta.

Il nuovo corso di Comunione e Liberazione. Vitali deforma perfino San Francesco per legittimare la nuova ideologia del dialogo senza identità. E Vittadini gli va dietro.

L’editoriale di Maurizio Vitali, su Il Sussidiario del 29/08/2017, contiene una notizia sorprendente. Quando San Francesco d’Assisi tornò «dall’incontro con il Saladino, colpito dalla religiosità che aveva visto e ascoltato, è stato zitto per due anni sulla materia mettendo in discussione i suoi precedenti convincimenti». È la nuova teoria sul Poverello secondo cui, egli non solo non riuscì a convertire il Saladino a Cristo, ma addirittura fu il Saladino a convertirlo al dubbio e all’incertezza. Secondo Vitali, al santo bastò osservare la religione dei musulmani, per vedersi crollare la verità cattolica.

Anche se quest’ipotesi non ha alcun fondamento storico, è assai utile all’autore per cercare di dimostrare la grande e nuova tesi, che ora è divenuta la linea ufficiale e indiscutibile di Comunione e Liberazione: basta con le certezze, basta con l’«autoproclamazione identitaria», basta con le «teorie» inamovibili (i dogmi?), basta con le proprie ragioni, basta con le correzioni. Ora bisogna, finalmente, «dialogare» e cioè «ascoltare l’altro», senza più dare peso ai manuali, rimettendo continuamente in forse le conclusioni e rileggendo ogni cosa in un «dinamismo di verifica nel reale».

È allarmante che tutta questa foga rivoluzionaria venga sostenuta da Maurizio Vitali, già socio fondatore della Scuola italiana di Dottrina sociale, già redattore de Il Giorno e attuale direttore del mensile di Cl. In realtà non la sostiene solo lui. L’editoriale è uno scritto in difesa della svolta di Giorgio Vittadini al Meeting di Rimini. Vittadini, assieme ad altri relatori, all’incontro “Una scuola da grandi” del 23/08/2017, critica il sistema dell’educazione e «si dice stufo di certi vecchi dibattiti ideologici su scuola pubblica e scuola libera», che sono «sterili quando nascono perché uno non ascolta l’altro». In ogni caso – interviene la docente Susanna Mantovani – fare scuola non è la «tripletta domanda, risposta, valutazione», ma «parlare insieme». In che senso? – verrebbe da chiedere. Qua l’argomentazione del gruppo relatori si fa sempre più astratta.

Come devono essere coltivati, secondo il nuovo corso di Cl, l’«identità» e l’«impegno per la libertà di educazione»? Certamente evitando la loro possibile «mummificazione» o «ideologizzazione». Chiaro? Mica tanto. Cosa s’intende per «mummificazione» e «ideologizzazione» di questa identità e di questo impegno per la libertà di educazione?
Vediamo. Bisogna – dice l’insegnante Francesca Zanelli – «superare le colonne d’Ercole» e «non fermarsi negli schemi», entrando «nella personalità dei ragazzi», nel senso che «la scuola deve scoprire il boa che è in noi». Sì, d’accordo, ma non si capisce perché, per entrare come serpenti nella psiche dei bambini, si debbano modificare o abbattere gli schemi, che procedono dalla dottrina e dall’ordine. E ancora: «Mi sono trovato – scrive Vitali – ad aiutare un ragazzo, mi pare egiziano, a studiare la vita di Dante. Avrei messo al rogo il manuale». Anche qui non si capisce perché mai, per entrare in dialogo affettivo e stimolare l’interesse dei ragazzi, bisogna bruciare il manuale.

Non è chiarissimo, soprattutto, perché sia necessario rinunciare alla propria identità per ascoltare l’altro e condurre il dialogo, come afferma Vittadini: «La scuola deve essere un cambiamento di teoria. Alla fine dell’anno non si capisce più chi è comunista, cattolico o agnostico perché un uomo intelligente cambia idea e i ragazzi sono contenti».
Lo difende a spada tratta Vitali. A suo parere Vittadini non ha detto che «nel dialogo è bene che si perda la certezza dell’identità e si cambi idea». E invece è proprio quello che ha detto. Alla fine l’identità degli interlocutori, per un vero dialogo, dovrebbe evaporare, assieme alle idee. Tanto più che la fede non è una teoria, da cambiare, sostituire o perdere. Chi invece difende le idee, viene tacciato di ideologia.

Il discorso di Vittadini, di Vitali e degli altri continua, non dimostra nulla e si perde sempre più nell’astrazione siderale. Ecco una carrellata di altre perle dei relatori: «non bisogna piazzare modelli, ma stabilire una vicinanza»; «il rosario è santo, ma anche il rosario lo si può dire male»; «bisogna fare emergere la propria diversità dentro l’ora di lezione, con l’immedesimazione e l’implicito»; «la scuola come istituzione è un luogo di incontro e di dialogo, non è il singolo che si somma ma è della gente che si mette insieme»; «se sono comunista e ascolto il cattolico, divento un po’ più cattolico, e viceversa… e alla fine chissà cosa sono». Ecco, appunto, alla fine chissà cosa sei.

È abbastanza chiaro che l’editoriale di Vitali, così come la riflessione attuale sul dialogo, è profondamente sbagliato. Ma non è sbagliato perché contiene affermazioni sbagliate. È sbagliato perché non si capisce: non è possibile interpretare le affermazioni e intendere logicamente le frasi che sono scritte o pronunciate. Non è possibile concludere. Si assiste increduli a un coacervo di slogans e pronunciamenti generici, che possono – queste sì, non le teorie – causare uno stato confusionale nei lettori o negli ascoltatori.
Non si capisce poi come a Vitali possa essere venuto in mente l’abbaglio su San Francesco, come se dopo l’incontro col Saladino, sia piombato nell’incertezza e nel dubbio.

Si legga invece cosa avvenne realmente in San Francesco d’Assisi: «E così, per disposizione della bontà divina e per i meriti e la virtù del Santo, avvenne, misericordiosamente e mirabilmente, che l’amico di Cristo cercasse con tutte le forze di morire per Lui e non potesse assolutamente riuscirvi. E in tal modo, da una parte non gli mancò il merito del martirio desiderato e, dall’altra, egli venne risparmiato per essere più tardi insignito di un privilegio straordinario. Quel fuoco divino, che gli bruciava nel cuore, diventava intanto più ardente e perfetto, perché in seguito riverberasse più luminoso nella sua carne» (Legenda Maior, IX, 9)
Fuoco divino, altro che messa in discussione della fede.

Fonte: Vita Nuova Trieste

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