Orbán: il discorso di un patriota

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di Giampaolo Rossi.

UN DISCORSO PER NOI
Abbiate la pazienza di leggere questo ultimo discorso del Premier ungherese  Viktor Orbán, tenuto come tradizione all’annuale Summer University di Bálványos.
Fatelo senza fanatismo entusiasta o esaltazioni inutili perché è un grandioso discorso carico di lucido realismo e buon senso; è un discorso senza filtri diplomatici, linguaggi istituzionali, conformismo ideologico. Per questo merita di essere analizzato in profondità.

Più che un discorso è una visione dell’Europa, un’aspirazione, un progetto di difesa e salvezza di una civiltà minacciata da una globalizzazione selvaggia, impietosa e senza scrupoli.
Il leader di una piccola nazione si erge a guida per chiunque oggi rivendichi il valore di un patriottismo eroico, spregiudicato, capace di difendere ciò che si ama e ciò che ancora si è, da chi odia e vuole distruggere ciò che noi siamo.

Le parole di Orbán non riguardano l’Ungheria ma l’essenza stessa della nostra identità europea dilaniata dalla dissoluzione globalista imposta dalle élite tecnocratiche e apolidi.

Buona lettura.

OMAGGIO A TRUMP
Orbán ritiene l’elezione di Trump il simbolo di un conflitto che può emergere nel mondo occidentale «tra l’élite transnazionale globale e leader nazionali patriottici».
«Nel 2009 Obama tenne il suo primo discorso internazionale in un’importante città chiamata Il Cairo. L’attuale presidente degli Stati Uniti ha tenuto il suo primo discorso internazionale in un’importante città chiamata Varsavia».

E per misurare l’importanza di questo cambiamento, Orbán cita un passaggio del discorso di Trump:
«La nostra lotta per l’Occidente non inizia sul campo di battaglia. Inizia nelle nostre menti, nelle nostre volontà e nelle nostre anime. […] La nostra libertà, la nostra civiltà e la nostra sopravvivenza dipendono da questi legami di storia, cultura e memoria».

LIBERTÀ ECONOMICA
«Una nazione forte non vive con i soldi di qualcun altro. Ringrazia istituzioni come il FMI per il loro aiuto e le saluta: rispedisce indietro i loro pacchi e spera di non doverle più incontrare. Questo è ciò che ha fatto l’Ungheria. Prima del 2010, i governi socialisti avevano agganciato la sopravvivenza della nazione al FMI; il problema è che una macchina può supportare la vita di un paziente aiutando la sua sopravvivenza, ma alla fine il paziente rimane fisicamente legato ad essa».

LA TRAPPOLA DEL DEBITO
«Un paese è forte se le sue finanze sono in ordine. Nessun paese è forte se il suo deficit di bilancio è eccessivo; se le sue imprese sono alla mercé dei creditori;  se la sua popolazione è stata attirata nella trappola del debito come fu quella ungherese con i prestiti in valuta estera».

«Passo dopo passo, l’Ungheria è riuscita ad affrontare tutte queste questioni (…) e oggi cresciamo quasi il doppio della media dell’Unione Europea (…) e siamo in grado di fornire posti di lavoro per tutti coloro che vogliono lavorare. Pochi paesi del mondo sono in grado di farlo. Noi siamo uno di questi. Nel 2010, su una popolazione di 10 milioni di abitanti, solo 3,6 milioni di ungheresi avevano un lavoro e solo 1,8 milioni pagava le tasse (…). Oggi in Ungheria 4,4 milioni di ungheresi lavorano e 4,4 milioni pagano le tasse».

ASSET STRATEGICI
«Un piccola nazione come l’Ungheria (che non è grande come la Germania o gli Usa), è forte solo se possiede le industrie strategiche che determinano il suo destino. Oggi lo Stato ungherese possiede la maggioranza nel settore energetico, in quello bancario e nel settore dei media. L’Ungheria ha speso circa 1000 miliardi di forini per riacquistare la proprietà nei settori strategici e nelle società prima scioccamente privatizzate».

DEMOGRAFIA
«Per una nazione che vuole essere forte, il declino demografico dev’essere fuori questione. Una nazione che non è in grado di sostenersi demograficamente è destinata a scomparir.

«Molti di voi hanno notato che in Ungheria spendiamo una grande quantità di soldi sulle politiche per la famiglia. Volete sapere da dove prendiamo questi soldi? Li prendiamo dalle multinazionali sotto forma di tasse speciali».

In tutto, spiega Orbán circa 500 miliardi di fiorini (quasi 2 miliardi di euro) prelevati da banche, assicurazioni, società energetiche e telecomunicazioni e poi indirizzate a politiche demografiche e di supporto familiare.

IMMIGRAZIONE
Il tema dell’immigrazione per Orbán si lega al tema della dissoluzione dell’Europa e dei suoi popoli:
«La domanda principale per il prossimo decennio è se l’Europa resterà quella degli europei; se l’Ungheria rimarrà il paese degli ungheresi, la Germania dei tedeschi, la Francia dei francesi, l’Italia degli italiani. Chi saranno i cittadini europei?».

«Qualcuno sostiene che l’integrazione risolverà il problema. Ma non siamo a conoscenza di alcun processo di integrazione riuscito. (…) Dobbiamo ricordare ai difensori della “integrazione riuscita”, che se persone portatrici di visioni contrastanti vengono a trovarsi nello stesso paese, non ci sarà integrazione, ma caos».

«È del tutto evidente che la cultura dei migranti è in opposizione radicale alla cultura europea; e idee e valori in conflitto si escludono a vicenda. Pensiamo al rapporto uomo-donna nella cultura islamica: per gli europei hanno gli stessi diritti mentre per i musulmani ciò è inaccettabile. Questi due approcci non possono coesistere, ed è solo una questione di tempo che uno o l’altro prenda il sopravvento».

«L’immigrazione non può essere una risposta ai problemi economici. È come se dei naufraghi in mezzo all’Oceano inizino a bere l’acqua del mare: non smorzeranno il problema della loro sete ma l’aumenteranno».

SOLIDARIETÀ
Orbán colpisce e affonda la deformazione ideologica e ipocrita dell’Europa:
«C’è una parola che emerge spesso nella politica europea: solidarietà. Ma la solidarietà non è un fine in sé, ma solo un mezzo. Il fine dell’Europa è fare in modo «che i popoli nati qui vivano in pace, sicurezza, libertà e prosperità, in linea con i propri valori. Questo dovrebbe essere il fine, l’obiettivo dell’Europa. La solidarietà è solo un mezzo per ottenerlo».

E poi un passaggio che servirebbe da lezione ai timidi e paurosi governanti italiani:

«L’Ungheria si è difesa – e ha difeso l’Europa allo stesso tempo – contro il flusso migratorio e l’invasione; e per farlo ha speso 260-270 miliardi di forini. L’UE ha rimborsato solo una piccola parte di tale somma. L’Unione europea non dovrebbe parlare di solidarietà fino a quando non rimborserà all’Ungheria quanto deve. Fino ad allora, suggerisco di esercitare più modestia».

L’IMPERO SOROS
«A Bruxelles è stata forgiata un’alleanza. I membri di questa alleanza sono i burocrati di Bruxelles, la loro élite politica e un sistema che può essere descritto come “Impero di Soros”. Quest’alleanza è stata forgiata contro i popoli europei. E dobbiamo riconoscere che oggi George Soros può perseguire più facilmente gli interessi del suo impero a Bruxelles di quanto non possa farlo a Washington o a Tel Aviv».

«Come al solito, quando l’élite si rivolge contro il proprio popolo, c’è sempre la necessità che gli inquisitori lancino procedimenti contro chi esprime il parere della gente» (…) Per questo non dobbiamo pensare alla lotta di fronte a noi come una cospirazione globale, ma dobbiamo descriverla e considerarla nel modo più ragionevole possibile (…) esiste un PIANO SOROS che lui stesso ha descritto. Il piano si compone di quattro punti:

  1. «Ogni anno centinaia di migliaia di immigrati – se possibile un milione – devono essere trasferiti nel territorio dell’Unione Europea dal mondo musulmano»
  2. «Ciascuno di essi deve ricevere un importo di 15.000 euro (…) in modo da mantenere un flusso continuo (…) ciò che nella terminologia politica europea è chiamato “fattore di attrazione” (…) un importo superiore al salario medio annuo ungherese»
  3. «I migranti devono essere distribuiti tra i paesi europei nell’ambito di un meccanismo obbligatorio e permanente»
  4. «Deve essere istituita un’Agenzia europea per l’immigrazione che prenda tutti i poteri decisionali svuotando di ruolo gli stati nazionali» 

Questo è il PIANO SOROS.

L’ISLAMIZZAZIONE DELL’EUROPA
«Noi europei possiamo sopravvivere solo se riacquistiamo la nostra sovranità dall’Impero di Soros. (…) Una volta riconquistata la sovranità, dobbiamo riformare l’Unione Europea. Nell’ambito di un programma comune i migranti che sono giunti in Europa illegalmente devono essere trasportati in un luogo diverso dal territorio dell’Unione europea anche se questo può sembrare duro».

«I partiti democristiani in Europa non sono più cristiani: cercano di soddisfare i valori e le aspettative culturali dei media liberal e dell’intellighenzia. I partiti socialdemocratici non sono più socialdemocratici: hanno perso il proletariato e ormai sono i difensori della globalizzazione di una politica economica neo-liberale».

«l’Europa attualmente si sta preparando a consegnare il proprio territorio ad una nuova Europa, meticcia e islamizzata (…). Perché questo accada è necessario continuare la de-cristianizzazione dell’Europa. La priorità deve essere data alle identità di gruppo piuttosto che alle identità nazionali e la governance politica deve essere sostituita con la burocrazia».

NOI IL FUTURO
«Oggi l’Ungheria è l’ostacolo primario all’attuazione del piano Soros (…) Per questo ci sono forze in Europa che vogliono vedere un nuovo governo in Ungheria così da indebolire il blocco dell’Europa centrale che si oppone al progetto di islamizzazione».

Poco prima Orbán aveva rivendicato l’importanza di Visegrád Four, l’accordo tra Varsavia, Praga, Bratislava e Budapest, che «fa parlare con una sola voce gli entusiasti polacchi, i sempre cauti cechi, i sobri slovacchi e i romantici ungheresi»

«Venticinque anni fa qui in Europa centrale credevamo che l’Europa fosse il nostro futuro; oggi ci sentiamo di essere il futuro dell’Europa».

… Lontani anni luce dalla pavida politica italiana, non tutto è perduto… e la lotta è appena iniziata.

Fonte

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«Siamo noi la salvezza dell’Europa». Chi sono e dove vogliono arrivare quelli del Gruppo di Visegrad

di Max Ferrari.

Idee, intenzioni, elettorato e faccia tosta dei quattro paesi dell’Est Europa che sfidano apertamente Bruxelles su temi caldi come immigrazione, identità e non solo

«Una nazione incapace di difendere i propri confini non è una nazione e, se anche oggi esiste, domani sparirà». Chissà a chi pensava Viktor Orbán pronunciando queste parole. Poco prima Paolo Gentiloni, sdegnato, aveva rispedito al mittente la lettera di “consigli” su come respingere l’immigrazione scrittagli dai premier del Gruppo di Visegrad (Ungheria,Polonia, Cechia e Slovacchia) detto V4.

IDENTITÀ DA DIFENDERE. Ma cos’è e dove va questa sigla ai più sconosciuta, prima derisa dai mandarini di Bruxelles e oggi incubo dell’Unione Europea? Lo spiega indirettamente Orbán dicendo: «Noi popoli usciti dall’incubo sovietico guardavamo all’Unione Europea come alla salvezza, ma al contrario ci siamo accorti che i nostri Paesi uniti sono l’unica ancora di salvezza per l’Europa». Marchiati a fuoco da secoli di dominazione turco-ottomana prima e sovietica poi, questi popoli della Mittel-Europa che vedevano Bruxelles come faro di libertà si sono trovati nuovamente imprigionati in un super-Stato che, come i precedenti, vorrebbe imporre regole e costumi a cominciare dall’abbandono della cristianità in favore di una laicità che “nasconde” il ritorno dell’islam. Inaccettabile per coloro la cui fede è un tutt’uno con l’identità nazionale e impensabile nella Polonia uscita dalle galere comuniste grazie alla Chiesa in versione Giovanni Paolo II e, ancor prima, salvatrice dell’Europa cristiana con il miracoloso intervento della cavalleria polacca guidata da Jan Sobieski sotto le mura di Vienna quasi caduta in mano al Sultano.

REALTÀ E NARRAZIONE. Storia trasversalmente ricordata perché non c’è solo il leader magiaro a dire che «i musulmani non si sono mai integrati in alcuna nazione», ma tra i più decisi oppositori alla «redistribuzione dei migranti ad est» c’è Robert Fico, premier slovacco e socialista. Certo la sinistra danubiana ha poco a che fare con la nostra “al caviale”, tant’è che i comunisti ungheresi sono contrari all’immigrazione, ma i media nascondono e dipingono un quadro, vedi la Polonia, di paesi spaccati tra gruppetti di xenofobi al potere e masse popolari progressiste in rivolta contro la “dittatura”. Peccato che in Polonia la destra cattolica abbia stravinto le elezioni, la sinistra non abbia conquistato neppure un seggio e in piazza vi siano poche migliaia dei soliti noti militanti di cui il principe William e sua moglie Kate, in visita nel paese la settimana scorsa, non si sono neppure accorti. Così, mentre i media raccontavano una quasi guerra civile a Varsavia per la tentata riforma giudiziaria, il futuro re d’Inghilterra si complimentava col presidente “populista” Duda e lodava la capacità polacca di resistere ai tentativi di invasione e ingerenza esterna.

DAL V4 AL V11? Purtroppo in Italia arriva solo la versione di quelli che Orbán definisce i “media di Soros” e per questo è bene sentire qualche voce dissonante a cominciare da Ferenc Almássy, giovane direttore del Visegrád Post, edito in varie lingue. «È innegabile – dice – che una realtà snobbata e sconosciuta come il V4 sia stata in grado di chiudere la famigerata rotta balcanica da cui l’anno scorso passavano milioni di migranti e stia impedendo all’ Unione Europea di destabilizzare demografia e identità dell’Europa orientale. Bruxelles pensava di soffocare il V4, ma oggi è una entità ascoltata da politici come Trump, Netanyahu e persino dal governo cinese». L’anno scorso l’allora candidato del Partito della Libertà (Fpö) alla presidenza austriaca, Norbert Hofer, intervistato dallo stesso Almássy, disse che avrebbe voluto l’Austria nel V4, e oggi il discorso è tornato alla ribalta visto che alle elezioni anticipate di ottobre potrebbe vincere un “sovranista” come Heinz-Christian Strache. L’allargamento del Gruppo non è una priorità, ma non è nemmeno escluso, visto che già esiste un gruppo Visegrad Plus che comprende altri 7 aspiranti, dal Baltico ai Balcani. Non c’è l’Italia naturalmente, ma la Lega del lombardo-veneto, come abbiamo raccontato, sogna una qualche forma di partnership.

USCIRE DALLA UE? L’efficientissimo portavoce di Orbán, Zoltán Kovács, ci conferma dal canto suo che il V4 è felice di creare nuove sinergie e d’altra parte il ministro della Difesa István Simicskó disse al sottoscritto, che chiedeva se le frontiere magiare si sarebbero aperte a eventuali rifugiati in fuga da una Unione Europea islamizzata: «Certo, ma dobbiamo lavorare insieme per prevenire una catastrofe simile che sarebbe un domino mortale. Salviamoci insieme». Anche a costo di uscire dall’Unione? Sì, secondo Olivier Bault, giornalista franco-polacco firma di testate “populiste” come Do Rzeczy. Bault cita i sondaggi: «A maggio – spiega – il 73 per cento era contrario all’arrivo di immigrati o rifugiati musulmani e un più recente sondaggio commissionato a IBRiS da un giornale di sinsitra come Polityka ha svelato che il 56,5 per cento è disposto a rinunciare ai fondi europei pur di non avere migranti musulmani. Il 51,2 per cento (con un altro 11 per cento di indecisi) sarebbe disposto anche a uscire dalla Ue. Nota che si parla di rifugiati, perché menzionando i migranti economici le percentuali sarebbero anche maggiori».

NESSUN RICATTO. Ma chi sono questi elettori? I famosi “vecchi ignoranti delle campagne” sprezzati dalla sinistra europea? «No», dice Bault. «È vero che il partito del premier (Diritto e Giustizia – PiS) domina nei piccoli centri e nelle campagne, ma è anche vero che secondo i sondaggi ha il gradimento del 63 per cento dei giovani tra i 18 e i 24 anni, cui va aggiunto un 10 per cento che vota per Kukiz’15, ancor più nazionalista. Le polemiche sulla magistratura appassionano Bruxelles e le élite, ma la gente normale appoggia il ricambio di una casta che ha fatto carriera ai tempi del comunismo ed è esente da ogni controllo e provvedimento disciplinare». Quel che traspare leggendo i giovani blogger e giornalisti “sovranisti” come i già citati e la più famosa ungherese Mariann Őry‏, firma importante di Magyar Hírlap, popolare quotidiano vicino a Orbán, è il rifiuto totale del ricatto dell’Unione Europea che dice: o prendi i migranti o taglio la tua parte di sussidi comunitari. Una follia, spiegano, perché se l’Est è stato distrutto dai sovietici e ha avuto bisogno d’aiuto è per colpa delle nazioni occidentali che regalarono quei paesi a Stalin (cosa che noi dovremmo conoscere, vista la sorte di Istria e Dalmazia) e queste minacce da parte di Berlino che prima ci ha invaso, poi svenduto e oggi vorrebbe ri-colonizzarci sono inaccettabili.

POLITICHE CONTROCORRENTE. Chissà se l’Europa sopravviverà, si chiede Orbán, ma è certo che “oltrecortina” si vede una gioventù sana, tanti bambini e il premier magiaro ha dichiarato che ridurrà i mutui per le famiglie con più figli, investirà in asili, taglierà i prestiti studenteschi eccetera. Varsavia ha già abbassato l’età pensionabile (65 anni) e alzato le pensioni per far sì che i nonni si prendano cura dei nipoti, risparmiando sugli asili e rafforzando il rapporto bambino-anziano-società. Oltre a ciò, ci sono sussidi di 120 euro al mese dal secondo figlio in poi (per i poveri anche dal primo) e locazioni facilitate. Tutto questo ha già portato a un incremento delle nascite e a una diminuzione dei divorzi. Ricette eretiche per l’Unione Europea, ma non per la Polonia dove ancora nel novembre scorso, in occasione della Giornata dell’Indipendenza, monsignor Stanisław Dziwisz, benediceva i soldati in prima fila che «difendono la Patria e la Tradizione».

Fonte: Tempi

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Sull’immigrazione i paesi dell’Est sono più pratici

di Gianandrea Gaiani.

Prima il ministro degli Esteri austriaco Sebastian Kurz ha minacciato di chiudere di nuovo i confini se l’Italia non fermerà gli “ingressi illegali” dei migranti a Lampedusa, poi il premier ungherese Viktor Orban, a nome dei paesi del Gruppo di Visegrad (Ungheria, Polonia, Slovacchia e Repubblica Ceca) raccomanda a Roma di arginare i flussi migratori nel Mediterraneo, chiudendo i porti o bloccando le partenze dalla Libia.

Stizzite le reazioni del presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, che sottolinea come proprio i leader di quei paesi si siano sempre rifiutati di accogliere i migranti.  “Noi facciamo il nostro dovere, pretendiamo che Europa intera lo faccia al fianco dell’Italia e non accettiamo improbabili lezioni o minacce come quelle che abbiamo ascoltato nei giorni scorsi al nostro Paese”, ha commentato il premier.

L’Italia ha due opzioni secondo Orban: chiudere i porti o accettare l’assistenza offerta dall’Europa per fermare l’immigrazione direttamente in Libia. Nella lettera all’Italia i quattro leader di Visegrad scrivono che “stiamo seguendo con grande attenzione gli sviluppi del flusso migratorio”, ma sarebbe un errore liquidarla come semplice populismo.

Anche perché i leader dell’Europa centro orientale hanno le idee chiare su immigrazione, islam e terrorismo; temi che nella Mitteleuropa vengono considerati paralleli a differenza dei paesi europei occidentali dominati dalla dittatura del “politicamente corretto”. “Penso che sia un nostro diritto decidere di non volere un elevato numero di musulmani nel nostro Paese” ha detto recentemente Orban. Il ministro degli esteri ceco, Lubomír Zaorálek, ha detto che “la gente che sta arrivando non ha alcun interesse reale a integrarsi” sottolineando la volontà di non “ripetere l’errore commesso dai Paesi occidentali” e  rilevando che “non ci sono attentatori suicidi tra gli ucraini e i vietnamiti”, comunità radicate nella Repubblica Ceca. In Slovacchia il premier Robert Fico sostiene che “non assisteremo a questa follia con le braccia spalancate accettando tutti, indipendentemente dal fatto che siano immigrati economici o no. Dobbiamo cominciare a dire la verità sui flussi migratori. Non voglio vedere una comunità musulmana in Slovacchia. Non voglio che ci siano diverse decine di migliaia di musulmani che promuovono la loro ideologia. Non vogliamo cambiare le tradizioni di questo Paese, che sono costruite sulla tradizione cristiana”.

Un solido impianto di idee e valori che cozza inevitabilmente con una Ue che non sembra in grado di gestire la minaccia dei flussi migratori illegali né di esprimere leader o aspiranti tali determinati. Basti pensare alle “misure immediate” proposte all’Italia da e Martin Schulz, leader della SPD che tra due mesi sfiderà alle urne Angela Merkel. La prima è convincere, in cambio di denaro, altri Paesi europei ad accogliere i migranti giunti in Italia. Schulz però esclude dalla lista la Germania che “ha già dato”. Inoltre propone una strategia europea per l’Africa con “maggiore onestà negli scambi commerciali, aiuti umanitari più efficienti e stop alla vendita di armi nelle aree di crisi”. Misure che anche se avessero un senso e venissero applicate porterebbero forse il benessere in Africa tra 70 anni senza risolvere la crisi attuale. All’approccio buonista e “sessantottardo” dell’Europa Occidentale risponde il pragmatismo dell’Europa Centro-Orientale.

Il Gruppo di Visegrad si appresta infatti a passare dalle parole ai fatti dopo che nel giugno scorso i ministri della difesa di Austria, Croazia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia e Ungheria si sono riuniti a Praga, nell’ambito della “Central European Defence Cooperation” (CEDC) mettendo a punto un piano militare che si attiverà nel caso di emergenza mobilitando gli eserciti congiunti per bloccare nuovi flussi di migranti alle frontiere. Il piano è stato concepito per far fronte a un’eventuale riapertura della “rotta balcanica”, qualora saltasse l’accordo con la Turchia, ma potrebbe venire applicato anche a ovest, lungo i confini austriaci r sloveni con l’Italia. Il documento della CEDC, sancisce la nascita della prima struttura militare multinazionale istituita per contrastare “invasioni” di migranti.

Italia e Ue farebbero meglio a non sottovalutare i partner dell’Europa centro orientale che rifiutano di accogliere migranti illegali e persino i ricollocamenti previsti dalla Ue che riguardano solo le nazionalità a cui Bruxelles riconosce il diritto all’asilo, cioè siriani e in parte iracheni ed eritrei, nazionalità marginali o quasi assenti tra coloro giungono in Italia per lo più da Africa Occidentale e Bangladesh.

La Ue è invece in “guerra” contro il Gruppo di Visegrad e un mese or sono la Commissione ha avviato le procedure di infrazione contro Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca per i mancati ricollocamenti di circa 10 mila migranti sbarcati in Italia e Grecia. Nessuna sanzione, per ora a Croazia, Slovenia e Slovacchia che ne hanno accettati meno di 300, per i due terzi accolti in Slovenia. La procedura d‘infrazione della Ue è ridicola per almeno due ragioni: la prima è che la politica nei confronti dell’immigrazione, tanto più quella illegale, è competenza dei singoli Stati e non dell’Unione.

La seconda è che in tutta la Ue i ricollocamenti procedono a rilento con appena 20 mila persone trasferite su 160 mila previste ed è la stessa Commissione a raccomandare di accelerare le espulsioni nei paesi di origine o di transito di oltre un milione di migranti illegali che non hanno diritto allo status di rifugiati.

Fonte: La nuova Bussola Quotidiana

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