Mons. Livio Melina: Chi distrugge la famiglia distrugge il progetto di Dio

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di Silvio Brachetta.

La famiglia «è l’ermeneutica del corpo e delle esperienze affettive», portatrice di un linguaggio che le viene da Dio creatore. Per questo motivo, «distruggendo il linguaggio familiare si distrugge Dio».

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Ed eccoci in missione a Udine. Resoconto mio e di Amedeo Rossetti sull’acuta riflessione del teologo Melina sulla famiglia e sulla nascita del Coordinamento diocesano Persona Famiglia Vita.

In occasione della presentazione ufficiale del “Coordinamento diocesano Persona Famiglia Vita”, lo scorso 9 settembre il teologo mons. Livio Melina ha tenuto una conferenza dal titolo “Se questo è (ancora) un uomo!”, alla quale è intervenuto anche il vescovo di Udine Andrea Bruno Mazzocato. Ne è venuta fuori una disamina sulla famiglia, anche perché mons. Melina è stato docente e preside del Pontificio istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia. È autore di oltre una trentina di opere sulla teologia morale e sul matrimonio.

Non solo – dice Melina – Gesù ha detto ai suoi apostoli «Voi siete la luce del mondo» (Mt 5, 14), ma da questo insegnamento è possibile trarne un altro e, cioè, quello di Giovanni Paolo II che disse nel 1994: «Ogni famiglia porta una luce e ogni famiglia è una luce». E ancora: a motivo del Cristo che è «Luce delle genti» – «Lumen gentium», secondo la definizione del Concilio Vaticano II – anche la famiglia è luce delle genti, in quanto piccola chiesa domestica.

È molto pertinente il riferimento del teologo alla luce, se si pensa che la famiglia umana è in una fase di profondo oscuramento, che è divenuto buio da almeno un ventennio. A cominciare con il divorzio e l’aborto, l’attacco alla famiglia si è fatto serrato, soprattutto dopo che i laicisti hanno deciso di prendere il controllo dell’educazione dei giovani e dopo l’introduzione, sempre più invadente, dell’ideologia del gender.

Melina, come ad esempio il filosofo francese Fabrice Hadjadj, riconosce nella famiglia una realtà ontologica e fondamentale, che va oltre i meriti o i demeriti morali dei singoli. E questa realtà è un dono di Dio, contro cui molta parte del pensiero contemporaneo oppone la privatizzazione dell’amore e, quindi, della famiglia. L’istituto della famiglia – osserva Melina – è diventato «un affare privato», da gestire secondo i propri gusti e le proprie inclinazioni di circostanza: nasce qui il dramma dell’oscuramento di ciò che era stato creato per la luce. Non sembra più strano, oggi, concepire «una famiglia senza matrimonio o un matrimonio senza famiglia», quasi che il legame tra due sposi si sia trasformato in un moderno «contratto di diritto privato».

Non è nemmeno più possibile «leggere e scrivere le proprie emozioni», affinché diventino «relazioni e legami stabili», per via del fatto che è negata la stessa stabilità o una qualunque scelta definitiva. Abbiamo allora, tra i giovani, il fenomeno dell’«analfabetismo affettivo», che impedisce alle persone di passare dall’infanzia alla maturità e dal puro sentimento all’affetto realizzato nel vincolo nuziale.

È tutta la società ormai – dice il teologo – «che non tollera più ciò che ha una certa stabilità». Se si aggiunge poi che la differenza tra bene e male è spesso confusa nel relativismo etico, non deve stupire la proliferazione della mentalità omosessualista o abortista, che fa capo a una strategia di «manipolazione della vita».

Fu San Giovanni Paolo II ad insistere sulla verità di un progetto di Dio sulla famiglia e ad escludere che si tratti di un’invenzione sociale o di una mera sovrastruttura. Se Dio mi sostiene “ora” nell’essere – dice Melina – è chiaro che l’ambito della creazione non fa parte del passato, ma è un principio che perdura nel tempo. E dunque il «cuore dell’uomo porta dentro di se la memoria del Principio», che lo creò a sua immagine e somiglianza. Così pure il corpo «non è materia manipolabile», ma porta in se la vocazione primordiale all’amore, che trova l’ultima spiegazione nel Verbo, che «era in Principio» (Gv 1, 1).

Ed è proprio la famiglia a veicolare questa «verità del cuore», questa «grammatica e sintassi degli affetti», senza la quale non è leggibile il «linguaggio originario» del Logos-Amore. Il linguaggio che s’impara nella famiglia è primariamente il «riconoscersi figli»: ho ricevuto la vita nel grembo di mia madre (utero materiale) e ho imparato il senso della libertà filiale nella famiglia (utero spirituale – San Tommaso d’Aquino).

Questo linguaggio è anche – continua Melina – «essere sposi e spose», poiché il corpo non è solo filiale, ma è pure maschio o femmina, secondo il disegno eterno. E accanto al binomio maschio-femmina, l’uomo si scopre contingente e bisognoso di completarsi nel sesso opposto. Volendo poi andare in una riflessione più profonda, si potrebbe dire che il rifiuto della differenza sessuale corrisponde al rifiuto di essere creatura. La famiglia, insomma, «è l’ermeneutica del corpo e delle esperienze affettive», portatrice di un linguaggio che le viene da Dio creatore. Per questo motivo, «distruggendo il linguaggio familiare si distrugge Dio».

Fonte: Facebook

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